Mediterraneo tout-court

di Enrico La Rosa

L’amico Gualdesi è stato bravissimo nell’analisi del discorso di Draghi. E il Presidente Draghi, a sua volta, è stato molto appassionato, pieno di speranze e di buoni proponimenti.

Peccato che entrambi preferiscano ignorare i pregressi dei rapporti Mediterraneo/Europa, che entrambi certamente conoscono, che costituiscono pietre miliari nel percorso non sempre parallelo e coerente delle due parti.

  1. La crescita del mondo nuovo

Il mondo nel quale oggi viviamo è stato costruito dall’azione politica, sociale, economica degli abitanti del Mediterraneo, che hanno creato la civiltà moderna ed hanno fertilizzato il pensiero sia dei grandi pensatori della Chiesa cattolica, sia dei grandi pensatori europei dei secoli successivi, che dal pensiero greco e dalle culture del Mediterraneo hanno preso spunto per le loro importanti conclusioni. 

Nel XVII/XVIII secolo, a seguito del tramonto delle grandi culture cinese e indiana ed il declino dei ricchi regni centroafricani, con America e Oceania o ancora ininfluenti o appena scoperte, i popoli e le dominazioni mediterranee, protagonisti nell’alto e medio Medioevo, erano stati ormai surclassati dalle giovani monarchie europee, a capo di Stati ormai unificati, arricchiti dalle ricchezze americane e orientali ed installate stabilmente nel mite Mediterraneo. Erano, in un certo senso, i vincitori.

Ed i vincitori narrano la storia a modo loro, oltre ad imporre la propria legge e la propria cultura. E, infatti, Cristoph Keller, latinizzato in Cellarius, filologo e pedagogo tedesco, è eminente rappresentante della cultura europea ormai dominante. Nel periodo dal 1675 al 1685 elaborò una semplicistica ripartizione della storia dell’umanità dopo la nascita di Cristo che non sarebbe più mutata. Suddivise i periodi della cultura, intesa in senso umanistico, in “antichità”, “medio evo” ed “epoca moderna” e proiettò tale suddivisione sulla storia degli Stati. Successivamente (1688), descrisse l’epoca da Costantino (IV sec.) sino alla conquista di Costantinopoli (1453) come i “secoli barbarici” del “medium aevum”. La sua suddivisione si è imposta nella storia della storiografia.

Al contrario, parafrasando affermazioni in materia di Umberto Eco, il Medio Evo non è stato un secolo, né un periodo preciso come Rinascimento e Romanticismo. Fu un fenomeno complesso durato poco più di un millennio. Ben 1016 anni, tanti quanti sono stati necessari per far nascere sulle rovine della civiltà greca e dell’Impero Romano le strutture portanti del mondo moderno.

Il Medio Evo, d’altronde, non è uno, ma tanti. L’alto, quello di mezzo ed il basso. D’Occidente e l’altro d’Oriente. Il Settentrionale ed il Tropicale. Quello Continentale freddo e asciutto, l’altro costiero temperato ed umido.

La discriminante di queste divisioni è sempre il Mediterraneo, come vedremo.

La creazione delle culture nazionali europee (e questo vale anche per il Nuovo Mondo) è stata accompagnata dall’eliminazione delle culture locali, regionali, marginali, dialettali, di tutto ciò che non si è lasciato assimilare nell’ambito del progetto di nazione o soprattutto di Stato-nazione … sarebbe auspicabile che la futura Europa fosse meno eurocentrica di quella del passato, più aperta al cosiddetto Terzo Mondo dell’Europa colonialista, meno egoista dell’«Europa delle nazioni», più consapevole di sé stessa e meno soggetta all’americanizzazione. Sarebbe utopistico aspettarsi che diventasse, in un futuro prevedibile, più culturale che commerciale, più cosmopolita che comunitaria, più comprensiva che arrogante, più accogliente che orgogliosa e, in fin dei conti, perché no, più socialista dal volto umano e meno capitalista senza volto. L’Europa centrale non è in realtà che una parte dell’Europa stessa” (Predrag Matvejević, Il Mediterraneo e l’Europa. Lezioni al College de France, Garzanti, Milano, 1998).

Tutti i grandi eventi che si sono verificati nei dieci secoli hanno avuto il Mediterraneo talvolta come scenario e molto più spesso come protagonista ed essenza stessa del copione, formidabile propulsore di cambiamento e progresso.

Se c’erano dei barbari nel Medioevo, erano a nord delle Alpi e la culla della civiltà, nonché il movimento delle ricchezze, si trovava nel Mediterraneo. A nord c’era la fame e l’antropofagismo, nel Mediterraneo entravano le enormi ricchezze importate dall’Oriente attraverso la via della seta.

«… i secoli prima dell’anno Mille erano alquanto scuri perché le invasioni barbariche … avevano a poco a poco distrutto la civiltà romana: le città si erano spopolate o erano andate in rovina, le grandi strade non venivano più curate e sparivano fra gli sterpi, erano state dimenticate tecniche fondamentali come quelle dell’estrazione dei metalli e della pietra, si erano abbandonate le culture e … interi territori erano ritornati foresta»; e ancora «… il Medioevo prima del Mille era certamente un periodo di indigenza, di fame, di insicurezza», «… La fame aveva reso tutti smunti, poveri e ricchi, e – quando non erano più restati animali da mangiare – ci si era cibati di ogni tipo di carogne e “di altre cose che destano ribrezzo al solo parlarne”, sino a che alcuni si erano ridotti a mangiare carne umana. I viandanti venivano aggrediti, uccisi a pezzi e messi a cuocere, e coloro che si mettevano in viaggio nella speranza di sfuggire alla carestia, durante la notte venivano sgozzati e divorati da chi li aveva ospitati. C’era chi attirava i bambini mostrando un frutto o un uovo per poterli scannare e cibarsene. In molti posti si mangiavano cadaveri disseppelliti …». E infine «La popolazione, sempre meno numerosa e meno robusta, era falciata da malattie endemiche (tubercolosi, lebbra, ulcere, eczemi, tumori) e da epidemie tremende come la peste. … secondo alcuni l’Europa, che nel III secolo poteva contare tra i 30 e i 40 milioni di abitanti, nel VII secolo si era ridotta a 14 o 16 milioni. Poca gente che coltivava poca terra, poca terra coltivata che nutriva poca gente. Però quando ci appressiamo al millennio, le cifre cambiano, e si parla di nuovo di 30 o 40 milioni di abitanti per l’XI secolo, mentre nel XVI secolo la popolazione europea oscillerà ormai tra i 60 e i 70 milioni … si può dire che nel giro di quattro secoli la popolazione come minimo raddoppia.    Nel X secolo iniziano a diffondersi le colture intensive di legumi», Umberto Eco, Mediterraneo, Motta editore, Milano, 2009, vol.1, pag. 21

La classificazione storica di Cellarius ha imposto la svalutazione dei tre ambiti di dominio e di civiltà corrispondenti al mondo greco-bizantino, islamico-arabo e latino-franco. Nessuna rilevanza attribuisce la storiografia mitteleuropea del XVIII secolo a passaggi fondamentali per la storia dell’umanità, quali i filosofi greci, la custodia delle loro opere grazie ai monasteri cristiani, la loro traduzione da parte degli Arabi, cui subentrarono gruppi di eruditi e cenacoli misti ebreo-cristiani-musulmani, la loro diffusione attraverso le Università, a partire da quella di Bologna (1088), di Parigi (1120), di Oxford (1170), di Napoli (1224), di Pisa (1333). L’evoluzione del pensiero, dopo essere venuto a contatto con la cultura celtica e la lenta maturazione dei pensatori europei dei secoli successivi.

