Emergenza vs Crisi

di Giovanni Ferrari

Ascoltando le notizie sui media, o nell’uso comune del linguaggio, talvolta le parole emergenza e crisi sono utilizzate indifferentemente. Anche nei reportage giornalistici spesso accade, senza che il giornalista e l’ascoltatore si rendano conto che l’uso della parola crisi presuppone in realtà una situazione molto diversa e molto più complessa e pericolosa di quella di cui si sta parlando in quel momento. 

Emergenza e crisi non sono sinonimi, non sono consequenziali o propedeutici tra loro, non sono affrontabili nello stesso modo, né in fase di preparazione né in fase di esecuzione degli interventi ritenuti necessari.In linea di principio una crisi può seguire un’emergenza, ma anche non esserne preceduta; una crisi può risolversi con la fine del fenomeno che l’ha provocata o in un ritorno a uno stato emergenziale, più o meno intenso, dovuto sempre allo stesso fenomeno in corso o ad altri nuovi prodotti da quello iniziale. Una crisi può anche, sempre in linea di principio, prevedersi nelle sue cause scatenanti ma non nel suo esatto configurarsi, mentre una situazione emergenziale è nota da sempre, nei minimi particolari, e se ne conoscono metodologie di intervento e procedure operative per uscirne il più rapidamente possibile.

Emergenza

Cos’è un’emergenza? Il lemma è chiaro nelle sue varie accezioni e nell’origine. Emergenza è qualcosa che emerge rispetto all’andamento medio delle cose. Nei vocabolari troviamo la spiegazione dei suoi vari significati applicati al linguaggio di tutti i giorni, di cui forse, per il nostro intento, appare di particolare rilievo, quello collegato all’inglese emergency:

“…particolare condizione di cose, momento critico, che richiede un intervento immediato, soprattutto nella locuzione stato di emergenza (espressione peraltro priva di un preciso significato giuridico nell’ordinamento italiano, che, in situazioni di tal genere, prevede invece lo stato di pericolo pubblico). Con usi più generici e più com.: avere un’e.; essere, trovarsi in una situazione di e., di improvvisa difficoltà; intervenire solo in caso di e.; formare un governo di e.; adottare provvedimenti di e., eccezionali, ma resi necessarî dalla particolare situazione; cercare un rimedio d’emergenza. c. Freno, dispositivo di e., previsti per l’impiego in caso di necessità eccezionale (in partic., il dispositivo frenante che consente di arrestare un locomotore previa segnalazione acustica).” (Treccani).

In un ambiente antropizzato, un grattacielo è usualmente definito quale emergenza del tessuto urbano. Se sposto lo stesso grattacielo nel centro di New York, esso non costituisce più un’emergenza, bensì il normale andamento dello skyline cittadino. Quindi possiamo dire che l’emergenza è relativa al contesto in cui si sviluppa, non è la stessa ovunque e in ogni occasione.

Per un ospedale, l’arrivo di numerosi pazienti contemporaneamente costituisce un’emergenza. Infatti il pronto soccorso in inglese si chiama Emergency Room. All’interno dei pronto soccorso si gestiscono le emergenze sanitarie dei singoli pazienti che, altrimenti, non sarebbero stati trasportati al pronto soccorso, bensì curati a casa o in ambulatorio (sempre che il sistema sanitario sul territorio funzioni). Questo vuol dire che i medici del pronto soccorso sono addestrati all’emergenza medica per i singoli pazienti e, anche, che l’emergenza può non essere generale, bensì riferita solo a uno o più aspetti del fenomeno analizzato.

Quegli stessi medici sono addestrati all’emergenza causata da un evento per il quale c’è la necessità di gestire l’insieme del servizio sanitario di tutto un territorio? La risposta è che non ce n’è bisogno. Dovrebbero esserci, o ci sono, apposite intelligenze per questo aspetto, legate alle Direzioni Generali delle Aziende Ospedaliere e ai Centri Operativi del Soccorso Sanitario Urgente (ex 118) strutturate secondo procedure operative standard, inerenti i Piani di Emergenza dei singoli ospedali, al vertice delle quali agiscono le Autorità regionali competenti per la necessaria opera di coordinamento.[1] Quindi, il sistema salute è addestrato anche all’emergenza territoriale o organizzato per fronteggiarla quotidianamente. 

