Ferruccio di Paolo
L’articolo che state per leggere è stato preparato con il desiderio di dare un contributo al discorso aperto dal bello e ponderoso articolo dal titolo «La “B” in NBCR» scritto da Giovanni Ferrari e pubblicato su queste pagine[1], cercando di affiancare a quelle riflessioni l’aspetto legato a una comunicazione efficace e tempestiva in presenza di una situazione di crisi di matrice biologica.
Il titolo, però, nella sua formulazione contiene una piccola provocazione perché il “lato B” comunemente inteso nella vulgata quotidiana, non ha nulla a che vedere con la comunicazione di crisi. Non ci si inventa comunicatori di crisi affidandosi a un colpo di fortuna o all’improvvisazione. Riuscire a costruire una comunicazione capace di contribuire a salvare la vita delle persone è frutto di una meticolosa preparazione in tempo di pace, di una sinergia tra professionisti e tecnici di differente formazione, dell’approntamento di una robusta logistica di supporto, di un sistema per la comunicazione che si muova attraverso strategie ed obiettivi concordati e pianificati e curato da persone preparate attraverso formazione specifica ed esercitazioni.
La gestione della comunicazione in una situazione di crisi sanitaria, nei suoi caratteri essenziali, non è differente dalla comunicazione da attuare in ogni altro tipo di crisi. Il compito strategico della comunicazione anche in una crisi sanitaria consiste nella necessità di ridurre il senso di smarrimento e incertezza e fornire norme di comportamento efficaci per la popolazione.
L’incertezza rappresenta la prima grande nemica in una situazione di crisi. La sua capacità di annullare la prospettiva di un futuro e di ridurre la capacità di programmazione allontana l’idea di una uscita dalla situazione critica annichilendo la capacità di reazione. Il senso di abbandono che accompagna questa sensazione può portare a una diminuzione drastica della fiducia nelle istituzioni e alla perdita della consapevolezza dell’importanza della salvaguardia della salute con la ricerca di soluzioni estemporanee e improvvisate. L’obiettivo principale della comunicazione è, quindi, fornire informazioni sicure e indicazioni concrete, ascoltare e rispondere alle istanze che vengono dalla popolazione attraverso messaggi e risposte caratterizzati da onestà, competenza e con una forte componente empatica, capace di coniugare l’approccio cognitivo con quello emozionale.
Una comunicazione corretta e tempestiva contribuirà a raggiungere questi obiettivi primari utili a contribuire al superamento della crisi, a limitare il numero delle vittime e impedire la disgregazione del sistema sociale.
Una comunicazione tempestiva e corretta, e questi due termini sono tra loro inscindibili. Pensiamo solo a cosa potrebbe accadere con una comunicazione corretta ma intempestiva. Questa non produrrebbe i risultati previsti in quanto attiverebbe le risposte troppo tardi rispetto al danno. Altresì, una comunicazione tempestiva ma scorretta, fornendo indicazioni fuorvianti non avrebbe alcun risultato efficace per superare la crisi, favorendo il crollo della fiducia nelle istituzioni e agevolando il dilagare di notizie incontrollate e di fake news. Una comunicazione errata rischia addirittura di peggiorare la situazione e di generare l’insorgere di una ulteriore crisi all’interno della crisi stessa. La tempestività e la correttezza nascono dalla competenza, dalla pianificazione, dall’addestramento e dalla preparazione acquisita in tempo di pace.
La comunicazione di crisi inizia con l’ascolto, non con l’invio di messaggi. Nel caso di crisi sanitaria è essenziale monitorare il modo in cui questa crisi viene percepita dal pubblico e dalle persone coinvolte o interessate. Bisogna porsi delle domande e individuare immediatamente i canali corretti (monitoraggio del web, attivazione di un numero verde presidiato e facilmente raggiungibile, analisi delle notizie sui media) per intercettare le preoccupazioni e farsi un’idea della percezione della situazione da parte della popolazione.