Premesso che vi è “storia” ovunque esista essere pensante, in termini di civiltà l’Europa è l’ultima a poter suddividere e raccontare il Medio Evo. L’Europa è nata a Verdun nell’843. Prima di tale data non era mai esistita, se non come l’insieme delle province nordiche romane! Sino ad allora, in Occidente, era esistita unicamente la civiltà mediterranea: Fenici, Egizi, Persiani, Macedoni, Greci, Romani, Bizantini, Ottomani.

Romani, Bizantini e Ottomani, in particolare, hanno costruito l’identità mediterranea ed hanno fatto di tutto il contesto un unicum antropologico indissolubile, la cui descrizione vale molto più della storia delle battaglie, dei condottieri e dei re e imperatori.

Il susseguirsi delle fasi della storia del Mediterraneo è stata una fortunata sequenza di concatenamenti e intrecci che hanno portato allo sviluppo attuale dell’Europa.

Un periodo ricco di sconvolgimenti, vere rivoluzioni senza le quali si sarebbe perpetuato il decadentismo e l’immobilismo tardo romano. Avvenimenti che deviarono e cambiarono la storia del pianeta e ne condizionarono la vita nel millennio successivo.

Segnarono un salutare mescolamento dei popoli mediterranei ed europei le invasioni barbariche con i popoli del nord che arrivarono sino al cuore dell’Africa e l’espansione dell’Islam, con le armate arabe e turche che arrivarono quasi alla completa occupazione delle coste mediterranee e si spinsero sino al cuore dell’Europa occupando l’intera penisola iberica per più di 700 anni e insidiando Vienna con l’assedio del 1526 e la battaglia del 1683. Ma il periodo registra altri macro-eventi, quali la ripresa carolingia, la nascita delle monarchie europee, le Crociate, i viaggi di Marco Polo (1254-1324) e di Cristoforo Colombo (1451-1506) e non si può parlare di immobilismo in un periodo così lungo e con gli avvenimenti elencati sommariamente. Nel Medio Evo nutrì le proprie radici la cultura europea, nacquero le lingue europee moderne, s’instaurò la civiltà romano-barbarica o romano-germanica a occidente e quella bizantina a oriente. Le radici cristiane dell’Europa hanno un benefico contatto con la mitologia celtica, germanica e scandinava e con la filosofia greca che viene diffusa nel Medioevo. Si approfondisce in questo periodo, infatti, la conoscenza della filosofia greca e di Aristotele anche grazie alle traduzioni arabe. «In tutte e tre le religioni vi furono senza dubbio dei letteralisti e dei fondamentalisti. La filosofia greca finì per imporre dappertutto taluni quadri concettuali, mentre la logica aristotelica favorì l’introduzione di taluni metodi di ragionamento. A Baghdad, nella Casa della Saggezza, Bayt al-Hikma, fondata dal Califfo Ma’mûn, si concentrò l’eredità filosofica e scientifica di Alessandria. Eruditi ebrei, cristiani e musulmani si incontravano per tradurre le opere greche. Relativamente al periodo tra il IV ed il X secolo, Abû Ḥayyȃn al-Tawḥîdî ci ha lasciato un’importante testimonianza a proposito di serate notturne, durante le quali, senza limite confessionale, le menti più elette della capitale del califfo discutevano, su un piano di eguaglianza, dei massimi problemi. In Spagna, a partire dalla stessa epoca e soprattutto nei secoli VI-XII, ebbero luogo scambi analoghi, anch’essi dovuti a una libera, e per questo estremamente feconda, circolazione delle idee. Basti ricordare i grandi nomi di Averroé e di Maimonide, la scuola dei traduttori di Toledo e l’influsso esercitato da tale intensa attività sul pensiero medievale latino», Roger Arnaldez, Un solo Dio, ne “Il Mediterraneo” di Fernand Braudel, Milano, Bompiani, 1987, pp. 114-118.

E se questi sono stati gli elevatissimi prodotti dello spirito, dell’intelletto e di una attitudine al contatto tra le culture oggi inimmaginabile, nonostante i reiterati e disattesi buoni propositi di tutte le parti in causa, non da meno sono stati l’arte e le scienze. Non è questa la sede per una elencazione di tutto ciò che ci ha regalato il Medio Evo in campo artistico e scientifico. Ci sia consentito qualche accenno, più che sufficiente a capire la portata dell’epoca anche in questi due settori. Nacque allora l’università, che nelle facoltà teologiche si poté avvalere di docenti del calibro di Abelardo, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. La diffusione delle prime lingue volgari favorì la nascita di alcuni poemi, capolavori della letteratura di tutti i tempi, quali i NibelungenliedCantar de mio Cid, la Divina Commedia. Dante (1265-1321), Petrarca (1304-1374), Boccaccio (1313-1375) sono le punte di diamante in campo letterario. In architettura sono prodotti medievali l’arte bizantina, longobarda, carolingia, vichinga, ottoniana, islamica, normanna e romanica, mentre gli slanci gotici che hanno nel Medio Evo le origini e le radici, rappresentativi, con molta probabilità, dell’anelito verso l’elevazione: artistica, culturale, ideologica, sociale, economica, oltrepassano i limiti temporali del Medio Evo. Come si può definire eterna e patrimonio spazio-temporale dell’Umanità la pittura di Cimabue (1240 ca.-1302), Giotto (1267 ca-1337), Robert Campin (1378/79-1444), Jan van Eyck (1390 ca.-1441), Rogier van der Weyden (1399 ca.-1464), Beato Angelico (1395 ca-1455), Petrus Christus (1410 ca.-1475), Dieric Bouts il vecchio (Dirk o Dierick) (1410/20-1475), Hans Memling (1435/40-1494), Hugo van der Goes (1440 ca.-1482), Michelangelo Buonarroti (1475-1564)

