Metabolizzare Covid-19. Il prossimo virus non sia una sorpresa!

Il mondo, sempre più frequentemente ed intensamente “pandemico”, dovrà prepararsi alle future sfide, incrementando la tutela delle recenti conquiste dell’umanità sul piano valoriale culturale sociale economico e creando protocolli sicuri ed identiificabili di difesa contro intrusioni indebite e contro le azioni di disturbo che il web rende sempre più facili ed insidiose.

di Giovanni Ferrari e Ferruccio di Paolo

L’attuale situazione internazionale, con la presenza di una pandemia globale di cui ancora non si conoscono le potenzialità e gli effetti nel medio e lungo termine, ha messo in evidenza la fragilità del sistema produttivo, finanziario ed economico della società contemporanea, interconnessa e globalizzata. La diffusione del COVID-19 sta creando danni enormi e potenzialmente di lunga durata non solo all’economia, ma allo stesso tessuto sociale dei paesi occidentali. 

Imparare dalle difficoltà che stiamo affrontando può permettere di non farci cogliere di sorpresa rispetto ad altri, altrettanto disastrosi, eventi che potrebbero verificarsi. Eppure, anche in questo caso non avremmo dovuto essere impreparati visti segnali che più volte c’erano stati.

Nel 2009, ad esempio, si diffuse il virus H1N1pdm09, un virus influenzale molto diverso da ogni altro virus influenzale cui eravamo abituati. 

Brano tradotto, sintetizzando, dal CDC di Atlanta[1]:

“Nella primavera del 2009 una nuova influenza H1N1 è stata rilevata dapprima negli Stati Uniti per poi diffondersi rapidamente nel mondo[2]. Questo nuovo virus conteneva una combinazione genetica unica precedentemente mai identificata in animali o persone. Pochi giovani avevano una qualche immunità a questo nuovo virus, ma la popolazione over 60 avevano anticorpi, probabilmente per i contatti di una vita con altri virus influenzali. Il vaccino fu disponibile a fine novembre 2009, dopo che era sopraggiunto il picco della seconda ondata della malattia negli USA”.

“Dal 12 aprile del 2009 al 10 aprile del 2010 il CDC ha stimato ci siano stati quasi 61 milioni di casi negli USA, con 274.304 ospedalizzazioni e 13.000 decessi. Nel mondo, sempre secondo il CDC, sono morte da 300.000 a 500.000 persone per questo virus durante il primo anno, l’80% in persone di età inferiore ai 65 anni. Durante le ordinarie influenze pandemiche l’80% delle morti riguarda persone con età superiore ai 65 anni.

Quella pandemia è stata dichiarata terminata nell’agosto del 2010. Quel virus se ne è fregato e continua a circolare come virus influenzale stagionale, e causa malattie, ricoveri e decessi ogni anno in tutto il mondo (attenuato nella sua morbilità e mortalità ndA)”.

Quell’episodio preoccupò notevolmente non solo la comunità medico-scientifica, ma anche quella dei Piani Civili di Emergenza. Fu allora che si teorizzò che un’eventuale influenza pandemica dovuta all’ aviaria (potenzialità del 20% di decessi nelle persone colpite e del 90-100% negli uccelli nella sua forma più virulenta) non poteva essere considerata solamente un fatto medico, ma una problematica che arrivava a coinvolgere la sicurezza stessa e la tenuta economica e democratica dei Paesi colpiti. Per non parlare poi del più temuto disastro: il passaggio da animale (scimmia o cammello) all’uomo del virus del vaiolo, dichiarato estinto in natura per il tipo variola major, ma ancora ben attivo in quelle due specie animali, i cui contatti con l’uomo sono noti.

Per quanto attiene la mortalità dell’aviaria (20%) è una stima basata sui casi, rari, di passaggio da animale a uomo del virus, senza però la capacità dello stesso di passare da uomo a uomo. La sesta ondata cinese di influenza aviaria H7N9 in Cina negli esseri umani ha raggiunto il picco nel 2016-2017 con quasi 800 casi; in tutto il mondo, oltre 1500 casi umani e almeno 615 morti sono stati segnalati all’Organizzazione Mondiale della Sanità dal 2013[3]

I virus influenzali che hanno prodotto I casi pandemici noti hanno invece valori di mortalità decisamente più bassi:

  • 2009: H1N1         0.001-0,007% della popolazione mondiale
  • 1968: H3N2         0,03% della popolazione mondiale
  • 1918: H1N1         1-3% della popolazione mondiale

La comparazione tra questi dati è comunque non corretta. La differenza tra la cosiddetta “spagnola” del 1918 e la “suina” del 2009 ha visto capacità medica e di stato di salute complessivo della popolazione ben diverse tra loro. È molto probabile che se il virus del 1918 avesse colpito nel 2009 avrebbe provocato un numero di decessi forse analogo a quello dell’influenza del 1968. È pur vero che allora non furono usate quarantene né blocchi all’ordinaria vita produttiva. L’attuale attenzione ha certamente ridotto, almeno nei Paesi più attenti, la diffusione del morbo.

Quante volte ci siamo detti scherzando, anche prima del 2009 invero, che ciò che distruggerà l’umanità sta tranquillamente crescendo e riproducendosi in una qualche foresta tropicale.