Solo a titolo esemplificativo, è opportuno, sin da subito, chiedersi quali sintomi descrivono le persone nelle telefonate ai servizi di emergenza, cosa viene raccontato sui social media o negli articoli dei media tradizionali e dei digital media, quali domande vengono poste con maggiore frequenza agli esperti o agli operatori del numero verde, oppure, quali comportamenti vengono messi in atto (le persone fuggono? o rimangono dove sono? stanno andando a prendere i loro figli a scuola? quali farmaci stanno assumendo?).
Quindi un compito preciso di chi vuole attivare una corretta comunicazione di crisi è di far precedere una comunicazione tempestiva e corretta dall’ascolto, e conseguentemente dalla capacità di impostare strategie di comunicazione finalizzate ad arrestare le paure nascenti nei confronti di un evento inizialmente sconosciuto e di cui spesso rimangono per un lungo periodo confini indefiniti sulle origini e sulla sua evoluzione. Per fare questo in tempi rapidi (la crisi richiede tempi rapidi di risposta), sarà importante avere del personale addestrato all’ascolto. La diffusione di un evento biologico, sia esso di origine naturale o conseguenza di una azione deliberata, non può che creare paura e preoccupazione tra la popolazione. Una paura dovuta anche alla scarsa familiarità che si ha di fronte a fenomeni complessi di cui non si conoscono immediatamente gli effetti nocivi sulla salute.
Volendo inserire una crisi sanitaria all’interno di un più ampio concetto di crisi sarà utile fornire una definizione di quest’ultima: Una crisi è la percezione di un evento possibile, non prevedibile nei tempi e nei modi, che genera alti livelli di incertezza e di minaccia il cui accadimento e la cui visibilità producono un effetto in grado di compromettere la capacità operativa e la sopravvivenza di un’organizzazione[2].
Leggendo questa definizione un termine da sottolineare è quello di percezione. E l’attenzione su questo termine diviene ancor più evidente visto che stiamo parlando di problematiche legate alla salute. In questa situazione le cause possono essere difficilmente identificabili o hanno la caratteristica di non apparire immediatamente evidenti ai cinque sensi. Se la crisi è generata da qualcosa non facilmente visibile, inodore, incolore e insapore, è molto più difficile per il cittadino valutare obiettivamente i pericoli e le minacce.
La percezione che si ha di una crisi, quindi, gioca un ruolo determinante nelle modalità di risposta. La percezione è un processo cognitivo che orienta i comportamenti delle persone di fronte a decisioni che coinvolgono dei rischi potenziali. La percezione coinvolge le conseguenze tanto su un piano razionale ed oggettivo quanto su un piano emozionale e soggettivo.[3] In poche parole, capita che le persone a volte temano delle attività che non sono in realtà pericolose e non temano, invece, delle attività che potrebbero avere conseguenze drammatiche.
Vale la pena ricordare il Teorema di Thomas[4], secondo il quale se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze. Mediante questa asserzione, si esplicita la capacità di un gruppo, o anche di individui, di rendere reali le situazioni sociali che percepiscono come vere mediante un comportamento che si adegui a quelle situazioni. L’esempio più classico nella vita quotidiana viene dalla percezione della temperatura; infatti, se in una qualsiasi situazione dovessimo avvertire freddo a prescindere dalla temperatura oggettiva che può dirci un termometro ambientale, anche se ci venisse detto che la temperatura è di 28°, il nostro comportamento conseguente alla percezione sarà di coprirci con indumenti che ci permettano di stare caldi.
La crisi è spesso percepita attraverso l’impatto mediatico che genera e attraverso delle cornici narrative che vengono applicate alla questione, fornendone una chiave interpretativa applicata all’evento in questione[5].
Lo stesso agente potrebbe causare risposte diverse in diversi generi o gruppi di età, ad esempio, alcune ricerche tra i primi soccorritori ospedalieri in Norvegia hanno dimostrato che quando si tratta di gestire incidenti radiologici, le donne sono particolarmente preoccupate per i possibili effetti sulla loro fertilità o sugli effetti sui loro figli. È quindi importante identificare il pubblico di destinazione e le sue preoccupazioni e quindi regolare i messaggi di conseguenza.