La medicina fa grandi progressi grazie ai contatti con quella araba. Tutto ciò, nella certezza di non avere citato nomi e componenti importanti. Fortemente presenti e di portata stratosferica lo splendore di Bisanzio e le manifestazioni della civiltà araba, della cultura ebraica. «Convertiti al Cristianesimo, gli irlandesi fondano monasteri in cui si studiano i testi antichi e saranno i monaci dell’Ibernia che evangelizzeranno intere aree dell’Europa continentale, inventando al tempo stesso quella originalissima forma di arte medievale che sono le miniature del Libro di Kells e di altri manoscritti analoghi», (Umberto Eco, Introduzione al Medioevo, da “Il Medioevo“, Federico Motta editore, Milano, 2009, vol.1, pag. 21). In campo scientifico e tecnico, risale al Medioevo l’adozione di misure che ottimizzano l’impiego degli animali da tiro, come il nuovo tipo di collare che si sposta il punto d’applicazione dal petto alla scapola, il tiro multiplo in fila indiana, anziché di fianco, l’utilizzo di zoccoli di ferro importati dall’Asia intorno al ‘900, la diffusione a tutta l’Europa dell’aratro dotato di ruote e di due lame, già in uso tra i popoli del nord dal II secolo a. C. In campo navale il medioevo lascia in eredità all’umanità la bussola, l’adozione dell’ancora a ceppo, a marre allargate, in uso ancora oggi, il perfezionamento nella disposizione del fasciame delle navi e sostanziali modifiche nella velatura, con l’adozione della vela “latina” di origine araba.

Fu l’epoca in cui la dinastia sveva, “barbara”, interprete dello spirito riformatore che si percepiva nell’isola conquistata, presso la propria corte fondò la scuola che diede la prima testimonianza di lingua italiana, creatrice della prima lingua volgare italiana, prima ancora dell’italianissima toscana, del suo “dolce stil novo” e della commedia “divinissima” del sommo poeta. E fu presso la stessa scuola che nacque l'”amor cortese” e Jacopo da Lentini creò il sonetto. Nella stessa epoca il campanile della Martorana (conosciuta anche come Chiesa di S. Maria dell’Ammiraglio o San Nicolò dei Greci), di spiccato gusto mediorientale, segnò, nel 1143, l’avanguardia del gotico, decisamente prima delle chiese e dei campanili dell’Europa continentale, collocate nel successivo Rinascimento, di cui sono uno dei simboli artistici più rappresentativi.

Le tre religioni, poi, soprattutto le due più giovani, esaltano la necessità di perseguire virtù, altruismo, tolleranza e fratellanza. Nella dottrina cristiana le quattro virtù cardinali sono la Prudenza, la Giustizia, la Fortezza, la Temperanza; quelle teologali Fede, Speranza e Carità. I pilastri dell’Islam sono la testimonianza di fede, le preghiere rituali giornaliere, l’elemosina canonica, il digiuno durante il mese di Ramadan ed il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita per tutti quelli che siano in grado di affrontarlo. «In tutte e tre le religioni vi furono senza dubbio dei letteralisti e dei fondamentalisti. La filosofia greca finì però per imporre dappertutto taluni quadri concettuali e la logica aristotelica taluni metodi di ragionamento. A Baghdad, come detto, nella Casa della Saggezza, Bayt al-Hikma, fondata dal Califfo Ma’mûn, si concentrò l’eredità filosofica e scientifica di Alessandria ed eruditi ebrei, cristiani e musulmani si incontravano per tradurre le opere greche. Relativamente al periodo tra il IV ed il X secolo, Abû Ḥayyȃn al-Tawḥîdî ci ha lasciato un’importante testimonianza a proposito di serate notturne, durante le quali, senza limite confessionale, le menti più elette della capitale del califfo discutevano, su un piano di eguaglianza, dei massimi problemi. In Spagna, a partire dalla stessa epoca e soprattutto nei secoli VI-XII, ebbero luogo scambi analoghi, anch’essi dovuti a una libera, e per questo estremamente feconda, circolazione delle idee. Basti ricordare i grandi nomi di Averroé e di Maimonide, la scuola dei traduttori di Toledo e l’influsso esercitato da tale intensa attività sul pensiero medievale latino». E, risalendo nel tempo, sono stati eroi dei grandi poemi mediterranei l’antieroe Ettore, un padre di famiglia valoroso, ma capace di avere dubbi e di sentire paura, ed un figlio devoto di nome Enea, ricco soprattutto di pietas.

A proposito del fondamentale ruolo del mondo monastico, al suo interno si realizzò una duplice rete: quella delle diocesi, prima, e delle parrocchie, poi, e quella del mondo monastico dove, all’inizio del IX secolo, trionfa una regola unitaria, quella di San Benedetto, con la fondamentale suddivisione fra il tempo della preghiera e tempo del lavoro e la conseguente differenziazione fra quello che rimarrà e si affermerà come un tempo del lavoro e quello che evolverà verso un tempo del riposo, dello svago e della festa.

Il cristianesimo ha permesso all’Europa di assumere un proprio ritmo di mobilità in una tradizione di equilibrio tra l’uomo e la natura, la ragione e la fede. In contrasto con le convinzioni di Max Weber, ben prima del protestantesimo il cristianesimo medievale ha valorizzato il lavoro fino a quel momento disprezzato come una conseguenza del peccato originale e un corollario della servitù.

In tema di sviluppo economico, il cristianesimo medievale rimuove in gran parte i blocchi che ostacolavano lo sviluppo di un’economia di tipo moderno, che più tardi si chiamerà capitalismo; riconosce la legittimità di certi profitti e a riscossione di un tasso moderato d’interesse, ammettendo il concetto di rischio economico, sottraendo certe pratiche commerciali alla condanna dell’usura; in particolare, aprendo la speranza del purgatorio all’usuraio e rinunciando a considerare il denaro come un oggetto diabolico, la Chiesa ha fatto scomparire i tabù che contribuivano a impedire lo sviluppo economico e in particolare l’economia monetaria e un’economia mondiale

Lo studio dei filosofi greci, l’azione della dottrina cristiana e del ruolo sociale e politico della Chiesa, l’effetto delle discipline universitarie, furono gli ingredienti della crescita del pensiero europeo (neoplatonismo, naturalismo, razionalismo, determinismo, empirismo, illuminismo, idealismo tedesco) 

L’espansione a partire dal VII/VIII secolo degli Arabi, portatori della nuova religione, l’Islam, comportò sostanzialmente la caduta di tutte le dominazioni barbariche lungo le coste del bacino occidentale e la loro sostituzione con rappresentanze regionali della Sublime Porta dell’Impero Ottomano. Unico significativo antagonista nel bacino occidentale furono nel XII secolo le Repubbliche Marinare. Gli Aragonesi sostituirono le Repubbliche marinare nel controllo delle rotte e dei traffici mediterranei nel XIII e XIV secolo. 