L’intervento di una pattuglia delle Forze dell’Ordine per arrestare dei rapinatori è anch’essa un’emergenza, sia perché l’arresto è comunque una fase a rischio di violenza, sia perché, pur essendo le rapine eventi che si ripetono nel tempo, quella particolare pattuglia certamente avrà operato, nella sua esperienza lavorativa, poche volte in tali frangenti. Questo vuol dire che le Forze dell’Ordine sono addestrate all’emergenza per poter svolgere la loro attività quotidiana, pur sperando di non trovarsi mai nel frangente di doverla gestire.

E ancora, un incendio per i Vigili del Fuoco costituisce anch’esso un’emergenza, considerato che comunque mette a rischio l’incolumità degli operatori e la credibilità del sistema se l’intervento fallisse. Quindi i Vigili del fuoco sono addestrati all’emergenza. Ma un incendio di sterpaglie o di sottobosco, l’incendio di una villetta e l’incendio di una palazzina di dieci piani non sono allo stesso livello di emergenza. Si introduce, così, anche, il concetto di emergenze di diversa gravità, che comportano differenti livelli di competenza, addestramento e mezzi tecnici per essere affrontate.

I militari che si scontrano con il nemico o che pattugliano una zona pericolosa in territorio ostile o che si prodigano in territori ancora da stabilizzare, non sono forse anch’essi in una situazione di emergenza? Certamente non avviene tutti i giorni un conflitto a fuoco e per la maggioranza degli uomini e delle donne che prestano servizio nelle Forze Armate può capitare una volta nella vita. Quindi, anche le Forze Armate sono addestrate all’emergenza. Del resto, l’esistenza stessa delle Forze Armate è relativa alla gestione di una potenziale emergenza dell’intera Nazione: la guerra o la difesa del territorio. 

Da questi esempi emergono due aspetti:

  1. le forze del soccorso e, in generale, chi opera sul campo, sono addestrate, e si sono preparate, soprattutto per l’emergenza, non per stare in ufficio a compilare moduli, non per rilasciare ricette per i farmaci del Servizio Sanitario Nazionale, non per fare la guardia alle caserme. L’addestramento delle Forze e dei loro comandanti si traduce in capacità operative e disponibilità di risorse, inquadrate in un insieme di procedure operative standard e di pianificazioni specifiche, utilizzate per ciascuna fattispecie probabile.
  2. esistono vari gradi di emergenza, che richiedono sempre maggiore impegno, uso di risorse speciali, applicazione dell’addestramento ricevuto a mano a mano che si sale nella scala di gravità degli eventi. Un incendio in una palazzina è meno complesso di un incendio in una industria chimica che a sua volta lo è di meno di un incendio in una centrale nucleare.

In conclusione, e in un’ottica gestionale:L'”emergenza” è quella situazione, durante la quale, nel corso di una attività ordinaria, cui siamo preparati, siamo costretti a operare usando una quota rilevante delle risorse disponibili e/o delle nostre capacità personali, fino a giungere al massimo livello di disponibilità e capacità. Ogni ulteriore necessità ci porterebbe al di là della “soglia di crisi”, traducendosi in una riduzione dell’efficienza e dell’efficacia della risposta, e in un’assenza di dati validi da utilizzare nel processo decisionale”.

Crisi

Per comprendere cosa sia una “crisi”, sono utili le parole della giornalista Svetlana Aleksievič che, nel descrivere cosa accadde a Chernobyl (1996) scrive:

«È più che una catastrofe […] È accaduto qualcosa per cui ancora non abbiamo né un sistema di rappresentazione, né analogie, né esperienza, per cui non è adeguata né la nostra vista, né il nostro orecchio ed è perfino inadatto il nostro vocabolario […]. Chernobyl ci ha trasferiti in un’altra epoca.” E, ancora: “… oltre la nostra cultura e la nostra conoscenza. Ricordo che l’insegnante a scuola mi diceva: ‘Tolstoj e Dostoevskij una volta mi venivano sempre in aiuto. Ora sono impotenti, non mi possono aiutare’”.

Se un amico o amica vi dice che sta vivendo una crisi sentimentale, se il telegiornale parla della crisi finanziaria di un’azienda importante, se parlando in famiglia dite che siete in crisi perché non sapete decidere se accettare una nuova proposta di lavoro, in tutti questi casi il significato della parola è chiaro. Ci sono molteplici fattispecie per le quali può ingenerarsi una crisi. 

