11 dicembre 1948 – Approvazione della Risoluzione n. 194 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sul diritto al ritorno dei Palestinesi

di Enrico La Rosa

 

Scopo del presente elaborato è di fornire ai lettori che non avessero ancora approfondito questo argomento, e che si fossero accontentati della stereotipata definizione dei Palestinesi quali rozzi terroristi e gli Israeliani quali fulgido esempio di liberalismo e democrazia, di verificare i loro convincimenti alla luce di fatti documentati storicamente.

L’occasione per la verifica è la sorte subita dal territorio palestinese e dalla sua popolazione araba nel periodo 1947/48, ossia subito dopo l’approvazione a larga maggioranza in data 29 novembre 1947 della Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite n. 181, che dettava i criteri per la spartizione dello stesso. Vorremmo poterci attenere esclusivamente ai fatti documentati, lasciando ad altri l’esame delle dietrologie e dei significati reconditi o delle aspirazioni politiche dei protagonisti, o delle loro condizioni nel momento in cui essi si sono svolti.

Non essendo storici di professione e non avendo accesso ad archivi che custodiscano documenti probanti, ci siamo riferiti alle narrazioni di storici di chiara fama e di comprovata onestà e attendibilità. Sulla specifica problematica abbiamo preso in considerazione, in particolare, agli scritti di Whalid Khalidi, Nur Masalha (palestinese), Gersshon Safir, Baruch Kimmerling, Ilan Pappe (israeliano), Samih Farsoun, Leo Motzkin, Benny Morris (israeliano), Simcha Flapan, David Fromkin (US), Jeremy Salt (UK). Alcuni di essi, israeliani, facenti parte della “nuova storia”, hanno avuto libero accesso agli archivi militari del loro paese (IDF, Haganah), agli archivi sionisti centrali, agli “archivi Ben Gurion”, al diario di Ben Gurion, ai memoriali scritti da alcuni membri della Consulta. Vi hanno trovato sorprendenti rivelazioni e circostanziate testimonianze sullo svolgimento dei fatti. Importantissime anche le narrazioni raccolte da storici palestinesi, oggetto di libri e film girati sull’argomento. Di rilevanza istituzionale la documentazione testimoniale della CRI in occasione dell’episodio di “guerra batteriologica” israeliana contro la popolazione palestinese di Acri.

 

Prima di dare inizio alla narrazione qualche notizia sul gruppo dirigente israeliano.

Questi i nomi delle persone che vollero e comandarono il versamento di tanto sangue e inflissero tante sofferenze – non ancora finite né sanate – ad un intero popolo, perseguitato ed inviso a causa della successiva reazione a tanta persecuzione:

  • David Ben Gurion, polacco, fondatore di Israele e prima persona a ricoprire l’incarico di Primo ministro del suo Paese;
  • Yigal Allon, membro permanente della Consulta, capo del Fronte Sud;
  • Shimon Avidan, militare, presenze occasionali nella Consulta;
  • Zvi Ayalon, membro permanente della Consulta, rappresentante per la Galilea e comandante del Fronte Centrale;
  • Ephraim Ben-Arzi, polacco, immigrate in Israele nel 1924, il più anziano degli Ufficiali dell’Haganah che avevano partecipato alla 2a Guerra mondiale sotto commando inglese;
  • Yitzhak Benzvi, esponente della leadership sionista, storico, futuro secondo presidente di Israele, convinto assertore dell’utilità della mappatura dei villaggi;
  • Moshe Carmel, militare, presenze occasionali nella Consulta, comandante del Fronte Nord;
  • Ezra Danin, proprietario di ottimi agrumeti, figura di rilievo nella pulizia etnica della Palestina, responsabile della razionalizzazione delle schede dei villaggi;
  • Moshe Dayan, militare, presenze occasionali nella Consulta;
  • Dan Even, militare, presenze occasionali nella Consulta, (comandante del Fronte costiero;
  • Israel Galili, membro permanente della Consulta, di cui fu presidente;
  • Isar Harel, membro saltuario della Consulta, capo dell’intelligence; e i suoi aiutanti: Ezra Danin, Gad Machnes e Yehoshua Palmon;
  • Tuvia Linshanski, aggregata al team Danin-Shimoni, partecipò attivamente alla preparazione della pulizia etnica della Palestina;
  • Ben Zion Luria, università ebraica di Gerusalemme, ideatore della mappatura dei villaggi palestinesi;
  • Moshe Kalman, militare, presenze occasionali nella Consulta, che ripulì la zona di Safad;
  • Yehoshua Palmon, aggregato al team Danin-Shimoni, partecipò attivamente alla preparazione della pulizia etnica della Palestina;
  • Moshe Pasternak, facente parte dal 1940 delle squadre di raccolta dati nei villaggi palestinesi;
  • Yitzahak Pundak, militare, presenze occasionali nella Consulta;
  • Yitzhak Rabin, militare, presenze occasionali nella Consulta, futuro Presidente, assassinato da terroristi ebrei dell’ala oltranzista;
  • Arthur Rapin, co-autore dei primi progetti per la colonizzazione ebraica della Palestina all’inizio del XX secolo;
  • Yohanan Ratner, membro permanente della Consulta, ucraino, membro della Consulta, consigliere strategico di Ben Gurion;
  • Margot Sadeh, moglie di Yitzhak Sadeh;
  • Yitzhak Sadeh, membro permanente della Consulta, capo delle unità corazzate e com/te del Palmach, le unità speciali dell’Haganah, Capo di Stato Maggiore dell’Haganah;
  • Eliahu Sasson, presenze occasionali nella Consulta, che incontrava Ben Gurion separatamente a Gerusalemme ogni domenica;
  • Palti Sela, appartenente ai servizi segreti, ruolo di rilievo nella pulizia etnica;
  • Shlomo Shamir, militare, presenze occasionali nella Consulta;
  • Yitzhak Shefer, di Tel Aviv, fotografo, reclutato per il programma di mappatura dei villaggi;
  • Moshe Shertock (Sharett), presenze occasionali nella Consulta, capo del Dipartimento politico dell’Agenzia ebraica, futuro premier di Israele;
  • Yaacov Shimoni, ebreo tedesco, presenze occasionali in Consulta, reclutato da Danin, eccellente “orientalista, responsabile di progetti speciali all’interno dei villaggi e della supervisione del lavoro degli informatori; incontrava Ben Gurion separatamente a Gerusalemme ogni domenica;
  • Yaacov Tahon, ebreo tedesco, co-autore dei primi progetti per la colonizzazione ebraica della Palestina all’inizio del XX secolo;
  • Yossef Weitz, membro saltuario della Consulta, capo del Dipartimento delle colonie nell’Agenzia ebraica, al cui nome fu strettamente associata l’attività del JNF (Fondo Nazionale Ebraico);
  • Yigael Yadin, membro permanente della Consulta, padre polacco, membro della Consulta, capo delle operazioni;