Poi furono scoperti i nuovi mondi e le loro ricchezze aiutarono le grandi monarchie continentali ed i loro stati, condannando i Paesi mediterranei ad un lungo e inarrestabile declino, a rallentare il loro sviluppo scientifico, filosofico, sociale, politico ed economico. 

I Paesi rivieraschi nordafricani, acquisita una certa autonomia politica, reale o virtuale, dalla Sublime porta, cominciarono a consolidare la propria entità statuale. Ma con l’arrivo del XIX secolo le grandi monarchie europee, arricchite dalle rimesse delle colonie oltreoceano e dotatesi di potenti armate e flotte, presero a colonizzare Asia ed Africa. Quasi tutti i Paesi mediterranei divennero colonie, sfruttate e spogliate di risorse e terre. Il nord del mondo si sviluppò nel pensiero e nell’industria, il Sud s’arrestò.

L’Africa, il Medio Oriente ed il Mediterraneo sono stati devastati dalla potenza degli europei, che li hanno conquistati e violentati, ne hanno riscritto completamente i confini, riducendo a cinquanta stati «diecimila staterelli, regni, gruppi etnici, federazioni» (R. Kapuscinski, Ebano, Feltrinelli Milano, 2000, p. 275). Nel sud il fondamentalismo della civiltà occidentale si mostra compiutamente. Essa è una civiltà dell’espansione e della conquista, che nel cielo sa vedere soltanto la propria potenza, per non guardare la fragilità dell’uomo e le ingiustizie che attraversano la nostra casa terrestre.

Il Mediterraneo delle grandi civiltà tramontate e dello splendore delle opulente città, quali Damasco, Bagdad, Alessandria, Venezia, Firenze, Dubrovnik, e tante altre, è in agonia. Non morirà, ma non saranno più alla sua portata i successi dei secoli precedenti.

Al contrario, lo stato di soggezione nei confronti delle potenze europee sfocerà nella loro colonizzazione. La circostanza, oltre a spogliare i suoi popoli della libertà e delle proprie risorse naturali, agricole, umane, costituirà un deciso blocco dello sviluppo del pensiero di quelle Nazioni. Proprio mentre in Europa, al contrario, sotto la spinta intellettuale legata alla difesa dei diritti dei lavoratori durante il rapido percorso di industrializzazione, grandi pensatori guidavano lo sviluppo del pensiero moderno.

Questo “blocco” pesa ancora oggi sullo sviluppo dei Paesi mediterranei. Le grandi ricchezze derivanti dall’estrazione degli idrocarburi non riescono a colmare il divario intellettuale.

È bene, tuttavia, precisare che sino alla fine del XVIII secolo il variare delle potenze dominanti al suo interno non influì sulla centralità culturale del Mediterraneo e sull’unitarietà d’indirizzo dei popoli al suo interno. 

La spinta si è esaurita, come detto, dopo il 1492. E non per la presenza americana, ininfluente sino al XIX secolo, ma perché i Paesi iberici e del Nordeuropa dall’America e dalle Indie trassero quelle ricchezze che consentì loro non solo di consolidare le rispettive monarchie, ma anche di espandere i propri interessi verso il sud del mondo, conquistandolo, colonizzandolo e … “civilizzandolo”!

L’argento, che a partire dal 1530 e dagli anni successivi proviene quasi esclusivamente dall’America attraverso Siviglia, appartiene alla Spagna. A causa delle guerre di Carlo V, però, e dei prestiti contratti dal governo castigliano, cui ben presto partecipano mercanti e banchieri italiani, e soprattutto genovesi, il metallo bianco spagnolo, a partire dal 1550, comincia a prendere la via dell’Italia. Casse di reali, di “pezzi da otto”, vengono regolarmente trasportate a Genova dalle galee di Barcellona. Dopo il 1568, quando la pirateria inglese e poi quella olandese cominciano a tagliare la strada agli spagnoli lungo le rotte dell’Atlantico e del mare del Nord fino ai Paesi Bassi in rivolta, gli invii di argento dalla Spagna seguono quasi esclusivamente il cammino mediterraneo, da Barcellona a Genova: la città di san Giorgio diventa il centro finanziario dell’intera Europa: una bella rivincita del Mediterraneo! La situazione privilegiata in cui viene a trovarsi Genova scaturisce dalla necessità, che pesa sul governo del re cattolico, di pagare regolarmente il soldo e le spese dei soldati dell’esercito spagnolo che combatte nei Paesi Bassi. E tale necessità durerà a lungo. Un sistema di pagamento controllato da Genova si realizza con le fiere di Piacenza, nate a partire dal 1579. Gli storici sono arrivati a parlare normalmente di un “secolo dei genovesi”, che comincerebbe nel 1557 e finirebbe verso il 1622-1627. L’Italia, riorganizzando il proprio approvvigionamento di metallo bianco, ha conseguentemente ristabilito, intorno al 1560, quello di pepe e spezie che le giungono attraverso le antiche rotte del Levante, la cui portata equivale pressappoco a quella della rotta del Capo; poiché il consumo europeo è notevolmente aumentato (all’incirca raddoppiato), Venezia ha potuto così ricostruire le basi del proprio antico commercio. Fino alla fine del Cinquecento, sarebbe dunque prematuro parlare di una decadenza del mare Interno, dell’Italia e delle sue città pilota. Dobbiamo rinunciare alla antica interpretazione che presentava il mare Interno come declassato di punto in bianco dalle scoperte dei portoghesi. Nell’oceano Indiano, del resto, esse non avevano bloccato né le rotte del golfo Persico né quelle del mar Rosso. Ma allora, che cosa e successo? È indiscutibile, infatti, che nel primo ventennio del Seicento si sia verificato un rallentamento dei traffici e degli scambi a lunga distanza del Mediterraneo. Di recente, un giovane storico, Richard Rapp, ha fornito la migliore spiegazione. Secondo lui si verificò, con i mezzi dell’astuzia, della forza e della violenza, nonché sfruttando le differenze economiche, una conquista del mare Interno da parte dei nordici, ovvero soprattutto degli inglesi e degli olandesi, e dei primi ancor più che dei secondi. Gli inglesi erano già penetrati con i loro traffici nel Mediterraneo negli ultimi decenni del Quattrocento, e vi erano rimasti fino al 1530-50 circa. Tale prima invasione si arrestò bruscamente tra il 1550 e il 1570, dopodiché si ebbe la seconda ondata, molto più estesa e costante della precedente. Le navi dei paesi protestanti arriveranno a poco a poco a dettar legge in un Mediterraneo dove Islam e Cristianità hanno abbandonato le armi dopo il favoloso sforzo di Lepanto del 1571. Le loro imbarcazioni sono meglio armate, hanno equipaggi più efficienti e garantiscono un trasporto migliore e più regolare, accettando noli più modesti dei velieri del Mediterraneo. A poco a poco esse riescono a far propri i traffici principali: le navi olandesi, ad esempio, trasportano dalla Spagna a Livorno le balle di lana che perverranno poi via terra a Venezia alimentando la sua “Arte della Lana”, allora in piena espansione. Di tali navi, alcune vanno direttamente dalla Spagna a Venezia. Altre conquiste riguardano il commercio dell’uva passa, l’olio di Djerba o delle Puglie, nonché il prestigioso commercio del Levante. I nordici portano legno, catrame, tavolame vario, grano, segale, tonnellate di aringhe, stagno, piombo e presto anche i loro manufatti, spesso semplici contraffazioni dei prodotti di Venezia o di altre città italiane, cianfrusaglie con falsi marchi italiani che sembrano autentici. A tali attività si devono aggiungere la pirateria e le intese con Algeri e con i turchi, fonti di tutta una serie di violenze, disonestà e complicità (in particolare a Livorno). II commercio e l’industria inglesi e dei Paesi Bassi si sono così alimentati delle spoglie e delle ricchezze accumulate dal vecchio Mediterraneo. Vi furono conquista, saccheggio, furto. E non mancherà il blocco operato a distanza, nel momento in cui gli olandesi si sostituiscono ai portoghesi in Insulindia e nell’oceano Indiano. I loro predecessori lasciavano passare le merci dirette al Mediterraneo, mentre i nuovi venuti faranno buona guardia, se non per la seta, che raggiungerà sempre il Levante, almeno per il pepe e le spezie. Verso il 1620, secondo la testimonianza dei marsigliesi, tali prodotti non arrivano più nel Mediterraneo percorrendo le antiche rotte del mar Rosso, ma attraverso l’Atlantico e Gibilterra, portati da navi olandesi. Il Mediterraneo è stato da un lato aggredito direttamente, e dall’altro aggirato per sottrarre agli abitanti delle sue sponde i traffici più redditizi. E a questi ultimi, da allora, il mare non è mai stato restituito” (Fernand Braudel nel famoso libro <<Il Mediterraneo>> pubblicato da Bompiani nel 1996).