Situazioni critiche o suscettibili di esserlo afferiscono non solo alla vita di tutti i giorni delle persone ma anche a quella delle strutture sociali organizzate. In entrambi i casi, ci si rende conto di essere in crisi perché non si sa cosa fare, non si riesce a vedere, una strada sicura per risolvere la situazione, non si hanno certezze sui risultati.

Una crisi, oltretutto, non è sempre lampante, immediata e riconoscibile. Ci possono essere situazioni che si presentano all’inizio come normali, ovvero note e già affrontate, che rientrano nelle nostre personali capacità risolutive sia come singoli individui sia come organizzazione.

Ad esempio, facendo riferimento ad attività istituzionali, un incendio in una villetta tra molte villette in una qualunque periferia cittadina è per i Vigili del fuoco uno scenario noto, di complessità bassa. Quindi, predisposto fuori quanto necessario, si valuta la situazione a quel punto una squadra entra per verificare che non vi siano persone e per operare.

L’incendio non presenta particolari necessità. Nel corso dell’ispezione per verificare la presenza di persone, però, al piano terra, in una stanza che tra pochi minuti verrà certamente raggiunta dal fuoco, vengono rinvenuti numerosi contenitori che riportano il marchio degli esplosivi. Alcune casse sono aperte mostrando anche cartucce e caricatori per armi automatiche. Quello che è iniziato come un intervento ordinario è diventato in pochi secondi un intervento di gestione crisi. Perché? Non per l’attività dei Vigili del Fuoco che, secondo le usuali procedure, viene immediatamente interrotta per la sicurezza degli operatori. Quella che entra in crisi è l’organizzazione del territorio, non predisposta per una simile evenienza.

Non abbiamo contezza del quantitativo e del tipo di esplosivi, e dobbiamo ritenere che un’esplosione, anche molto potente, avverrà in alcuni minuti. Si può fare qualcosa per evitare l’esplosione? Si ha il tempo per mettere in sicurezza il quartiere? Tutte domande alle quali non si può dare una risposta. Ecco la crisi. Ovviamente, più velocemente si reagisce, più facilmente si riesce a limitarne l’effetto conseguente.

Decisioni per l’incolumità della popolazione circostante dovranno comunque essere prese. Non si può evacuare, non c’è il tempo. Forse il riparo al chiuso potrebbe essere l’unica opzione possibile, ma c’è una villetta a trenta metri di distanza che è particolarmente a rischio, se l’esplosione fosse particolarmente potente. Si può pensare di evacuarla immediatamente ma, per gli abitanti delle altre, non c’è che il riparo al chiuso. Come avvertirli? Quanto tempo sarà necessario per allertare tutte le case e per bloccare il traffico a distanza di sicurezza? Che istruzioni fornire con prontezza per fare in modo che le persone che rimangono in casa siano al sicuro?

In questa situazione al limite non vi sono possibilità operative che possano soddisfare completamente chi valuta e decide. Si dovrà inventare al momento, sulla base della conformazione dei luoghi e si dovrà comunque accettare di non riuscire ad avvertire tutti in tempo. Appunto, una crisi.[1] Ogni volta che si prenderà una decisione non si potrà avere certezza, non avendo dati sufficienti, che i risultati conseguiti siano efficaci in relazione a ciò che si è deciso.

La stessa logica utilizzata per l’incendio della villetta vale per situazioni molto più estese e di generale interesse, che comprendono crisi che hanno la capacità di coinvolgere la nostra società nel suo complesso. Come per tutte le condizioni “critiche”, non si può pianificare nello specifico immaginando gli interventi da eseguire. Non solo non si conoscono i contorni dell’evento che scatenerà la crisi, ma non si ha idea di quale evento si potrà presentare. Un terremoto, più terremoti, un attacco terroristico, chimico, biologico, radiologico; una bomba atomica clandestinamente fatta entrare nel porto di Napoli o di Genova;. un passaggio inatteso di un virus da animale a uomo e lo scatenarsi di un’epidemia e poi di una pandemia; l’impatto di una meteora di rilevanti dimensioni, un “flare”[2] solare.[3] Manca l’invasione marziana. quando avremo contezza che esistono i marziani dovremo inserire nell’elenco anche quella.[4]

Come per le emergenze, così le crisi si presentano:

  • con connotazioni di maggiore o minore intensità, pur se gli effetti sistemici in una crisi che coinvolga il territorio sono gli stessi sempre, assolutamente intersettoriali;
  • per quanto riguarda la categoria tempo, una crisi può differire da un’altra, sia da un punto di vista di durata sia di successione dei fatti.