 

Avevamo chiuso l’articolo del 15 ottobre scorso (http://www.omeganews.info/?p=3064) con questo brano (ci si scusi l’autocitazione, ci occorre semplicemente per riprendere il filo della narrazione): «Appena partiti gli inglesi, il leader ebraico Ben Gurion proclama lo Stato indipendente di Israele. Il giorno dopo la Lega araba (Egitto, Transgiordania, Siria, Libano, Arabia Saudita e Iraq) dichiara guerra a Israele, non accettando la presenza di due Stati indipendenti. La guerra si conclude a favore degli ebrei, meglio armati (dagli americani, dalla Russia per interposta Cecoslovacchia e da molti Paesi europei, inclusa l’Italia) e organizzati, al contrario dei Palestinesi cui fu imposto un embargo nel campo degli armamenti mai chiaramente motivato. La striscia di Gaza viene affidata all’amministrazione egiziana e la Transgiordania riesce a occupare la maggior parte della Palestina araba, diventando lo Stato di Giordania. Dal canto suo Israele riesce ad annettersi tutto il Negev e la Galilea. Lo Stato di Israele viene riconosciuto immediatamente e nell’ordine dagli Usa e dall’Unione Sovietica, entrambe timorose che possa finire sotto l’influenza della controparte. Viene subito ammesso all’Onu. Nessun Paese arabo lo vuole riconoscere.

Approfondimenti e ricca bibliografia sui preparativi e sullo svolgimento del conflitto, nonché un’approfondita analisi dello stesso sotto il profilo politico, militare, sociologico possono essere consultati su questo stesso giornale, frutto del rigoroso e profondo studio eseguito da Guido Monno, autore degli articoli, consultabili ai seguenti link:

http://www.omeganews.info/?p=2604,

http://www.omeganews.info/?p=2609,

http://www.omeganews.info/?p=2615,

http://www.omeganews.info/?p=2626,

http://www.omeganews.info/?p=2636,

http://www.omeganews.info/?p=2639».

Come visto, la Risoluzione n. 181 del 29 novembre 1947 prevedeva la creazione di due Stati, la libertà di transito attraverso le frontiere e imponeva la pratica dei rispettivi culti attraverso il libero accesso ai luoghi religiosi. Chiaro l’intento espiatorio e riparatore della comunità internazionale, per non avere potuto e saputo evitare lo sterminio nazista. Il tutto a spese dell’incolpevole popolo palestinese, che ora si vedeva espropriato di un territorio posseduto “de facto” da diversi secoli in favore di profughi europei, insediatosi sino a quel momento in rapporto di uno a nove.

La prima guerra arabo-israeliana aveva avuto inizio all’indomani dell’auto proclamazione dello Stato d’Israele del 14 maggio 1948, e terminò con gli armistizi di Rodi della primavera/estate 1949.

Questa cartina, che riproponiamo, mostra, con il colore verde più scuro, l’espansione di Israele al termine della guerra del ’48.

1112201601L’intento sionista, constatate le caratteristiche di quella terra fertile e calda, non era molto dissimile dall’aspirazione millenaria dei popoli del Nord (basti pensare ai reiterati tentativi compiuti dalla Russia nei secoli di accedere al Mediterraneo), perché dal Nord essi provenivano, non erano “nativi” e dei locali non avevano né i tratti somatici, né caratteriali, né il retaggio culturale, che è quello che contraddistingue una “Nazione”. Essi volevano per sé tutta la Palestina. E questa è stata l’aspirazione dall’inizio del secolo, questo è stato il piano dopo l’esito della prima guerra arabo-israeliana, constatata la propria forza. E questo, a parere dello scrivente, rimane il progetto per il futuro, il grande stato d’Israele, che inglobi Siria Libano e buona parte dell’Irak: tutto ciò che è compreso all’interno del poligono che comprende il confine sud della Turchia sino al lago di Lurmia, la congiungente Lurmia/sud di Akaba, la linea di costa occidentale del Sinai sino al Mediterraneo e a seguire su sino al confine con la Turchia. Se ciò non è ancora avvenuto non è stato per paura della reazione araba, ma dell’Iran e della comunità internazionale in generale e per l’abilità dimostrata dalla dirigenza palestinese di mantenere viva l’attenzione sui fatti della regione, nonostante il chiaro tentativo israeliano di non attirare l’attenzione sull’inarrestabile espansione a mezzo dei propri coloni. Tornando all’epoca in questione, negli anni ’30 la leadership sionista non aveva perso tempo nell’ elaborare i suoi piani per una presenza esclusivamente ebraica in Palestina: dapprima, nel 1937, accettando una modesta porzione del territorio quando rispose positivamente a una raccomandazione della Commissione Peel di divisione della Palestina in due Stati; e poi, nel 1942, tentando una strategia più massimalista, pretendendo tutta la Palestina per sé (Ilan Pappe, “La pulizia etnica della Palestina”, 2008, Fazi editore, Roma, pag., p. 27). Lo affermò in pubblico in quell’anno lo stesso Ben Gurion.