La storia del Mediterraneo autonomo, ancorché turbolento, finì con la fine di Genova, ultimo vitigno autoctono finito nelle botti straniere. Tutto il resto è stata storia in varia misura di Belgio, Francia, Gran Bretagna, Germania, Olanda, Portogallo, Spagna. Cui si aggiungono successivamente, in parte soppiantandoli, Stati Uniti d’America, Russia e Cina.

2. L’ordine del mondo moderno

I danni che queste Nazioni hanno fatto e continuano a fare in Mediterraneo sono indescrivibili. Molti di essi non riusciamo neppure a vederli solo perché non ne abbiamo percezione, in quanto assuefatti.

Tornando all’excursus storico, il 1° novembre 1922 si concluse la storia dell’Impero Ottomano, 623 anni di vita, seguito ai 1058 dell’Impero Romano d’Oriente ed ai 503 dell’Impero Romano propriamente detto (o d’Occidente). La fortuna del Mediterraneo è stata l’azione livellatrice di questi tre grandi armonizzatori. Tutte le caratteristiche antropologiche dei popoli mediterranei delle latitudini comprese tra quella delle Alpi e quella della catena dell’Atlante si sono potuti giovare sotto la dominazione di Romani, Bizantini e Ottomani, di una capillare ed influente azione di armonizzazione e amalgama. Lenta, ma continua e costante, mai traumatica, senza interruzioni, che ha loro consentito un continuo e proficuo scambio e condivisione di cultura, abitudini, tradizioni, comportamenti, obiettivi, valori etici, gusti estetici, regole e parametri dell’interazione. 

La conclusione della Grande Guerra, più ancora dello strapotere dei grandi Stati colonialisti europei arricchiti dallo sfruttamento delle risorse dei nuovi mondi, segnò la vera interruzione della continuità storica e dell’unità mediterranea

L’Occidente stabilì, da solo, le nuove regole dell’economia planetaria, quelle del libero scambio, del commercio mondiale e della libera circolazione delle merci. Creò le nuove istituzioni monetarie internazionali per rendere stabili i cambi, creò e moltiplicò i paradisi fiscali con una tassazione ridotta o addirittura inesistente per i risparmi delle imprese e dei magnati della propria economia. 

Il Sud del Mediterraneo era impegnato a liberarsi del giogo del colonialismo. Gli ex coloni lasciarono questi Paesi nelle mani di fantocci che li hanno sostituiti e dei dittatori che hanno scalzato questi proconsoli di paglia. La fine della convertibilità del dollaro del ‘71, la crisi del sistema di Bretton Woods, le ferree leggi del mercato, la speculazione finanziaria, la crisi petrolifera del 73, l’aumento del prezzo del petrolio e la proliferazione del fenomeno degli Off-shore, sono componenti di un unico processo economico, commerciale e finanziario che agevola l’interdipendenza dei bilanci dei singoli Paesi e lo sviluppo dei mercati globalizzati, a vantaggio, tuttavia, delle economie più ricche e a svantaggio di quelle più fragili ed arretrate. La sovranità del mercato finisce con l’aumentare enormemente il divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri, che porterà al definitivo avvio al processo di mondializzazione grazie all’accordo di Marrakesh del 15 aprile 1994, che consente la liberalizzazione di tutte le attività commerciali e lucrative del genere umano (acquisizione e distribuzione di servizi; regolamentazione dei settori agricolo, tessile e sanitario; rafforzamento della proprietà intellettuale; abbattimento degli ostacoli al libero scambio delle merci; risoluzione delle dispute internazionali), eccettuata la libera circolazione delle persone, sono stati i fenomeni i cui effetti, variamente combinati, aiutarono molte aree depresse del mondo ad emanciparsi ed a crescere sotto il profilo sociale, politico ed economico. 

I Paesi della riva Nord del Mediterraneo sono saliti sul carrozzone dell’Europa, soffrendo parecchio, rendendo un decisivo contributo di vivacità e fantasia e ricevendone sicurezza economica e spinta verso la normalizzazione dell’organizzazione interna: economica, politica, un giorno forse anche sociale. Quelli della riva Sud hanno ormai assorbito l’urto della mondializzazione e hanno preso una forte rincorsa verso la liberalizzazione reale delle rispettive economie.