Ora, il COVID non è un virus influenzale, si tratta di un coronavirus di nuova nascita. Più aggressivo nei suoi effetti sull’uomo di quanto lo siano le usuali influenze, probabilmente spagnola compresa. Sono 700.000 i casi confermati nel mondo in tre mesi (gennaio-marzo). La comunità scientifica afferma che per questa pandemia, come per le altre di tipo respiratorio, si può considerare da 10 a 100 il moltiplicatore per stabilire il numero totale vero dei contagiati. Si tratterebbe quindi, in tre mesi, di 7.000.000 di reali contagiati se usiamo il fattore 10. Considerando però che è appena uscita una ricerca dell’Imperial College di Londra che stima, sulla base dei dati noti, in 5,9 milioni i contagiati in Italia, nel mondo non possono essere 7 milioni. E’ possibile ritenere che a fine marzo 2020, nel mondo, ci siano almeno 50 milioni di contagiati.

Questa pandemia ha giustamente ingenerato molta più apprensione rispetto a quella del 2009, timore giustificato in quanto il COVID 19, pur essendo un virus libero in natura, passato per salto di specie alla razza umana, ha gli effetti previsti per un aggressivo biologico di tipo militare: alta contagiosità, bassa mortalità ma complicanze frequenti e difficili da curare, con necessità di ricoveri in medicina d’urgenza e conseguente saturazione dei reparti specializzati ospedalieri e riduzione delle capacità operative dell’intero sistema sanitario e una relativamente facile individuazione di vaccino, almeno per chi lo conosce da subito. La diffusione del COVID-19 rappresenta anche l’occasione perfetta per studiare l’operato di un aggressivo biologico sui sistemi produttivi, sociali, democratici di una nazione.

Questo è anche il punto notevole da analizzare e tenere in considerazione: non possiamo perdere l’occasione per studiare l’operato di un aggressivo biologico con queste caratteristiche non solo da un punto di vista della risposta sanitaria, ma anche sui sistemi produttivi, sociali, democratici di una nazione e sulla loro capacità di resilienza.

La produzione, la conservazione e l’uso di armi biologiche sono proibite[4]. Ciò non toglie però che la ricerca, anche solo per fini scientifici, continua nel produrre o cercare di produrre organismi modificati. Anche in questo evento pandemico la primissima voce diffusasi è stata che si trattava di un virus sfuggito da un laboratorio Sino-Americano di Wuhan. Poi le analisi di laboratorio hanno dimostrato il salto di specie da pipistrello a uomo (da mammifero a mammifero).

In un futuro che certamente non si verificherà mai, ma che potrebbe verificarsi, le meccaniche per un rilascio voluto di un agente patogeno saranno analoghe all’attuale pandemia, solo che i focolai iniziali saranno multipli, con tutte le ovvie conseguenze. 

Fin dagli eventi del 2001, due torri e antrace, è stata evidenziata l’impreparazione dei Paesi Alleati, e dell’Italia, a poter affrontare in modo efficace una crisi prodotta da un agente patogeno virale di tipo respiratorio. Poco è stato fatto per definire automatismi per comuni procedure di intervento e soccorso reciproco. Eppure, nelle numerose esercitazioni per posti di comando che si sono tenute in più riprese (su vaioloH5N1-aviariaPastorella Pestischimera Marburg-H5N1), le conseguenze sui sistemi erano ben evidenti.

Ora bisognerebbe imparare dalle criticità. Ripensare le pianificazioni presenti, le modalità di preparazione e di addestramento sul territorio nazionale. Moltissimo c’è da fare. Sia chiaro, non per affrontare una futura guerra batteriologica, bensì per essere in grado di gestire, meglio, quel futuro piccolo “bastardissimo” virus che, in questo momento, sta beatamente crescendo e riproducendosi in una qualche foresta pluviale del Centro Africa, coabitando senza problemi con un animale qualunque, mammifero o uccello che sia.


[1] Centers for Disease Control and Prevention (CDC), Atlanta (Georgia), USA

[2] in realtà, anche dalla mia personale memoria, è di tutta evidenza che l’epidemia iniziò in Messico, sembra per la pessima tenuta di quello che fu dichiarato dalla stampa come il più grande allevamento di maiali a livello industriale del mondo. La stampa dell’epoca riportò anche che la compagnia statunitense che lo possedeva aveva dovuto spostare l’attività in Messico in seguito a problemi legati ai metodi di gestione e ai pericoli per la salute pubblica che aveva prodotto negli Stati Uniti ndA

[3] World Health Organization: Influenza at the human-animal interface: Summary and assessment, 26 November 2019 to 20 January 2020. Ricavato dal Manuale MSD il 28/2/2020.

[4] La Convenzione sulla proibizione dello sviluppo, produzione e immagazzinamento delle armi batteriologiche (biologiche) e sulle armi tossiche e sulla loro distruzione (di solito denominata Convenzione per le armi biologiche, abbreviazione: BWC da Biological Weapons Convention in inglese) è stato il primo trattato multilaterale sul disarmo che vieta la produzione di una intera categoria di armi. È stato il risultato degli sforzi prolungati da parte della comunità internazionale per creare un nuovo strumento che andava a completare il Protocollo di Ginevra del 1925.Il BWC è stato aperto alle firme il 10 aprile 1972 ed è entrato in vigore il 26 marzo 1975, quando 22 governi lo hanno ratificato. Attualmente impegna 163 Stati che vi partecipano a proibire lo sviluppo, la produzione e lo stoccaggio di armi biologiche e tossiche. Tuttavia, l’assenza di qualsiasi sistema di verifica formale di monitoraggio ha limitato l’efficacia della convenzione.

Giovanni Ferrari e Ferruccio di Paolo

Giovanni Ferrari, ArchitectCBRN ExpertNATO Civil Emergency Planning Expert in Analysis and Consequence Management Ferruccio Di Paolo, sociologistCommunication SpecialistNATO Civil Emergency Planning Expert in Technical matters on Crisis communication