 

E questo progetto traspare chiaramente dalle dichiarazioni e dagli atti di Ben Gurion e degli altri “fondatori”:

«… in un incontro al Biltmore Hotel di New York nel 1942 vediama Ben Gurio mettere sul tavolo la richiesta di un Conwealth ebraico sull’intera Palestina mandataria», (Pappe, op. cit, p.37, Charles D. Smith, Palestine and the Arab-Israeli Confict, pp. 167-168);

«è nostro diritto trasferire gli arabi», «gli arabi devono andarsene!», (Pappe, p.37, Yossif Weitz, My Diary, vol 2, p. 181, 20/12/1940);

«“Gli arabi dovranno andarsene”, ma occorre il momento opportuno per farlo, per esempio una guerra», (Pappe, op. cit, p.37; Diary, di Ben Gurion, 12/7/1937, New Judea, agosto-settembre 1937, p. 220);

«Quando nel 1937 gli inglesi offrirono alla comunità ebraica uno Stato, ma su una porzione della Palestina molto più piccola di quanto avessero in mente, Ben Gurion accettò la proposta come un buon inizio, pur aspirando alla sovranità ebraica sulla maggior parte del territorio Palestinese. Con la sua influenza indusse poi la leadership sionista ad accettare sia la sua autorità assoluta sia la nozione fondamentale che la futura entità statale avrebbe significato dominazione ebraica completa. Anche la discussione su come realizzare uno Stato puramente ebraico avvenne sotto la sua guida intorno al 1937. Due parole magiche emersero allora: Forza Opportunità. Lo Stato ebraico poteva essere ottenuto solo  con la forza, ma bisognava aspettare che si presentasse il momento storico opportuno per poter trattare “militarmente” la realtà demografica del territorio: la presenza di una maggioranza della popolazione nativa non ebraica. Ben Gurion si concentrava-sui processi a lungo termine e sulle soluzioni ad ampio raggio, a-differenza .della maggior parte dei suoi colleghi nella leadership sionista che speravano ancora che comprando un pezzo di terra qui e qualche casa là avrebbero potuto ottenere ciò che desideravano Ben Gurion capì fin dall’inizio che questo non sarebbe mai bastato – e naturalmente aveva ragione: alla fine del Mandato, come abbiamo già visto, il movimento sionista era riuscito a comprare solo il 6 per cento circa della terra», (Pappe, op. cit, p.38; Shabtai Teveth, Ben Gurion and the Palestinian Arabs:From eace to War);

«Nel 1942 …Ben Gurion mirava già molto più in alto quando sostenne pubblicamente la pretesa sionista su tutta la Palestina. Come nei giorni della Dichiarazione Balfour, i leader sionisti intendevano che la promessa includesse il paese nel suo insieme. Ma egli era un colonialista pragmatico oltre che costruttore dello Stato. Sapeva che schemi massimalistici come il programma Biltmore, che pretendeva tutta la Palestina mandataria, non sarebbero stati ritenuti realistici. Era anche impossibile, naturalmente, esercitare pressioni sulla Gran Bretagna mentre faceva da baluardo contro la Germania nazista in Europa. Di conseguenza ridusse le proprie ambizioni durante la seconda guerra mondiale», (Pappe, op. cit, p.39);

«… all’indomani della seconda guerra mondiale …. permettere al movimento sionista di realizzare i suoi sogni e le sue ambizioni», (Pappe, op. cit, p.40; Pappe, Britain and the Arab-Israeli Conflict, 1948-151);

«Negli ultimi giorni dell’agosto del 1946, Ben Gurion riunì la leadership del movimento sionista in un hotel di Parigi … perché lo aiutasse a trovare un’ alternativa al piano Bilmore che aveva puntato all’ occupazione di tutta la Palestina. … «Pretenderemo una grossa fetta di Palestina», disse Ben Gurion a quelli che aveva convocato nella capitale francese. Come generazioni i di leader israeliani dopo di lui, fino ad Ariel Sharon nel 2005, Ben Gurion riteneva di dover tenere a freno i componenti sionisti più estremisti e disse loro che 1’80-90 per cento della Palestina  mandataria era sufficiente per creare uno Stato vitale, purché fossero stati in grado di garantire il predominio degli ebrei. Né il concetto né la percentuale sarebbero cambiati nei successivi sessant’anni. Qualche mese più tardi l’Agenzia ebraica traduceva la «grossa fetta di Palestina» di Ben Gurion in una mappa del territorio che distribuì a tutti coloro che avevano un ruolo nel futuro della Palestina. Questa mappa de 1947.prevedeva uno Stato ebraico che anticipava quasi sino ai minimi dettagli l’estensione d’Israele prima del 196, cioè la Palestina senza la Cisgiordania e la striscia di Gaza», (Pappe, op. cit, p. 40-41; intervista di Moshe Sulzki con Moshe Sneh, in Olive Leaves and Sword: Documents and Studies of the Hagana, a cura di Gershon Rivlin, e nel Diary di Ben Gurion, 10 ottobre 1948);

«Fu Ben Gurion che convinse i suoi collaboratori ad accettare e nello stesso tempo a non tenere in alcun conto la Risoluzione di spartizione dell’ONU del 29 novembre 1947. …. Già nell’ottobre del 1947, prima ancora che la Risoluzione venisse adottata, Ben Gurion chiarì ai suoi collaboratori che se la mappa del piano di spartizione non fosse stata soddisfacente, lo Stato ebraico non sarebbe stato obbligato ad accettarla (Micael Bar-Zohar, “Ben Gurion: A Political Biography”, vol. 2, 660-661; Pappe, op. cit, p. 42). … il rifiuto o 1’accettazione del piano da parte dei palestinesi non avrebbe cambiato la valutazione fatta da Ben Gurion sui suoi limiti. Per lui e per i suoi amici ai vertici della gerarchia sionista, uno Stato ebreo solido significava uno Stato che si estendesse sulla maggior parte della Palestina e che comprendesse solo pochissimi palestinesi, se proprio dovevano esserci (discorso di Ben Gurion al centro del Mapai del 3/12/47). Allo stesso modo, Ben Gurion non si mostrò affatto preoccupato per la proposta contenuta nella Risoluzione in cui Gerusalemme figurava come città internazionale. Egli era fermamente intenzionato a trasformare l’intera città in capitale dello Stato ebraico. …