Per quanto riguarda la categoria tempo, possiamo individuare alcune particolari situazioni:

  1. L’emergenza non è stata affrontata in modo efficace, potrebbero essere stati commessi errori nell’uso delle risorse e nell’applicazione delle pianificazioni (si vedrà nei mesi a seguire con le analisi a freddo di quanto accaduto) o il processo decisionale si è impantanato in mille distinguo, anche di tipo politico. Non si riesce più a gestire quel che accade sul territorio con risultati certi. Si è raggiunta e superata la soglia di crisi. La possibile impreparazione dei decisori dell’alta catena di comando e controllo non solo non ha permesso un’efficace gestione dell’evento, ma ha anche abbassato drasticamente la soglia di crisi che, per la preparazione delle forze del soccorso e la dotazione di risorse era invece ben più alta. La soglia di crisi, potenzialmente ben più lontana, era invece a un livello toppo basso ed è stata superata troppo presto. Probabilmente i tecnici della gestione crisi (non esperti di materie le più disparate) hanno avvertito che si stava correndo verso problemi notevoli, ma non sono stati ascoltati.
  2. La crisi è perfettamente prevedibile nel suo presentarsi e non si può fare nulla per evitarla, se non cercando di essere preparati al meglio, avendone il tempo, pur essendo coscienti di avere idee generiche sul modo di configurarsi della stessa, attesa e incipiente. Gli esempi che seguono, decisamente catastrofici, rientrano nel concetto del possibile pur se non probabile, considerando che sono già avvenuti in passato. Si può immaginare la prevista caduta sulla terra di un grande meteorite, di una massa pari a 10 volte quella di Tunguska in Siberia:[1] si conosce perfettamente la data dell’impatto, gli astronomi hanno fatto i loro calcoli. Si può fare qualcosa? Esistono i mezzi tecnici e tecnologici per impedirlo? Sembrerebbe che non sia possibile, almeno dalla letteratura scientifica in materia, al di là dei numerosi film sull’argomento. Immaginiamo, ora, che il supervulcano dei Campi Flegrei[2]decida che è giunto il momento di darsi da fare seriamente o, peggio, che decida di farlo quello dello Yellowstone[3] negli Stati Uniti. Anche per questo tipo di fenomeno, se si verificasse il massimo evento possibile, si sa che le conseguenze potrebbero essere catastrofiche per l’intero pianeta. Si può avere comunque la certezza che qualcosa di grave avverrà ma difficilmente potremmo sapere con esattezza il momento, e se si tratterà del massimo evento possibile o di uno più contenuto, le cui conseguenze sarebbero più facilmente ammortizzabili.
  3. La crisi si presenta all’improvviso, o, in realtà, si era già in crisi senza saperlo. Questo è quel che è accaduto per il COVID 19: per accorgersi di essere in crisi c’è voluto tempo, tanto, troppo. All’inizio, tutti gli interventi sono effettuati con metodologie ordinarie, quelle ben note e nel know-how dei decisori o dei “tecnici” che dovrebbero supportarli. Tali tecnici sono quelli usualmente convocati o già frequentati, o quelli amici; probabilmente per l’urgenza degli accadimenti si omette di verificare preventivamente la loro reale capacità di valutazione per la situazione in corso. Poi ci si rende conto che i risultati non giungono nel modo previsto, che i dati elaborati non consentono valutazioni certe, che molte delle decisioni potrebbero essere errate, come molte hanno già mostrato di esserlo. Le indicazioni fornite alla popolazione sono confuse e contraddittorie; personaggi con competenze molto settoriali, e nessuna preparazione nello specifico della gestione crisi, parlano di quel che avviene, utilizzando i media senza contraddittorio ufficiale; chi ascolta non ha direttive   da far sue e, quando queste arrivano, sono in contraddizione logica con quanto affermato dagli “esperti alla televisione”. La catena di comando non è in grado di valutare gli effetti a cascata degli eventi e le conseguenze nel medio e lungo termine delle decisioni prese.

