IL TRAMONTO DI BISANZIO

Storia

MEDinMED

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Gli ultimi tre secoli della sua esistenza costituirono un lento declino per l’impero bizantino. A parte l’azione erosiva dell’Islam che l’aveva circondato e quella spregiudicata delle repubbliche marinare italiane, che gli avevano sottratto molta parte dei mercati, le cause sono da imputare ad un degrado etico-sociale, la cui brillante descrizione lasciamo alle pagine di Corrado Barbagallo, Storia universale, vol. III: Il Medioevo, Torino, Utet, 1935, pp. 174-178, che ci spiega come l’eloquenza morale della nuova fede sia stato un parametro molto più decisivo della composizione numerica degli eserciti avversari; la stessa forza che aveva fatto prevalere, al tempo di Maometto, i Medinesi contro i Mecchesi, i Beduini contro gli Arabi commercianti e sedentari.

BARBAGALLO – L’enigma di una conquista

(Corrado Barbagallo, Storia universale, vol. III: Il Medioevo, Torino, Utet, 1935, pp. 174-178)

Nei due mondi, bizantino e sassanide, da secoli, gli squilibri sociali erano profondissimi, e masse numerose di gente, povera e derelitta, si affollavano, frementi e cariche di odio, intorno ad una minoranza di ricchissimi, di privilegiati, di potenti: o grandi proprietari di terre, o mercanti pingui e fortunati, o speculatori ingordi. Nel mondo bizantino questi felici dispongono di dimore sontuose nelle maggiori città, specie vicino alla Corte, a Costantinopoli, ma il loro regno è nelle ville superbe, nei magnifici castelli, che si levano solitari nelle campagne dell’ Asia Minore, della Siria, della Mesopotamia. Qui essi posseggono centinaia di buoi e di cavalli, allevano migliaia di montoni, coltivano  decine di migliaia di ettari di terra feconda, dispongono di schiavi, clienti, guardie armate. Orbene, questi uomini, «più rapaci dei lupi», che, come diranno gli stessi imperatori, «non potendo rapinare al nemico, mettono a prezzo i sudditi dell’Impero»; questi uomini, «più crudeli della miseria», hanno fatto fortuna operando il male! Hanno «ingoiato le terre dei poveri», hanno distrutto la classe dei piccoli proprietari, hanno trasformato i liberi in schiavi, si sono, dirà un documento ufficiale, gettati sul mondo «come una peste», «come una cancrena ». Gli antagonismi sociali, che stridono nelle campagne, sono più ancora irritanti nelle grandi metropoli. II contrasto tra poveri e ricchi, tra potenti e deboli, è rivelato dall’aspetto stesso delle città. Ai palazzi superbi, sorgenti nei quartieri tranquilli dalle ampie vie snodantisi sul fiume, lungo il mare, o verso la ridente campagna, fanno contrasto intollerabile le case del popolo, ammucchiate in rioni fetidi, lungo vicoli sudici e male odoranti, dai quali, nei giorni della sciagura, sbucano le folle, tumultuanti e frementi, che più volte mettono in pericolo i basileis costantinopolitani, e che questi fanno massacrare senza pietà.

Più spaventosa è la condizione delle classi inferiori in quell’Impero sassanide, luccicante di oro o di orpelli, che formerà l’ammirazione dei primi Arabi conquistatori. Qui non soltanto abissi economici, ma insuperabili barriere giuridiche separano la classe degli agricoltori e degli artigiani da quelle della varia nobiltà: il clero, i guerrieri, i funzionari. Qui non era possibile, salvo casi eccezionalissimi, di cui soltanto erano fatti giudici i sacerdoti, passare da un ceto inferiore ad uno superiore. La terra, gli onori, i privilegi, politici e tributari, la cultura, tutto era appannaggio, monopolio delle tre nobiltà; l’unico diritto degli artigiani era l’esenzione dal servizio militare, e anche di questo sollievo l’enorme maggioranza della popolazione, i contadini servi della gleba, corvéables à merci, restano privi. Perciò gli scoscendimenti sociali dell’Impero sassanide erano stati più rovinosi di quelli, a noi noti, dell’ Impero bizantino. Nella seconda meta del secolo V, il paese era stato percorso da una violenta ondata di comunismo, che il re stesso, in odio ai nobili ed al clero, aveva favorito, e che per un istante aveva abbattuto tutti i privilegi e socializzata la proprietà.