È molto più difficile per il cittadino valutare i pericoli e le minacce sconosciute, o di cui non si ha familiarità. Le persone spesso amplificano il rischio di tossicità ignota. Altre persone, invece, potrebbero pensare che la situazione non sia poi così grave, soprattutto se non possono vedere o sentire il pericolo attraverso i propri sensi. Quando in realtà sono in grande pericolo. Questo effetto è conosciuto come bias ottimista[6]: l’ottimismo può indurre a sottostimare la vulnerabilità personale ai pericoli, riducendo la motivazione ad adottare precauzioni per proteggere la propria salute. In entrambi i casi è fondamentale che la strategia di comunicazione attivata sia in grado di comunicare i pericoli molto rapidamente e correttamente con termini semplici, comprensibili accompagnando questa comunicazione con norme di comportamento concrete.
Questa attività deve essere messa in campo utilizzando tutti i mezzi disponibili, comprese le forme di comunicazione legate ai nuovi media. È utile presentare anche sul web le informazioni importanti per cercare di affrontare il cosiddetto “paziente googlante”, una categoria sempre più diffusa per la quale è pratica comune rivolgersi prima alla rete per ricevere una diagnosi in base a presunti sintomi, affidandosi ciecamente a questa mettendo in serio pericolo la propria salute[7].
Voci incontrollate, informazioni ansiogene e fake news posso crescere velocemente se le informazioni e le istruzioni sulle norme di comportamento da seguire non arrivano tempestivamente, se permane l’assenza di una narrativa capace di spiegare gli accadimenti in corso. È, quindi, fondamentale che siano stati preparati e pianificati in anticipo dei criteri di gestione della comunicazione per consentire di rispondere a tutte sensazioni di disagio il più rapidamente possibile e per evitare che la normale paura che si scatena di fronte ad un evento ostile sconosciuto, si trasformi in panico.
Si parla di evitare il panico e non la paura perché in circostanze di effettivo pericolo non si deve avere timore di comunicare la paura, né di sminuirla o dileggiarla. Una sana paura di fronte al pericolo è l’ancestrale risposta che portava i nostri progenitori a rifugiarsi in una grotta alla vista di un predatore, lasciando guerrieri e cacciatori a difendere il territorio, è la paura che garantisce la sopravvivenza della specie. Uno dei compiti della comunicazione delle istituzioni è evitare che questa paura si trasformi in panico.
Al contrario, la paura è bene che esista perché permette di comunicare a noi stessi e agli altri uno stato di allerta. Se un bambino non avesse mai paura e non fosse in grado di comunicarla, rischierebbe di avere dei danni fisici importanti. Se non si ha paura di morire, si rischia continuamente di perdere la vita. Il panico, invece, è una sensazione psicofisica che proviamo quando abbiamo la sensazione di trovarci di fronte ad un pericolo inaffrontabile e impossibile da evitare. È diverso dalla paura poiché questa ci mantiene connessi con le altre persone e ci dà la possibilità di comunicare il nostro disagio a terzi. Il panico, invece, ci pone in uno stato di oppressione tale che non siamo in grado nemmeno di chiedere aiuto, di ragionare, di trovare una soluzione che non sia scappare in modo disorganizzato o, peggio ancora, rimanere paralizzati.[8]
Le persone raramente si fanno prendere dal panico in caso di disastro, ma vogliono informazioni rapide e accurate in modo che possano sentirsi in controllo. La tua strategia di comunicazione deve rassicurare le parti interessate e il pubblico comunicando con tutti i mezzi disponibili. Il messaggio centrale dovrebbe sempre essere quello dell’empatia, mostrando di capire perché le persone sono spaventate (o, alternativamente, seguendo il bias ottimista, perché in realtà pensano che non ci sia pericolo.
La rapidità della risposta comunicativa è quindi cruciale, ma questo difficilmente può avvenire con efficacia se non è stato predisposto un piano di comunicazione studiato in “tempo di pace” che preveda la definizione di uno stile di comunicazione, l’individuazione della direzione dei flussi, l’identificazione delle figure professionali da coinvolgere (e il mantenimento di elenchi dettagliati e aggiornati di queste figure) e dei target da raggiungere: chi ha immediato bisogno di ricevere tutte le informazioni di cui si dispone, man mano che queste vengono acquisite.