Al Nord, sotto l’impulso dello sviluppo industriale, si è radicata la società del benessere, al Sud l’estrazione delle materie prime e dell’energia necessarie ai dirimpettai per aumentare sempre più il loro benessere. Una complementarità che avrebbe dovuto sostenere i processi di integrazione regionale. Nel Sud convive anche un forte senso di resistenza contro i guasti della mondializzazione estesa, e, più precisamente, il rifiuto di sacrificare i valori tradizionali, la società patriarcale e l’ordine sociale costruito e consolidato in tanti secoli sull’altare dei nuovi idoli: profitto, ricchezze, potere, governance sopranazionale, reiterata interferenza nei fatti interni dei singoli Paesi da parte di chi ha il potere (economico e militare) per poterlo fare. In questo contesto è fondamentale il ruolo frenante e valoriale dell’Islam, e sembra essere sul punto di assumere simili e convergenti atteggiamenti anche il Governo della Chiesa di Roma, sempre più insofferente nei confronti di quei progressi scientifici creatori di derive etiche in grado di incidere sulla valenza dei valori tradizionali e dei modelli organizzativi tradizionali. Appare molto significativo in questo contesto il ripristino della liturgia in latino operato da Benedetto XVI e la recentissima presa di posizione di Francesco al riguardo del celibato dei sacerdoti e dell’estensione alle donne del diaconato.

Il discorso energetico consente di richiamare e sottolineare ulteriormente il problema delle rotte degli idrocarburi e dei danni ecologici che esse alimentano.

Il disastro politico della sponda sud, che si vorrebbe resettare a mezzo di processi vari chiamati ora arabizzazione, ora primavere arabe, ora – più recentemente – risveglio arabo, troppo spesso tinti del rosso del sangue delle tante vittime, innocenti e non. L’origine di tutto ciò? È semplice, la politica imperialista dell’Occidente. Una citazione, in proposito, una tra le tante possibili, la lettura di un significativo brano di David Fromkin, studioso, storico e cattedratico americano, tratto dal libro <<Una pace senza pace>>, pubblicato da Rizzoli nel 1992, (p. 638-639): «Il Medio Oriente è diventato ciò che è oggi perché le potenze europee vollero ridisegnarlo, e nel contempo Francia e Gran Bretagna non seppero garantire la durata delle dinastie, degli stati e dei sistemi politici da esse instaurati. Durante e subito dopo il primo conflitto mondiale Gran Bretagna e Francia distrussero irrevocabilmente il vecchio ordine della regione; il dominio turco del Medio Oriente arabo subì un colpo dal quale non avrebbe più potuto riprendersi. Per riempire il vuoto che ne seguì crearono nazioni, formarono governi, misero sul trono monarchi, tracciarono frontiere e insomma cercarono di formare un sistema di stati come ve ne sono in tante parti del mondo, ma non tennero nel debito conto le molte forme di opposizione locale a tali decisioni»

Il 1° novembre 1922, si diceva (è bene ripeterlo ancora, all’infinito!), si è conclusa la storia dell’Impero Ottomano, 623 anni di vita, seguito ai 1058 dell’Impero Omano d’Oriente ed ai 503 dell’Impero Romano propriamente detto, o d’Occidente.

Ad alcuno tra i lettori e fruitori dell’informazione sfuggirà che, mentre si consolidava nelle sue istituzioni liberali, democratiche e laiche, l’Europa delle grandi dinastie mitteleuropee, in virtù di ricchezze e forza militare decisamente superiori, grazie alle rimesse dai nuovi mondi, mantenne per diverso tempo la gran parte dei territori di Oriente, Medio Oriente ed Africa sotto un ferreo giogo coloniale, imbavagliati ed ingessati, impossibilitati a compiere i medesimi progressi europei.

Si può tranquillamente affermare, senza vena polemica e senza ombra di condanna, che l’Europa sia stata il peggior nemico che il Mediterraneo abbia mai avuto, non necessariamente cosciente o premeditato. Non val certo la pena di accodarsi all’esercito di statisti, politici, analisti, giornalisti, studiosi e semplici lettori che continuano ad ispirarsi all’“euromediterraneo”.

La conclusione della Grande Guerra, unitamente allo strapotere dei grandi Stati colonialisti europei, arricchiti dallo sfruttamento delle risorse dei nuovi mondi, diede un ulteriore colpo alla continuità storica e unitaria mediterranea. Alle nefaste conseguenze geografiche e politiche degli accordi franco-anglo-russi, con la connivenza americana, che riscrissero la geografia mediorientale distrussero irrevocabilmente il vecchio ordine della regione crearono nazioni, formarono governi, misero sul trono monarchi, tracciarono frontiere e, insomma, senza tener conto delle molte forme di opposizione locale a tali decisioni, si aggiunsero le profonde modifiche all’equilibrio etnico, quindi antropologico, della Regione a causa della penetrazione in M.O. di orde di profughi da Paesi nordici, in maggioranza baltiche e slave, in prevalenza di religione ebraica, o dichiarata tale per convenienza, che influiranno in modo determinante sugli avvenimenti dell’area mediorientale e mediterranea sino ai giorni nostri.

Negli ultimi decenni l’Europa dalla coscienza sporca ha elaborato diverse strategie di aiuto. I vari tentativi (il trattato di Barcellona, l’UPM, la politica di vicinato, PEV) sono miseramente falliti e il sostegno si è spesso concretizzato in una miriade di sussidi del tipo “a pioggia”, troppo piccoli ed ininfluenti per non poter essere considerati irrisori. Il dialogo euro-mediterraneo non è riuscito a decollare: se non è stato un bluff, certamente non ha aiutato i popoli mediterranei, ma ha elargito – in definitiva – briciole finite in bocche potenti e fameliche, non in quelle degli affamati e bisognosi.

3. La vera ricetta per il Mediterraneo

Come si può tentare di raddrizzare la situazione e cercare di eliminare le tante storture che questo stato di soggezione ha creato nel cosiddetto mondo meridionale?

Favorendo forme di aggregazione politica, sociale, economica attorno al bacino mediterraneo, rendendo unici responsabili del proprio destino i popoli attorno ad esso.

È innanzi tutto necessario intercettare ed assecondare le tante spinte, ancora minoritarie, di annullare gli effetti nefasti dei processi del XX secolo che hanno favorito l’omologazione generalizzata. Dell’economia mondializzata e ispirata dalla finanza. Dello strapotere politico ed economico a danno della comunità mondiale da parte di pochi Stati, che poi sono gli stessi che inquinano l’ambiente, possiedono enormi arsenali nucleari, forzano l’andamento della politica internazionale, esercitano forme moderne di colonialismo meno visibile, ma molto più restrittivo, turbano e forzano i mercati, inquinano anche l’economia ed hanno assunto come totem della loro community molto ristretta il reddito e la ricchezza. Innescando, come diretta conseguenza delle loro azioni, il risveglio delle spinte nazionaliste e localiste, che cavalcano il gran “desiderio d’antico” delle popolazioni più povere.