Ma quello che in entrambi gli Imperi arroventava tutti i contrasti sociali, era il fiscalismo, implacabile e feroce, imposto, oltre che dai bisogni vitali delle Stato e dalle necessita della difesa, dal lusso favoloso delle corti, dallo sperpero dell’amministrazione. Nell’Impero bizantino, le esenzioni tributarie si limitavano quasi esclusivamente ai pingui beni del clero, ed i ricchi, che per primi erano colpiti dalla gragnuola delle imposte, facendo leva della propria potenza, ne riversavano facilmente il peso sulle classi diseredate. Nel mondo dell’ Iran non c’era neanche bisogno di questo. Il tributo era retaggio – unicamente – dei non agiati, e la nobiltà laica, il clero, i funzionari, ne andavano per legge esenti! Così le eresie religiose – tal quale nell’ Africa cristiana – erano, nell’Oriente europeo e nell’Occidente asiatico, forme teologiche, le quali coprivano realtà arroventate: i felici seguivano confessioni in contrasto con quelle dei loro soggetti, e la religione degli uni e degli altri si atteggiava diversamente a seconda delle particolari varietà sociali, in cui quelle categorie di uomini si dirompevano e distribuivano. Allorquando, come abbiamo accennato, nella seconda meta del secolo V, la Persia era stata sconvolta da un comunismo prevalentemente agrario, i propagandisti dell’ inaudita rivoluzione sociale erano stati dei discepoli di Mani, il messia del manicheismo orientale. Questo, il peso delle eresie nella catastrofe dei due Imperi! Orbene gli Arabi che invadono chiamano a se tutti i derelitti, tutti gli umiliati, tutti i conculcati. Se costoro si convertono all’Islam, essi non solo non soggiaceranno più ad alcun gravame, ma si impossesseranno della maggior parte della ricchezza dei loro secolari nemici, dei conculcatori, ed un’altra parte resterà patrimonio sociale, destinato ai poveri, ai bisognosi, agli orfani, agli infelici. La nuova religione non solo inculca il dovere morale della carità, che anche il Cristianesimo un tempo aveva predicato, ma fa di essa un obbligo legale. E ripete anche, come aveva fatto il Cristianesimo primitivo, che il denaro, riscosso dagli agenti del fisco, è denaro rubato, e non ammette collettori di imposte o amministratori, che bevano il sangue del popolo, ma stabilisce che costoro, come diceva il Corano, siano pagati sul fondo della zachâ.

Ecco perché, come non era avvenuto pel Cristianesimo, le popolazioni delle campagne egizie si convertono facilmente all’ Islamismo, perché la cristianissima Siria favorisce l’invasione, perché gli eserciti musulmani ingrossano continuamente, man mano che la conquista avanza. Non sono più gli Arabi del deserto a sciamare sui mondo; sono gli antichi, civilissimi Egizi, Siri, Medi, Persiani, a combattere con loro – per loro e per se stessi! Questi, i soldati della prodigiosa conquista «araba»!

Ma i ricchi, coloro contro cui il Corano predica la legittimità della spoliazione, si troveranno forse, sotto il nuovo dominio, in condizioni peggiori che sotto 1’antico? Gli invasori sono troppo scarsi di numero, perché possano far sentire duramente la loro oppressione, troppo rozzi, perché possano immediatamente organizzare uno Stato, fabbricare meccanismi così ferrei, uncini così laceranti, come quelli che armavano gli antichi Imperi così detti civili. L’ordinamento, che il Profeta aveva dato ai Musulmani di Medina, rispettava con scrupolo l’autonomia dei singoli elementi della città fedelissima. Ed anche tutto l’Impero arabo é, per adesso, una sterminata Medina. Non é solo l’autorità del Corano a consigliare questa politica; é la inesperienza dei dominatori ad imporla, per cui a essa riesce il metodo più adatto per governare. I convertiti mantengono i loro quadri, e finiscono col serbarli anche gl’indigeni sottomessi, renitenti ad islamizzarsi, come li avevano serbati gli Ebrei ed i pagani del Yatreb. «Poiché essi», proclamerà, riferendosi ai vinti, il generale invasore del Sind, «poiché essi si sono sottomessi ed hanno pagato l’imposta, che cosa si può chiedere di più? Noi li abbiamo presi sotto la nostra protezione; ci é quindi impossibile privarli delle loro proprietà e della vita!». Ed egli ripete la parola solenne, che, quattro secoli innanzi, un imperatore pagano aveva pronunziata: «Sia accordata loro licenza di adorare i propri Dei! Nessuno deve essere molestato nell’esercizio della propria religione!». Gli é che, per il momento almeno, i conquistatori sono assai poco inclini al lavoro metodico, cui non erano abituati, perché abbiano voglia di lavorare la terra o i metalli, o di praticare l’agricoltura, l’ industria, il commercio, come usavano i vinti. Onde essi lasciano a costoro tutte queste cure fastidiose, e si contentano di prelevare un lieve reddito sulle loro fortune, sui loro profitti.

I quali, per altro, possono ora essere più abbondanti di un tempo! L’invasione ha affrancato gli uomini dall’antica pressura statale, dalla tirannia che si esercitava, sia a fine di male come di bene, su ogni intrapresa, su ogni iniziativa dell’individuo; é di nuovo possibile dar corso alle proprie idee, dirigere, come e dove meglio piaccia, la propria attività. In un regime, che non celebra il carattere sacro della proprietà, che, anzi, ne afferma il carattere profano ed impuro, da cui é mestieri riscattarla, la proprietà é di fatto riconsacrata. Il mondo finalmente respira! Ecco perche anche i grandi signori dell’ Irak non esitano a convertirsi e ad entrare, per esservi trattati da paro a paro, nella nuova società islamizzata!

Il mondo orientale ha, dunque, molto guadagnato e poco perduto nel cambio. Ha guadagnato parecchie cose che l’Occidente aveva sperato di ottenere dalle invasioni barbariche, e non le aveva avute. Meno rispettose del venerando passato, più profondamente religiose, le prime generazioni di Arabi invasori hanno compiuto quella rivoluzione sociale, cui da secoli l’Oriente anelava. Ecco perché questo rapidamente si islamizza; ecco perché 1’Impero persiano precipita; ecco perché quello bizantino é sventrato; ecco perché occorrerà ancora del tempo prima che i vinti abbiano ad accorgersi di essere un’altra volta, come i loro fratelli dell’Occidente, andati incontro ad una nuova delusione!

Enrico La Rosa