È utile, quindi, determinare in precedenza anche i cosiddetti anelli di attenzione. in cui si identifica quali persone (o cluster) abbiano bisogno delle informazioni per prime, quale gruppo per secondo e quale gruppo per terzo. La composizione di questi anelli può variare a seconda della situazione che ci si trova a dover fronteggiare. Chiaramente l’analisi scientifica è un elemento essenziale per determinare gli «anelli di attenzione», ma anche il monitoraggio delle informazioni sociali e la raccolta di feedback costituiscono una parte importante del processo.
Le lezioni acquisite durante eventi pandemici hanno dimostrato che i soccorritori rappresentano una percentuale elevata delle vittime. Da questo l’importanza delle comunicazioni immediate con informazioni e norme di comportamento chiare e sulle attrezzature di cui dotarsi. Informazioni da trasmettere immediatamente a chi interviene in prima persona.
Ci sarà, quindi, da gestire una immediata comunicazione mirata ai first responders attivi sul territorio. Tra questi ci sono medici, specialisti, infermieri e tutti gli altri operatori sanitari che avranno bisogno di informazioni costanti e aggiornate, nonché direttive utili e valide per la loro messa in sicurezza, essendo continuamente esposti a malati e a pazienti asintomatici, potenziali vettori del virus.
Analogamente a quanto avviene per le altre forze di safety e security, gli operatori sanitari necessiteranno anche di competenze, risorse e specifico addestramento per affrontare la massiccia richiesta di informazioni da parte dei pazienti e delle loro famiglie, considerando che la richiesta pressante proverrà anche da persone che semplicemente temono di essere contagiate.
I lavoratori sanitari costituiscono la prima risorsa, ma anche la principale interfaccia nei rapporti di comunicazione con la popolazione; devono affrontare la sfida di rispondere a molteplici sollecitazioni e devono essere altamente preparati in anticipo per proteggere non solo i loro pazienti e i loro clienti, ma anche loro stessi e le loro famiglie.
Ferruccio di Paolo
Ferruccio di Paolo è NATO Civil Expert in technical matters on crisis communication; Professore in Sociologia dei processi culturali e comunicativi; Componente del Gruppo di lavoro per lo Studio, Ricerca e Formazione in materia di Comunicazione di Crisi del Dipartimento dei Vigili del fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile
[1] Ferrari Giovanni, La “B” in NBCR, omeganews – Periodico dell’Osservatorio Mediterraneo di Geopolitica e Antropologia (O.Me.G.A.), 6 June 2022, https://www.omeganews.info/?p=5092
[2] Di Paolo Ferruccio, Lezione sulla Comunicazione di Crisi delle istituzioni nel corso Relazioni Istituzionali e Responsabilità Sociale d’Impresa. Dipartimento della COMUNICAZIONE E RICERCA SOCIALE. Università degli Studi di Roma I Sapienza. 2019
[3] Joanna Burger, Michael Gochfeld, Taryn Pittfield, Christian Jeitner “Perceptions of Climate Change, Sea Level Rise, and Possible Consequences Relate Mainly to Self-Valuation of Science Knowledge”, Energy and Power Engineering, Vol.8 No.5, May 11, 2016
[4] Questo cosiddetto teorema venne enunciato nel 1928 dal sociologo americano William Thomas e dalla sua seconda moglie Dorothy Swaine Thomas.
[5] Poma Luca, La comunicazione di crisi, in Lo Stato in Crisi, Pandemia e lezioni per il futuro, Trancu P, a cura di., Franco Angeli, Roma, 2021
[6] Questa categoria di persone si presenta più ottimista che realista, nonostante ci piaccia pensare di essere creature razionali capaci di fare giuste previsioni sulla base di valutazioni obiettive, in realtà diversi studi hanno dimostrato che le persone sottostimano le situazioni negative o dannose.
Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/bias/
[7] Pira francesco, Moncada Raimondo, Fake news, Medinova editore, 2020
[8] Di Paolo Ferruccio, “La comunicazione di crisi delle istituzioni”, Trancu P, op cit.