La soglia di crisi

Se si passa dall’emergenza alla crisi si attraversa la cosiddetta “soglia di crisi”. La soglia è un momento topico, o un concatenarsi di eventi, che conducono all’assenza di una sicura efficacia delle azioni intraprese. Attenzione però, si potrebbe anche non avere subito o in tempi brevi la contezza di aver superato la soglia, specialmente se si tratta di macro-eventi e della gestione generale del territorio.

Quando si affronta una fattispecie più contenuta, un incendio, una rapina, uno scontro con il nemico, una maxi-emergenza ospedaliera, la nostra preparazione ci permette da subito di capire se saremo in grado, al netto delle sorprese, di affrontare o meno quella particolare situazione. Se così è, si resta nell’ambito dell’emergenza; se non lo è, si è da subito in crisi.

Quindi, in fin dei conti, se si vuole, per quanto possibile, evitare di attraversare quel limite, se si vuole che qualunque cosa capiti non si manifesti direttamente oltre la soglia di crisi, è necessario che quella linea, quel limite, quella soglia, appunto, sia più in alto possibile. Nel semplice disegno sottostante è geometricamente ben chiaro che, se si potesse idealmente alzare la linea fino al vertice del triangolo, semplicemente la crisi non avverrebbe mai, né passando attraverso l’emergenza né se qualcosa di sconosciuto dovesse accadere.

Ovviamente non è possibile che qualunque cosa possa capitare nella storia futura si sia sempre preparati e pronti ad affrontarla. Inoltre, pur essendosi preparati, un evento emergenziale può portare comunque all’esaurimento delle risorse sconfinando così nella crisi; e ancora, fatti sconosciuti o nascosti, e quindi non valutati né valutabili, potrebbero emergere dopo che i decisori hanno preso le necessarie iniziative e ciò può comportare che quelle decisioni, senz’altro corrette per quel che stava accadendo, si dimostrino poi errate conducendo alla crisi.

La preparazione è l’unico mezzo possibile per alzare la soglia di crisi. Addestramento, studio continuo, trasferimento di conoscenze, disponibilità di risorse, anche economiche, chiarezza per le linee di approvvigionamento di nuove o ulteriori risorse, automatismi decisionali dove possibile, catene di comando chiare, univoche, autorevoli, pianificazioni sia generali che specifiche aggiornate, esercitate, conosciute: questo significa essere preparati!

Quello che segue è un esempio leggero leggero, da descrivere in poche righe, per chiarire concretamente il concetto di preparazione.

Immaginiamo che il vostro Capo supremo, imperituro e sovrano, da cui dipendono le vostre fortune di carriera (stipendiali soprattutto), vi abbia convocato per comunicazioni urgenti per domani mattina alle ore 08.00 Zulu in punto, “mi raccomando la puntualità” ha detto la segreteria.

Giunto il giorno (si mormora da tempo di nuovi incarichi e promozioni), vi alzate per tempo, vi preparate con cura (potreste aver rimosso anche uno strato di pelle fresca con la rasatura accurata appena fatta), e uscite. L’auto è parcheggiata poco lontano, due minuti a piedi. Piove. Forse è il caso di risalire a prendere l’ombrello. Riscendete e velocemente andate verso la macchina. Piove sempre più forte, ma siete riparati: avete l’ombrello. Entrate in auto, mettete in moto e partite. Anzi no, fatta un po’ di manovra realizzate che probabilmente una ruota è a terra. Scendete a verificare ed è proprio come temevate: gomma a terra. E non solo, guardando vi rendete conto che è stata squarciata e che durante la notte si sono divertiti anche a incidere figure più o meno prosaiche sul cofano della macchina. Nuova.

Esaurito l’elenco delle imprecazioni più comuni e iniziando ad affrontare quelle complesse e di particolare involuzione linguistica, stabilite che cambiare voi la ruota non se ne parla proprio. A parte che piove sempre, ci sta anche il solito rigagnolo amazzonico lungo il marciapiede che vi impedirebbe di lavorare e dovreste poi tornare a casa a cambiarvi e il tempo non c’è.

Rapida fase decisionale. La macchina della moglie non è possibile prenderla perché è già andata via, i mezzi pubblici non se ne parla per i tempi. L’unica soluzione è il taxi. Chiamate via mobile e apprendete con sgomento che, atteso il traffico, la meteorologia corrente e l’opposizione di Saturno con il Sole natio, il tempo previsto perché il taxi vi raggiunga è di venti minuti. Considerato il traffico e la pioggia battente ritenete che giungereste in ufficio, a questo punto, alle 07.56 Zulu. In tempo, ma solo sperando di poter fare i quattro piani di corsa in tre minuti o meno; dell’ascensore neanche a parlarne, a quell’ora prenderlo è come fare la coda alle Poste.