Anche se non era soddisfatto della mappa dell’ONU, Ben Gurion si rese conto che in quelle circostanze – col rifiuto totale della mappa da parte del mondo arabo e dei palestinesi -la questione dei confini definitivi da tracciare sarebbe rimasta aperta. Ciò che importava era il riconoscimento internazionale del diritto degli ebrei ad avere un proprio Stato in Palestina. …

Il previsto rifiuto del piano da parte degli arabi e dei palestinesi (archivi privati, Middle East Centre, St. Antony’s College, Cunningham’s Papers, scatola 3, documento 3) permise a Ben Gurion e alla leadership sionista di affermare che il piano ONU era lettera morta il giorno stesso in cui fu approvato – tranne, naturalmente, per quelle clausole che riconoscevano la legalità dello Stato ebraico in Palestina. I suoi confini, dato il rifiuto da parte palestinese e araba, «saranno decisi con la forza e non con la Risoluzione di spartizione», dichiarò Ben Gurion. Lo stesso sarebbe stato per il destino degli arabi che vivevano lì» (Pappe, op. cit, p. 52-53).

Ben Gurion, 18/6/47, in occasione dell’insediamento della Consulta disse ai presenti che la comunità ebraica avrebbe dovuto «non solo difendere i nostri insediamenti, ma l’intero paese e il nostro futuro nazionale». Successivamente, in un discorso pronunciato il 3/12/47, avrebbe ripetuto 1’espressione «il nostro futuro nazionale» e l’avrebbe usata come frase in codice per riferirsi all’equilibrio demografico nel paese, (Pappe, op. cit, p. 56).

 

Ed è evidente anche la fredda premeditazione annientatrice, se si considera la meticolosa mappatura eseguita in epoca molto antecedente rispetto alle date delle due fondamentali Risoluzioni delle Nazioni Unite. Come riferisce Ilan Pappe, topografi, fotografi e orientalisti hanno lavorato alla costruzione dei File Village, documenti contenenti dati dettagliati su ogni villaggio arabo Palestinese, elaborati su idea del cattedratico Ben-Zion Luria, dell’università di Gerusalemme, gestiti dal JNF (Fondo Nazionale Ebraico) e utilizzati dall’Haganah e dal Palmach, riuniti dal SHAI (acronimo per Sherut Yediot, lit. Information Service) nella pianificazione delle rispettive operazioni degli anni ‘40. Shai è stato fondato nel 1940, unità di intelligence e controspionaggio, braccio dell’Haganah, nonché antenato della Direzione intelligence militare durante il Mandato in Palestina. Sino al 1948 gli obiettivi primari di Shai furono la promozione di uno stato israeliano indipendente. Infiltrato negli uffici del mandato britannico al fine di informare la leadership ebraica e sionista sulla politica mandataria, sulle azioni in corso e programmate; di fornire indiscrezioni politiche utili alla propaganda, sulla penetrazione di gruppi arabi e anti-sionisti in Palestina e all’estero, elementi necessari da conoscere per la sicurezza e per la realizzazione di programmi di introduzione di armi di contrabbando e per l’immigrazione illegale dell’Haganah. I “file village” rispondevano alla necessità di intelligence da combattimento su numero di uomini nel villaggio, sul numero di armi, sulla topografia e così via, trattati con la ricerca di tracce di antichi ebrei nei villaggi, e con la possibilità di acquisto terra dagli abitanti del villaggio e sua sistemazione.

Descrivere la minuziosa attività svolta in quegli anni da quel gruppo qualificato di uomini, scelti uno ad uno per particolari doti utili alla missione. Ci limiteremo a citare i nomi e a elencare sommariamente le attività. Oltre il citato Ben-Zion Luria, capo del JNF, Yossef Weitz, capo del Dipartimento insediamenti, Yossef Nachmani, uno dei più stretti collaboratori di Weitz, Moshe Pasternak, membro dell’Hagana, Ezra Danin, coltivatore ed esperto delle schedature, Yaacov Shimoni, eminente orientalista, supervisore del lavoro degli informatori, Yehoshua Palmon e Tuvia Lishanski, dediti alla preparazione e gestione della pulizia etnica della Palestina.

 

Quanto alle attività preventive a supporto della pulizia etnica, «I migliori ortografi professionisti del paese furono invitati ad aderire all’iniziativa. Furono reclutati anche Ytzhak Shefer di Tel Aviv

e Margot Sadeh, moglie di Yitzhak Sadeh, comandante del Palmach (le unità speciali dell’Hagana). Il laboratoio cinematografico operava nella casa dì Margot dove una compagnia di irrigazione serviva da facciata: il laboratorio doveva restare nascosto alle autorità britanniche che avrebbero

potuto considerarlo come un’iniziativa di intelligence illegale diretta contro di loro. Gli inglesi sapevano della sua esistenza, ma non riuscirono mai a individuare il nascondiglio segreto. Nel 1947 l’intero Dipartimento cartografico fu trasferito alla Casa Rossa (archivi dell’Haganah, Village Files, doc. 24/9, testimonianza di Yoeli Optikman, 16 gennaio 2003).

Gli sforzi dei topografi e degli orientalisti diedero come risultato finale delle schede dettagliate che gli esperti sionisti misero gradualmente insieme per ciascun villaggio della Palestina. Entro la fine degli anni Trenta questo “archivio” era quasi completo. Furono registrati precisi dettagli sulla collocazione di ogni villaggio, le vie di accesso, la qualità della terra, le sorgenti d’acqua, le principali fonti di reddito, la composizione sociopolitica, le affiliazioni religiose, i nomi dei mukhtar, il rapporto con gli altri villaggi, l’età degli uomini (dai sedici ai cinquant’anni) e molti altri dettagli. Una categoria importante era l’indice di “ostilità” (verso il progetto sionista), stabilito dal livello di partecipazione del villaggio alla rivolta del 1936. C’era un elenco di chiunque avesse preso parte alla rivolta e delle famiglie di coloro che avevano perso qualcuno nella lotta contro gli inglesi. Veniva riservata una particolare attenzione alle persone che si presumeva avessero ucciso ebrei. Come vedremo, nel 1948 queste ultime informazioni alimentarono le peggiori atrocità nei villaggi portando a esecuzioni di massa e torture.