E questo processo non può essere sostenuto da chi ha, dal suo affermarsi, tutto da perdere: potere, controllo, mercati, ricchezze, influenza. Men che meno dall’Europa, nella quale il pensiero ha lasciato il campo alle strategie economiche e del libero mercato, che ogni tanto cerca di fare il furbetto che flirta con l’uno per metterlo contro l’altro: gran bella politica!

Più verosimilmente, oggi, in Mediterraneo, si continua a morire, anche più di prima, anche senza guerre.

Occorre ricercare e condividere i motivi per i quali valga la pena ripristinare la grande amicizia e affinità dei popoli del Mediterraneo.

L’individuazione delle strategie necessarie per il superamento della situazione critica attuale e lo studio di misure concrete utili al superamento di queste ultime e alla ricucitura di interessi comuni dei Paesi rivieraschi, che ispirino una politica di sviluppo e coesione devono essere le aspirazioni di chiunque intenda promuovere e stimolare le relazioni tra i popoli dell’area, ricercando e incentivando i valori e i parametri che hanno regolato tanta storia comune e tanto cammino condiviso. Da parte di chiunque sia convinto di questa necessità, deve essere fornito un forte contributo al conseguimento dell’obiettivo generale di aiutare la crescita ed il rafforzamento del dialogo inter-mediterraneo e l’attivazione di canali di confronto e dialogo, onde rendere possibili risultati apprezzabili e di lungo periodo, veri investimenti per il futuro della Regione e del pianeta:

  • sensibilizzazione della comunità mediterranea circa la necessità di favorire l’attivazione di canali di confronto e dialogo al suo interno;
  • costruzione di alternative strategiche di teatro, attraverso iniziative nel campo dell’intermediazione tra le diverse realtà esistenti;
  • promozione del ruolo di cerniera da sempre avuto dal “mare interno”, in sostituzione di quello attuale, decisamente di frontiera;
  • creazione di occasioni d’incontro degli operatori delle sponde opposte e di sviluppo di sinergie, di creazione di scambi commerciali preferenziali, di spinta allo sviluppo sostenibile di aree periferiche e depresse, che – unite nel comune sforzo e protese verso l’identificazione delle comuni radici identitarie, ma anche delle tante tradizioni e consuetudini comuni, nate dal medesimo contesto naturale ed ambientale, estranee ai principi alla base dello sviluppo economico globale prevalente – debbono essere sostenute nel tentativo di superare l’attuale stato di crisi generalizzata dell’economia per mezzo della concretizzazione di un “mutuo soccorso” degli operatori del settore: piccola e media industria, arti e mestieri, agricoltura, pastorizia, igiene e salute dell’alimentazione, pesca, lotta all’inquinamento e degrado ambientale, trasporti, turismo, sport, cultura, ecc. ecc. E “mutuo soccorso”, per inciso, fu la specificità delle cooperative nate e prosperate nell’Italia del boom economico di alcuni decenni fa, come propulsori delle economie di tipo regionalistico. Una mutua offerta di vetrina e proposta, su un piano di assoluta reciprocità;
  • costruzione nel tempo di una rete di città capi-maglia di una rete di partenariato mediterraneo forte e diffuso, di un certo numero di hub della community commerciale regionale, che regolino i canali di confronto e dialogo tra i Paesi delle sponde settentrionali e meridionali, orientali ed occidentali del Mediterraneo.

Esistono certamente le condizioni per stimolare il dialogo inter-mediterraneo e sensibilizzare i popoli rivieraschi sulla necessità recuperare l’antico spirito collettivo e unitario nel loro stesso interesse, per costruire un futuro di pace prosperità e giustizia sociale alle generazioni future mediterranee nello spirito della loro tradizione.

Occorre tendere “dall’interno” ad un Mediterraneo in qualche forma federato, che punti sulla nascita di una Community assolutamente paritetica di tutti i Paesi che vi si affacciano. Empowerment, ossia l’emancipazione politica economica e sociale dal basso di una comunità che faccia del suo mare il fulcro delle proprie attività, nella quale il progresso parallelo dei componenti ed il reciproco sostegno privi di significato e di ragion d’essere il fenomeno dell’emigrazione clandestina. Di una comunità che decida di regolamentare senza interventi esterni e nel rispetto dei trattati internazionali, le attività possibili sulla superficie del proprio mare, nel proprio spazio aereo e sotto la sua superficie. Di una collettività composta di Paesi la cui pacificazione sia uno stato ed un processo di maturazione soggettiva, il frutto di un ritrovato bisogno di coesistenza pacifica, un interesse proprio e non solo la convenienza per gli equilibri mondiali. Che non sia più “consumatore finale” di beni e prodotti di multinazionali esterne al proprio contesto geografico.

La difficile governance dei grandi agglomerati sovranazionali, e in particolare del vasto patchwork europeo, deve indurre a ricercare equilibri alternativi o integrativi e la via giusta potrebbe essere costituita da politiche intese a favorire sforzi sinergici locali o regionali, possibilmente con il superamento dei confini continentali e nazionali e la ricerca di nuovi agglomerati, basati su differenti parametri rispetto al passato vicino e lontano, in netta contrapposizione con le vaste eterogenee e impersonali communities e nel rimodellamento delle stesse.

Perché ciò possa realizzarsi, occorre intercettare la forte “voglia di vicinato”, anzi il bisogno di esso, che si respira nella Regione e rispondere ad essa portando a termine progetti innovativi, di forte contenuto tecnologico, in possesso di ampi margini di sviluppo ed alto grado di flessibilità e adattabilità alle diverse situazioni, in grado di favorire l’incontro tra differenti realtà, necessità e prospettive. Che contempli l’incontro costruttivo e sinergico di soggetti delle diverse sponde nel campo della cultura, delle scienze e della tutela del mare e delle sue risorse, dell’informazione, dell’imprenditoria, dell’artigianato, dei trasporti, del turismo, dell’antropologia dell’alimentazione e dell’abbigliamento e di tutte le attività che ruotano attorno all’uomo e al mare”.

Occorre coinvolgere una base sempre più larga ed influente, al fine ultimo di sensibilizzare i popoli sulla necessità di promuovere la pace attraverso iniziative che prendano le mosse dalla “pax mediterranea”, la coesione dei popoli, la collaborazione dei suoi governanti, lo sforzo comune dei poli finanziari e commerciali autoctoni, il comune atteggiamento nei confronti di persistenti influenze esterne al bacino, il rigetto delle tentazioni terroristiche o armate, la rivalutazione del patrimonio culturale e antropologico comune.