Il processo decisionale è corretto ma, c’è sempre un ma, non avete tenuto conto, anche, del quadrato Luna Marte in terza casa. Errore fatale. Due minuti dopo che il taxi vi ha prelevato, avviene un incontro di lamiere al primo incrocio attraversato e, inutile dirlo, una delle lamiere coinvolte è quella del vostro taxi. Conseguenzialmente, la crisi è scatenata. Arriverete in ufficio alle 09.20 Zulu, con nessuna speranza di poter riprendere in mano la situazione. Situazione ordinaria che diventa emergenza, che sale a emergenza grave e sfocia in una crisi.

Si poteva fare qualcosa per cercare di evitarla quella crisi, riducendo le conseguenze dell’assolutamente inusuale, non previsto, danno prodotto dai vandali notturni sull’auto di proprietà? Si, certamente.

  1. Informarsi sulle condizioni meteo previste per l’indomani.
  2. Alzarsi qualche minuto prima.
  3. Chiedere alla moglie di aspettare l’arrivo in ufficio, solo per quel giorno, prima di andare via con l’altra macchina.
  4. Chiedere da subito il taxi e usare, se del caso, la propria macchina quale backup.
  5. Predisporre quanto necessario per l’eventuale uso dei mezzi pubblici.
  6. Prendere accordi con amico fornito di moto per assicurarsi passaggio di emergenza quale ultima ratio.

Quanto sopra si chiama “analisi del rischio” e si chiamano preparazione e pianificazione quel che era necessario predisporre per essere sicuri, per quanto umanamente possibile, di conseguire il risultato, qualunque fossero le situazioni improbabili ma possibili che si potevano verificare. Per la gestione del territorio, sarebbero necessari volumi di analisi e riflessioni considerato quanto complessa sarebbe una crisi di tale livello.

La pianificazione di crisi è racchiusa nella logica dei sei punti sopra riportati. Certamente non nel fatto di sentire le previsioni meteo per affrontare le conseguenze di un’alluvione o prenotare per tempo un taxi in caso di caduta di un meteorite gigante. Quel che è necessario è pensare in generale. Non so il motivo per cui non riuscirò a usare l’auto domattina ma potrei non essere in grado di usarla. Si studiano le conseguenze e si fa l’analisi delle possibili ulteriori congiunture negative dovute al fatto di non poter usare l’auto, si ideano delle soluzioni attuabili con le loro possibili alternative, si fanno i preparativi necessari. Poi, non accadrà nulla, la giornata sarà bellissima, il taxi arriverà in orario e io sarò in ufficio molto prima del dovuto, ma l’alternativa non era accettabile.

Così per una epidemia/pandemia, quale ulteriore esempio, non si deve pianificare per stabilire quale tipo di vaccino usare, ma sapere di aver predisposto una linea vaccinale efficiente, ricerca compresa, senza la quale si dipende dall’estero; instaurare accordi con le industrie private, con il cui aiuto la ricerca e la futura produzione saranno più veloci; individuare o strutturare sul proprio territorio fonti di approvvigionamento sicure, non dipendenti da terzi che in caso di pandemia hanno la stessa necessità di acquisizione; strutture di produzione e distribuzione sotto controllo, per evitare ritardi, accaparramenti e distrazioni. In questo modo, qualunque sia il malefico virus che in futuro tornerà a colpire il problema vaccino è già risolto. Certo bisogna inventarlo ma il necessario per farlo è già stato creato, quando non sembrava ve ne fosse alcuna necessità. 

Poi ci sono gli altri centomila aspetti cui pensare nella stesura di una pianificazione generale di Difesa Civile/Gestione Crisi.

Il significato e l’occasione da non perdere

L’etimologia della parola crisi è estremamente interessante per il pianificatore e il decisore. Crisi, infatti, deriva dal verbo greco “krino” (κρίνω), che vuol dire “separare”, anche nel senso più ampio di discernere, giudicare, valutare. Non ha quindi alla sua origine un’accezione solo negativa, di un peggioramento grave della situazione in corso.