I membri regolari dell’Haganah a cui era affidato il compito di raccogliere i dati nel viaggi di ricognizione nei villaggi si resero conto, fin dall’inizio, che questo non era un semplice esercizio accademico di geografia. Uno di questi era Moshe Pasternak, che nel 1940 si unì a una delle prime escursioni e operazioni di raccolta dati. Molti anni dopo ricordava:

Dovevamo studiare la struttura fondamentale del villaggio arabo.

Ciò significala sua conformazione e come meglio attaccarlo.

Alla scuola militare, mi avevano insegnato come attaccare una

moderna città europea, non un villaggio primitivo nel Vicino

Oriente. Non potevamo confrontarlo [un villaggio arabo]

con un villaggio polacco o austriaco. I villaggi arabi, a differenza

di quelli europei, erano costruiti topograficamente sulle

colline. Ciò significava che dovevamo individuare se era meglio

avvicinarci al villaggio da sopra o entrarvi da sotto. Dovevamo

addestrare i nostri “arabisti” [gli orientalisti che gestivano

una rete di collaboratori] su come meglio lavorare con gli

informatori (archivi dell’Haganah, Village Files, doc. 1/080/451, 1° dicembre 1939) »,

(Pappe, op. cit, p. 32-33)

(p.33-34) – «Le schede nel periodo successivo al 1943 includevano descrizioni dettagliate dell’agricoltura, della terra coltivata, del numero di alberi nelle piantagioni, della qualità di ogni frutteto (persino di ogni singolo albero), della quantità media di terra per famiglia, del numero di automobili, dei proprietari di negozi, dei lavoratori nelle officine e dei nomi degli artigiani in ciascun villaggio e dei loro mestieri (questo collegamento è fatto da Uri Ben-Eliezer, The Making of Israeli Militarism). Più tardi, si aggiunsero meticolosi dettagli su ogni clan e le affiliazioni politiche, la stratificazione sociale tra notabili e contadini comuni, e i nomi dei funzionari del governo mandatario.

E poiché la raccolta di dati creava una propria dinamica si possono trovare dettagli supplementari, che saltano fuori verso il 1945, come descrizioni delle moschee dei villaggi con i nomi dei loro imam, insieme a espressioni tipo «è un uomo comune» e anche descrizioni precise delle stanze di soggiorno all’interno delle case di questi dignitari. Verso la fine del periodo del Mandato le informazioni diventano più esplicitamente di ordine militare: il numero di guardie (la maggior parte dei villaggi non ne aveva) e la quantità e qualità delle armi a disposizione degli abitanti (generalmente antiquate o addirittura inesistenti (archivi dell’Haganah, S25/4131, 105/224 e 105/227 e molti altri in questa serie, ciascuno tratta di un villaggio diverso)».

(p. 35-36) – «L’aggiornamento finale delle schede dei villaggi venne fatto nel 1947. Si concentrava nel creare liste di persone “ricercate” in ogni villaggio. Nel 1948 le truppe ebraiche usarono queste liste per le operazioni di perquisizione-arresto da effettuare non appena ne avevano occupato uno. Gli uomini venivano messi in fila e quelli il cui nome era nella lista venivano poi identificati, spesso dalla stessa persona che aveva prima dato informazioni su di loro, ma che ora indossava un sacco di tela sulla testa con due buchi per gli occhi in ‘modo da non essere riconosciuta. Gli uomini identificati venivano spesso uccisi sul posto. I criteri per l’inclusione in queste liste erano il coinvolgimento nel movimento nazionale palestinese, 1’avere stretto legami con il leader del movimento, il Mufti al-Hajj Amin al-Husayni, e, come accennato, l’aver partecipato ad «azioni contro gli inglesi e i sionisti (archivi dell’IDF, 49/5943/114, ordini dal 13 aprile 1948). Altre ragioni per essere inclusi nelle liste erano una varietà di accuse, quali «aveva fatto viaggi in Libano» o «arrestato dalle autorità britanniche per essere stato membro di un comitato nazionale del villaggio (archivi dell’Haganah, Village Files, doc. 24/9, intervista concessa da Yoeli Optikman, 19 dicembre 2002). La prima categoria, coinvolgimento nel movimento nazionale palestinese, era definita in maniera molto ampia e poteva includere interi villaggi. L’affiliazione con il Mufti o il partito politico da lui capeggiato era molto comune. Dopo tutto, il suo partito aveva dominato la politica palestinese locale da quando il Mandato britannico era stato ufficialmente stabilito nel 1923. I membri del partito continuarono a vincere le elezioni nazionali e municipali e a occupare le posizioni principali nell’ Alto Comitato arabo, che divenne il governo embrionale dei palestinesi. Agli occhi degli esperti sionisti questo costituiva un crimine. Se guardiamo le schede del 1947, vediamo che i villaggi con circa 1500 abitanti avevano di solito tra i venti e i trenta sospetti (per esempio, attorno al Monte Carmelo meridionale, a sud di Haifa, il villaggio di Umm al-Zinat ne aveva trenta, e quello vicino di Damun venticinque) (archivi dell’Haganah, Village Files, doc. 105.178).