Il Mediterraneo ai Mediterranei”, con due importanti corollari “Mediterraneo cerniera” e “Mediterraneo non più campo di battaglia degli intessi ad esso estranei”, ricordando quanto esatta fosse la definizione latina “Mare Nostrum”, nella quale il “nostrum”, come sembra ormai prevalente interpretazione, non si riferisce ai soli Romani, ma all’intera comunità mediterranea”.

Pensate che ci illudiamo a rimettere tutte le cose com’erano nel 1500? È vero che la Storia torna sempre indietro e presenta immancabilmente il conto, ma qui troppa acqua è passata sotto i ponti e non è possibile alcuna restaurazione.

Però, pensate solo per un attimo agli effetti di una “federazione politica” di tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Di una comunità che fa del suo mare il fulcro delle proprie attività, nella quale il progresso parallelo dei Paesi rivieraschi ed il reciproco sostegno svuota automaticamente il drammatico problema dell’emigrazione clandestina di migliaia di persone che, non più disperate, trovano nel proprio Paese lo stimolo per risollevarsi. Di una comunità che decida di regolamentare senza interventi esterni, ancorché nel rispetto dei trattati internazionali, le attività possibili sopra sotto e sulla superficie del suo mare. Di una comunità che, oltre a tenere in gran conto l’indice di Gini per la misura dell’indice medio di sviluppo umano (indicatore complesso che tiene conto del reddito pro capite e di numerosi altri elementi che concorrono a determinare la qualità dell’esistenza, come la speranza di vita alla nascita, il quantitativo di calorie alimentari disponibili pro capite, il tasso di alfabetizzazione e quello di scolarizzazione della popolazione, l’accesso ai servizi sanitari, la disponibilità di acqua potabile e il grado di libertà politica, le performances economiche nazionali, le priorità della spesa pubblica, l’energia e l’ambiente, le vittime del crimine, la partecipazione alla vita politica della donna, la tutela dei diritti umani, trovi anche il modo di quantizzare, valutare e valorizzare nella definizione dell’indice di sviluppo umano fattori essenziali quali la persistenza della cornice etica di riferimento, la continuità delle tradizioni familiari e tribali, l’incidenza dell’impresa familiare, i provvedimenti tesi ad incentivare l’iniziativa familiare e la piccola impresa, i provvedimenti intesi ad incentivare la produzione di specialità artigianali, agricole, alimentari locali, la promozione della diversità produttiva, politica, istituzionale e la varietà nei consumi. Occorrerebbe riuscire a valutare e trasferire in dati statistici la forza interiore dei componenti di quelle Nazioni o comunità presso le quali non sia sensibilmente mutato nel tempo il quadro etico-sociale che regola il quotidiano. Ed anche i progetti ed i rapporti interpersonali, seppure in un contesto di povertà di risorse, a fronte di un benessere economico costato l’abbandono o la profonda modifica dei valori tradizionali, con tutte le immaginabili conseguenze a livello individuale e di comunità. È per questo motivo che queste comunità decideranno, per la loro rinascita, di rendere l’analisi della condizione umana non limitata ai fattori di natura energetica ed economica, onde poter fare emergere l’impatto dello stato socio-antropologico delle realtà locali nell’era della mondializzazione e nella virulenta avanzata del mercato globale, del villaggio unico e della spinta all’omologazione, senza la quale non si è riconosciuti!

Il Mediterraneo deve essere considerato come un “unicum“, proteso verso il consolidamento dei tanti punti comuni ai popoli che hanno fatto la sua storia, vivono di esso, delle sue risorse e sono pronte ad investire nel suo futuro, riservando a sé le sue risorse.

Per i Paesi rivieraschi, infatti, il Mediterraneo è nient’altro che il cortile della loro esistenza, quello su cui si affacciano i palazzi i cui abitanti trascorrono la vita da sempre, poveri, ma felici e appagati. È un cortile di periferia, è l’habitat di una grande quantità di persone che desiderano migliorare la loro esistenza senza abiurare le regole di vita.

Questa comunità non è riuscita, purtroppo, a costituirsi in regolare condominio ed è ora costretta a subire il commissariamento e l’amministrazione da parte di quelle stesse persone che li considerano “oltre la frontiera“. E sono costretti ad accettare ipotesi di associazione non sempre convenienti, spesso umilianti, a riempire ogni angolo di videocamere e detectors in grado di scoprire, registrare ed analizzare ogni loro singolo movimento; ad accettare l’istituzione di ronde che pattuglino l’intero cortile, con il compito e la libertà di fermare e sanzionare chi non dovesse comportarsi come i Commissari desiderano. Oggi l’amministrazione dei palazzi che si affacciano sul cortile è stata separata e ciascuno di essi è stato annesso ai condomini dei palazzi retrostanti. Si è persa la centralità del cortile, che è divenuto un luogo di passaggio e la sede di un mercatino rionale.

Cosa si sarebbe potuto fare tutti assieme se si fosse formata una Federazione motivata e determinata… Riconsideriamo il “cortile” di partenza: la potenzialità totale del bacino mediterraneo è di 8.718.356 Km², di 455 milioni di abitanti, con una conseguente densità di 52,5 persone per Km².

Contribuire alla costituzione di una federazione, una comunità coesa e solidale, all’interno della quale sia possibile la coesistenza di Paesi che appartengono al Mediterraneo, di quegli stessi Paesi che non hanno possibilità alternative di aggregazione, essendo in parte interni e in parte estranei all’UA, all’Europa, alla Nato, al G7, al G20. Possono coesistere a pieno titolo, e tutte insieme, solo in una comunità che comprenda tutti e soli i Paesi Mediterranei. Senza comportare la fuoriuscita da altri “agglomerati”, le cui finalità non siano contrarie allo sviluppo mediterraneo.

La tutela delle risorse e dell’ambiente sono oggi esigenze imprescindibili ed occorre dedicarvi programmi, risorse e attività. Così, come occorre approcciare il retaggio di valori e tradizioni attraverso la rivalutazione della visione mediterranea di alcuni tra i valori totemici dell’uomo: storia e suoi rappresentanti, cibo e sue filosofie, arti e tendenze consolidate, sport adeguati al contesto. Queste sono le materie da approfondire e riportare a gusti e necessità prioritariamente regionali se si vuole conseguire il risultato di una mediterraneità autentica.

Il Mediterraneo ce la farà, si spera, solo con le proprie forze e senza l’aiuto – “oneroso” e compensato – di chi non ne fa parte.

Ma occorre che i Paesi rivieraschi si diano da fare! Con unità d’intenti…

Enrico La Rosa