La “crisi” è, quindi, anche un momento di riflessione e valutazione, ed è certamente il presupposto necessario, e magari unico, in quel particolare momento storico, per migliorare le cose, svilupparle cambiandole, vivificare il tutto.

Anche in cinese mandarino il simbolo che rappresenta la “crisi”, pur avendo lo stesso moderno significato negativo della parola occidentale, ha un afflato non necessariamente tale. Secondo la 10a edizione di Xinhua Zidian, il dizionario cinese più diffuso, il carattere  (機) in Weiji (危機) ha moltissimi significati, diversi tra loro; tra questi: “un punto in cui accadono o cambiano le cose”. L’altro carattere invece, 危(Wei), significa decisamente pericolo. Quindi: una situazione di pericolo in cui le cose accadono, anche cambiando.

Insomma, le situazioni di crisi sono una grande opportunità, al di là delle ovvie conseguenze spesso decisamente non piacevoli (eufemismo), per rivedere, alla luce del pericolo affrontato, il proprio percorso decisionale. Le lezioni apprese da una crisi ormai superata possono aprirci a una nuova consapevolezza dei nostri limiti e delle necessità da soddisfare per evitare future analoghe situazioni.

Una crisi non si risolve. Si cerca di attenuarne le conseguenze negative. I danni sono fatti, anche danni profondi che non permetteranno più un ritorno pieno al “quo ante”. E questo è l’impegno che l’Alleanza Atlantica ha chiesto a tutti i Paesi membri: fare in modo che negli aspetti cruciali della moderna struttura dei sistemi occidentali (continuità dell’azione di governo, recupero della coesione della popolazione, salute e benessere sociale, comunicazioni, energia, trasporti, cibo e acqua) tutti raggiungano una capacità di resilienza tale da fare in modo che, qualunque sia la crisi che si scatenerà, l’insieme ritorni il più rapidamente possibile a un accettabile livello di funzionamento, comparabile con quello precedente la crisi.

Comparabile non vuol dire uguale. Non vuol dire uguale non perché necessariamente inferiore a quello precedente, ma indubbiamente perché diverso: avendo imparato, non ci si struttura nello stesso modo errato di prima (il cambiamento).


Roma, maggio 2020

Giovanni Ferrari

CBRN Expert

NATO Civil Emergency Planning Expert in Analysis and Consequence Management


[1]– Linee guida “Pianificazione dell’emergenza intraospedaliera a fronte di una maxi-emergenza” Presidenza del Consiglio dei Ministri -Dipartimento della Protezione Civile. 1998.

[2]– G.Ferrari-F.Di Paolo – http://www.omeganews.info/?p=4517

[3]– Intensa emissione di plasma solare che può arrivare a coinvolgere i pianeti del sistema solare anche oltre l’orbita terrestre, con potenziali devastanti effetti sulla distribuzione dell’energia elettrica e le comunicazioni.

[4] – Tutte queste fattispecie sono possibili, pur se non probabili. La NATO già da anni invita i Paesi Alleati a pianificare per “l’impensabile”, ritenendo che tale modo di pianificare possa coprire poi il 100% del probabile.

[5]– G.Ferrari-F.Di Paolo – http://www.omeganews.info/?p=4517

[6] – Il 30 giugno 1908 l’impatto diretto sul terreno della meteora in realtà non avvenne. La massa rocciosa esplose nell’atmosfera per l’alta temperatura raggiunta, a un’altezza di 5-10 km. Abbattè decine di milioni di alberi e il lampo sembra sia stato visto a 700 km di distanza. “Il mistero di Tunguska”, di Luca Gasperini, Enrico Bonetti, Giuseppe Longo, pubbl. su “le Scienze (American Scientific), num.479, agosto 2008, pag.38-44 – N. V. Vasiliev, A. F. Kovalevsky, S. A. Razin, L. E. Epiktetova (1981). Eyewitness accounts of Tunguska (Crash). Archiviato il 30 settembre 2007 in Internet Archive., Section 6, Item 4.

[7]-University College of London; Osservatorio Vesuviano, Campi Flegrei volcano eruption possibly closer than thought, in Nature Communications.

[8] –  Il supervulcano è attivo. Ha 17 milioni di anni e ne conosciamo geologicamente almeno 150 violente eruzioni/esplosioni, anche a distanza di migliaia di anni l’una dall’altra. Le più potenti conosciute hanno coinvolto il 60% del territorio degli attuali Stati Uniti.