Yigael Yadin ricordava che fu questa conoscenza minuta e dettagliata di ciò che accadeva in ogni singolo villaggio palestinese a consentire al comando militare sionista nel novembre del 1947 di concludere che «gli arabi palestinesi non avevano nessuno che li organizzasse adeguatamente». L’unico problema serio erano gli inglesi: «Se non fosse stato per gli inglesi, avremmo potuto domare la rivolta araba [l’opposizione alla Risoluzione di spartizione dell’ONU del 947] nel giro di un mese» (citato in Harry Sacher, Israel: The Establishment of Israel, p. 217)», (Pappe, op. cit, p. 32-36)

Non è difficile immaginare che questa spiccata tendenza alla “mappatura” del territorio e dei suoi abitanti e la puntigliosa realizzazione di dossier e monitoraggi possa essere continuata anche dopo le operazioni strettamente connesse alla pulizia etnica della Palestina. è facile pensare che le stesse cellule di marcatura del territorio e di dossieraggio dei suoi abitanti possa essere continuata nei decenni successivi non più nella domata e colonizzata Palestina, bensì in Paesi potenzialmente ostili o non ancora supposti tali, ma dagli interessi contrastanti con quelli nazionali e vitali israeliani. Si ritrovano tracce del “mossad” in parecchi degli intrecci della storia contemporanea. Si ricorderà, per esempio, che a partire dal 2010 la stampa internazionale ha dato grande risalto al fatto che nel 2009 il sistema di controllo SCADA delle centrifughe di arricchimento dell’uranio di Natanz sia stato oggetto di un attacco informatico attraverso l’impiego del virus Stuxnet. Questa cyber-weapon di ultimissima generazione avrebbe danneggiato il 50% delle centrifughe installate nella centrale Iraniana costringendo i tecnici alla loro sostituzione, rallentando così il processo di arricchimento dell’uranio (http://www.omeganews.info/?p=879; http://www.omeganews.info/?p=917; http://www.omeganews.info/?p=911). Si spera che sia ancora vivo nella memoria dei nostri lettori il contenuto di questo ulteriore articolo di <omeganews.info> sul controllo delle reti internet e dei “netodotti” del Mediterraneo (http://www.omeganews.info/?p=637). Leggeteli, capirete in tal modo la fondatezza di queste semplici deduzioni.

«La politica sionista iniziò come rappresaglia contro gli attacchi palestinesi nel febbraio del 1947 e si trasformò in seguito in un’iniziativa di pulizia etnica dell’intero paese nel marzo del 1948 (David Ben Gurion, Rebirth and Destiny of Israel, p. 530; Pappe, op. cit, p. 5). Presa la decisione, ci vollero sei mesi per portare a termine la missione. quando questa fu compiuta, più della metà della popolazione palestinese originaria, quasi 800.000 persone, era stata sradicata, 531 villaggi erano stati distrutti e 11 quartieri urbani svuotati dei loro abitanti. Il piano, deciso il 10 marzo 1948, e soprattutto la sua sistematica attuazione nei mesi successivi, fu un caso lampante di un’operazione di pulizia etnica, considerata oggi dal diritto internazionale un crimine contro l’umanità», Pappe, op. cit, p. 5. Prima dell’autoproclamazione dello stato d’Israele, il 15 maggio 1948, le truppe sioniste avevano già espulso o “eliminato” 250.000 arabi palestinesi. Al termine del biennio 1947/48 fu cacciato dalla Palestina più della metà dei nativi e fu distrutta una uguale percentuale delle loro città e villaggi.

Come evidente, la feroce pulizia etnica a danno del popolo palestinese progettata, pianificata nei minimi particolari e portata a termine dagli esponenti in vista del movimento sionista, aveva avuto inizio già molti mesi prima della proclamazione unilaterale dello stato d’Israele e della conseguente guerra.

La pulizia etnica della Palestina ebbe inizio nei primi giorni di dicembre 1947 con una serie di attacchi degli ebrei ai quartieri e ai villaggi palestinesi, tanto violenti da causare l’esodo di circa 75.000 persone. Essa proseguì ininterrottamente sino all’intervento delle truppe arabe all’indomani della proclamazione dello stato di Israele e registrò, solo in questo periodo, l’eradicazione di 250.000 Palestinesi, la distruzione di 200 villaggi, l’evacuazione di decine di cittadine, veri massacri, il più grave dei quali quello di Deir Yassin del 9 aprile 1948, ben prima del 15 maggio.

La pulizia etnica ha causato 726.000 rifugiati palestinesi

La narrazione storica e documentata di alcuni studiosi palestinesi e israeliani, che hanno potuto consultare gli archivi militari israeliani (IDF, Haganah), gli archivi sionisti centrali, gli “archivi Ben Gurion”, il diario di Ben Gurion, i memoriali scritti da alcuni membri della Consulta, ovvero annotare le testimonianze dirette dei Palestinesi vittima della persecuzione o – molto spesso – di loro discendenti, Michael Palumbo (The Palestinian Catastrophe), Walid Khalidi (All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948), ci ha consentito una minuziosa ricostruzione cronologica dei fatti, dei quali riporteremo solo una piccola quantità di casi:

