Tigri Eufrate. Da culla di civiltà a pericolo internazionale

Due dei fiumi più copiosi di tutto il Medio Oriente sono i famosi Tigri ed Eufrate, da molti conosciuti perché alla base dello sviluppo della Mesopotamia, lembo di terra della Mezzaluna Fertile. Tre sono gli Stati alla conquista del bacino idrico dei “twin rivers”: Turchia, Iraq e Siria. A questi si associano l’Iran, i cui interessi vertono esclusivamente sul Tigri, la Penisola Araba e la Giordania, che guardano con ansia crescente la portata dell’Eufrate.

Il Tigri, Dicle in turco e Dijla in arabo, nasce nella Turchia dell’est e attraversa la regione fino al suo ultimo limite costituito dalla città di Cizre, segnandone il confine con la Siria per un breve tratto e lambendo infine la terra irachena. Il fiume è lungo 1850 km, dei quali ben 1418 sono in Iraq, 400 km in Turchia e solamente trentadue in Siria. Nonostante ciò, è la Turchia che riesce a reintegrare il bacino per il 51% del suo totale, grazie al clima umido di cui gode.

L’Eufrate, chiamato Furat in arabo e Firat in turco, nasce sempre in Anatolia, tra il Lago Van e il Mar Nero, da due copiosi affluenti, il Murat e il Karasu. È lungo circa 3000 km, dei quali 1230 scorrono in Turchia, 1060 in Iraq e 710 in Siria. Anche in questo caso, è il tratto turco a rinvigorire il letto del fiume con le sue piene: ben l’89% del ricambio idrico proviene dalle piogge di questa regione.

Il bacino ha un’area compressiva di 879.790 chilometri quadri e occupa il territorio medio orientale per il 13% della sua totalità.  In totale, lambisce ben sei Stati, sebbene con proporzioni nettamente differenti:

L’unione di entrambi i fiumi dà vita, nelle vicinanze di Qurna, a uno dei bacini fluviali più conosciuti, lo Shatt-Al-Arab, che sfocia nel Golfo Persico dopo solo 190 km, accresciuto dall’affluente Karun.

Annualmente, l’Eufrate offre 28,1 chilometri cubi nel tratto che si estende tra la Turchia e la Siria e trenta km3 tra quest’ultima e l’Iraq. Il Tigri ha delle portate inferiori: i siriani possono usufruire solo di 1,25 km3 l’anno, mentre il tratto di questo fiume che collega l’Iraq all’Iran è della capacità di dieci km3. La situazione più preoccupante sembra essere quella della Siria che dipende unicamente dall’Eufrate, mentre l’Iraq utilizza entrambi i bacini e la Turchia ha a sua disposizione, a parte i fiumi, delle ingenti risorse nelle falde sotterranee.

La salvaguardia delle risorse idriche è connessa con la possibilità di una popolazione di vivere in maniera dignitosa ed è da legarsi, in bacini transfrontalieri, con le conflittualità etniche che possono insorgere. Le ostilità maggiori nascono dalla contrapposizione tra gli Stati a monte, identificanti nella Turchia, e in quelli a valle, Siria e Iraq, i quali si lamentano della qualità dell’acqua rivierasca di cui possono usufruire. La Turchia sfrutta i bacini in particolar modo per l’irrigazione, la quale compromette non poco la purezza della riserva acquifera, ma è l’inquinamento urbano a causare la maggior parte dei problemi di sfruttamento.

Se in passato le acque del Tigri e dell’Eufrate hanno contribuito allo splendore della Mezzaluna Fertile, le odierne condizioni hanno rovesciato la faccia della medaglia. L’ingente aumento della demografia ha condotto l’Iraq e la Siria ad aumentare l’irrigazione del terreno per sostenere la produzione delle risorse alimentari, incrementando l’inquinamento: gli scarichi urbani di città come Baghdad, non provvista di strutture efficaci per il trattamento dei rifiuti, mutano notevolmente la capacità di utilizzo del bacino. Inoltre, le temperature elevate favoriscono la salinazione delle acque a causa di una copiosa evaporazione. Un equilibrio precario che dà vita a controversie in ambito internazionale tra i Paesi a monte ed i Paesi a valle.

Adele Lerario