  • 18-19/12/47 – Khisas – Aggressione del villaggio in piena notte, minate abitazioni a caso, uccise 15 persone di cui 1 donna e 5 bambini, rimostranze del corrispondente del NY Times, pubbliche scuse di Ben Gurion, che successivamente incluse l’azione tra quelle riuscite; completamente evacuato tra il 4-5 novembre 1948;
  • Dopo l’azione di Khisas, nel corso della riunione della Consulta iniziata il 17 dicembre, fu decisa la ripetizione di operazioni cosiddette “di ritorsione”, che prevedessero la distruzione di villaggi, l’espulsione della popolazione e la sua sostituzione con coloni ebrei
  • 30/11/47÷21/04/48 – Haifa, 145000 abitanti, ripartiti tra arabi (71000, 41000 musulmani e 30000 cristiani) e 74000 ebrei, unico porto palestinese, inserito nell’area che avrebbe composto lo stato ebraico – Stato di assedio continuativo ed intimidazione senza sosta della componente araba della città, concluso con la definitiva caduta dei quartieri arabi nei giorni 21-22/04/48 – Uccisione e ferimento degli arabi da parte degli ebrei che occupavano i quartieri più alti della città a mezzo di rotolamento di barili pieni di esplosivo e palle di acciaio; versamento lungo le strade in discesa di olio misto a carburante cui veniva appiccato il fuoco; apertura del fuoco di mitragliatrici contro i malcapitati in fuga; esplosioni di auto imbottite di esplosivo e precedentemente portate per riparazioni in officine arabe; definitivo sterminio degli arabi in fuga nel porto, mitragliati, bombardati o annegati insieme alle piccole imbarcazioni stracolme sulle quali avevano tentato di prendere il largo, in fuga; 15000 dei 60000 componenti della comunità araba sterminati, uccisi o espulsi; 30 morti, che si aggiungono ai 60 del ’47 ed ai 21+39 del ’38; Moshe Dayan nominato amministratore degli immobili e degli oggetti di proprietà degli arabi abbandonati prima dell’uccisione o della fuga; orrore di Golda Meir in visita ad Haifa pochi giorni dopo i fatti;
  • 31/12/47 – Balad al-Shaykh – Circondato ed espugnato il villaggio indifeso in piena notte – In tre ore uccisi 60 palestinesi, uomini e donne;
  • ‘48 – Hawassa, quartiere di Haifa – Attacco e pulizia da parte del Palmach; esplosione di capanne e scuola – 16 morti;
  • ‘48 – Giaffa – Esplosione di un ordigno nella sede del comitato nazionale locale; 26 morti;
  • ‘48 – Qatamon, Gerusalemme Ovest – Esplosione di ordigni presso l’hotel Samiramis – 26 morti, tra cui il Console spagnolo;
  • 28/12/47 e 11/01/48 – Lifta – Attacco congiunto di Haganah e Banda Stern – Distruzione di tutte le case del villaggio ed espulsione degli abitanti;
  • 15/02/48 – Qisarya, 1500 abitanti – Espulsione dell’intera popolazione del villaggio;
  • 15/02/48 – Barrat Qisarya – Espulsione dell’intera popolazione del villaggio, di 1000 abitanti;
  • 15/02/48 – Khirbat al-Buri – Espulsione dell’intera popolazione del villaggio;
  • 15/02/48 – Atlit – Espulsione dell’intera popolazione del villaggio;
  • 15/02/48 – Castello dei Crociati di Atlit – Evacuato;
  • ’48 – Daliyat al-Rawha 600 persone: 320 ebrei e 280 arabi evacuati;
  • 14-15/02/48 – Sa’sa – Incursione nella notte – Bilancio, 35 case distrutte per esplosione dopo mezzanotte con gli abitanti immersi nel sonno, 60-80 uccisi, molti dei quali bambini;
  • 1/3/48 – Qira, Qamun, Arab al-Ghavarina, Qumya, Mansurat al-Khayt, Husayniyya, Ulmaniyya, Kirad al-Ghannama, Ubbaydiyya – Evacuazione totale dei villaggi tutti nella vallata di Naman, per il pregio della loro terra e per la presenza di diversi coloni ebrei;
  • 1/3/48 – Qamun – Evacuazione totale;
  • 30/3/1948 – Shaykh Muwannis – Popolazione espulsa in toto con la forza dall’Irgun – Oggi Campus dell’università di Tel Aviv;
  • 7/4/1948 – Consulta decide di distruggere tutti i villaggi sulla strada Tel Aviv-Haifa e Gerusalemme-Giaffa ed espellerne gli abitanti: furono aggrediti, presi e distrutti in rapida successione e scarsa resistenza i villaggi Khirbat Azzun, Khirbat Lid, Arab al-Fuqara, Arab al-Nufay’at, Damira, Cherquis, Khirbat alManshiyya, Biyar ‘Adas e Miska; il tutto entro aprile, gli abitanti espulsi;
  • 9/4/48 – Qastal – Primo dei villaggi attorno a Gerusalemme a cadere in mani ebraiche;
  • 9/4/48 – Deir Yassin – Case crivellate con mitragliatrici – Persone radunate e ammazzate a sangue freddo, corpi seviziati, molte donne violentate e poi uccise, fucilato anche gruppo di bambini allineati contro un muro – 254 morti, di cui 30 neonati, ai quali aggiungere i caduti in combattimento, non conteggiati;
  • 19/4/48 – Qalunnya, Saris, Beit Surik, Biddu – Quattro villaggi interamente rasi al suolo ed evacuate in una sola giornata dall’Haganah – Non si hanno notizie circa la quantità delle vittime e dei feriti.

Dal 20 aprile, con l’esaurimento dell’Operazione Nahshon, continuando la pulizia etnica nella zona assegnata allo stato israeliano, ha inizio anche lo sgombero, spesso cruento, di centri abitati all’interno dell’area assegnata alla popolazione araba nativa, per la costruzione dello stato palestinese, area gialla nella cartina.

Al termine di un periodo di intimidazioni prolungate degli abitanti dei villaggi da parte dell’Haganah, perlustrazioni violente in cerca di eventuali volontari arabi che si concludevano con l’uccisione di parecchie persone, si decise di passare ad un’azione metodica e radicale. Vengono di solito considerate quali prime azioni di pulizia etnica le aggressioni dei villaggi di Deir Ayyub e Beit Affa, entrambi sprovvisti di difesa, vittime dell’Operazione Nahshon, condotta tra il 5 e il 20 aprile 1948, con l’obiettivo di rompere l’assedio di Gerusalemme, liberando la strada Tel-Aviv-Gerusalemme, bloccata dai Palestinesi arabi, e di rifornire di viveri e di armi le comunità ebraiche isolate di Gerusalemme. Fu la prima occasione in cui tutte le organizzazioni armate ebraiche cercarono di cooperare come un unico esercito, stabilendo le basi del futuro esercito israeliano di Difesa (IDF). E fu anche la prima volta in cui gli ebrei veterani dell’Europa orientale si unirono in una campagna a fianco di altri gruppi etnici, quali i nuovi arrivati dal mondo arabo e dall’Europa post-Olocausto. Risultato: quindici persone uccise a Deir Ayyub, di cui cinque bambini. Agli abitanti di Beit Affa andò meglio, nessun danno perché riuscirono a respingere questo primo tentativo.

E dopo di allora tutta una sequenza di intimidazioni, saccheggi, uccisioni ed esecuzioni collettive. La propaganda israeliana, soprattutto nei fori internazionali, ha costantemente insistito sulla fuga dei Palestinesi dai loro villaggi all’inizio dell’invasione araba, ossia all’inizio della guerra arabo-israeliana, e non prima; invece, come testimoniato dalle cronache scritte e tramandate, raccolte dagli storici non di obbedienza israeliana, tra il 30 marzo e la metà di maggio erano già stati occupati complessivamente 200 villaggi; agli abitanti che ebbero maggiore fortuna toccò l’espulsione e l’esilio senza ritorno; molti furono uccisi e molte donne seviziate, stuprate e spesso anche uccise; gli averi generalmente confiscati dagli aggressori per uso personale; fonti attendibili riferiscono che ulteriori 90 villaggi “sparirono” tra il 15 maggio e l’11 giugno, data di inizio della prima tregua tra i belligeranti.

Le forze israeliane, già prima della proclamazione del 15 maggio e del successivo intervento delle forze della coalizione araba, procedettero all’annessione allo stato ebraico dell’intera fascia in verde scuro nella cartina nonostante la guerra e le tregue (che riguardavano la guerra, non la pulizia etnica).

Citeremo ancora solo qualche caso particolarmente significativo:

  • 21-22/04/48 – Definitiva presa di Haifa, con lo sterminio già citato;
  • 6/5/48 – Acri – Inizio assedio della città (diverse migliaia di profughi da altre località evacuate, in aggiunta ai 13000 abitanti stabili) – Continui bombardamenti delle forze ebraiche – Fiaccamento della resistenza dei fieri abitanti a mezzo di epidemia del tifo causata mediante inquinamento sorgenti di Kabri con introduzione di batteri della malattia nelle sue acque – 70 vittime dell’epidemia – Primo esempio di aggressione batteriologica deliberata e cosciente della storia dell’umanità. Determinanti, ai fini dell’accertamento dei fatti, gli esami batteriologici eseguiti dalla CRI e la documentazione probatoria da essa prodotta – Operazione di inquinamento batteriologico ripetuta a Gaza il 27 maggio: in tal caso i due ebrei inquinatori scoperti in flagranza di reato e giustiziati per direttissima dagli Egiziani senza alcuna protesta da parte israeliana; fuga dalla città di almeno 10000 dei 13000 abitanti;
  • 13/5/48 – Giaffa, 55000 ab – Ad opera di Irgun e Haganah congiuntamente, 5000 soldati ebrei “regolari” contro 1500 volontari arabi – Assedio durato 3 settimane – Evacuazione totale, a meno di 4500 unità – Scene orribili e persone spinte letteralmente in mare mentre tentavano d’imbarcarsi su piccole barche precettate per trasportarle a Gaza – Numero di vittime molto contenuto, 26; con Giaffa si chiude lo sgombero delle più grandi città della Palestina e la loro occupazione pressoché completa da parte degli ebrei. I nativi non vi sarebbero più tornati;
  • 28/10/48 – Massacro di Dawaymeh – Il peggiore episodio negli annali delle atrocità della Nakba. Questo è l’agghiacciante racconto di Ilan Pappe, alle p. 237-239 del libro citato:

«Il 28 ottobre, mezz’ora dopo la preghiera del mezzogiorno, … venti autoblindo entrarono nel villaggio da Qubayba mentre i soldati attaccavano simultaneamente dal fianco opposto. I venti uomini che difendevano il villaggio restarono paralizzati dal terrore. I soldati sulle autoblindo aprirono il fuoco con mitragliatrici e mortai, facendosi strada nel villaggio con un movimento semicircolare. Seguendo una collaudata procedura, essi circondarono il villaggio su tre fianchi lasciando aperto il lato est per far uscire da lì 6000 persone in un’ ora. Poiché non ci riuscirono, le truppe saltarono giù dai veicoli e cominciarono a sparare alla cieca. Molti abitanti corsero a rifugiarsi nella moschea o fuggirono lì vicino in una caverna sacra chiamata Iraq alZagh. Arrischiatosi li tornare al villaggio il giorno successivo, il mukhtar scorse con orrore le pile di morti nella moschea e molti di più sparsi per le strade – uomini, donne e bambini, tra cui riconobbe il proprio padre. Quando andò alla caverna trovò l’entrata bloccata da dozzine di cadaveri. Il mukhtar contò che mancavano all’appello 455 persone di cui circa 170 tra donne e bambini. . Anche i soldati ebrei che presero parte al massacro riferirono scene raccapriccianti: neonati col cranio spaccato, donne violentate o bruciate vive dentro casa, uomini uccisi a coltellate. Questi non sono rapporti di anni successivi, bensì resoconti di testimoni oculari inviati all’Alto Comando pochi giorni dopo l’accaduto. Le brutalità che descrivono mi convincono sempre più su quanto siano vere le accurate descrizioni, precedentemente citate, sugli odiosi crimini commessi dai soldati israeliani a Tantura, Safsaf e Sa’sa, ricostruite principalmente tramite testimonianze palestinesi e storie orali. … Il massacro di Dawaymeh fu l’ultima grande carneficina perpetrata dalle truppe israeliane fino al 1956, quando fu fatta strage di 49 abitanti di Kfar Qassim un villaggio passato a Israele dopo l’armistizio con la Giordania. Pulizia etnica non è genocidio, ma comporta atti atroci di uccisioni di massa e stragi. Migliaia di palestinesi furono ammazzati brutalmente e selvaggiamente da militari israeliani di ogni età, provenienti da ogni ambiente e ceto sociale. Nessuno di questi israeliani fu mai processato per crimini di guerra, nonostante le prove schiaccianti. … Con l’inizio del 1950, l’energia e la risolutezza degli invasori cominciarono finalmente a scemare e quei palestinesi che ancora vivevano in Palestina allora divisa in Stato d’Israele, Cisgiordania giordana e Striscia di Gaza egiziana erano in gran parte al riparo da ulteriori espulsioni. È pur vero che restavano vulnerabili in quanto sottoposti a regimi militari sia in Israele che in Egitto. Ma quali che siano le pene che dovettero subire, fu sempre un destino migliore di quello sopportato durante quell’anno di orrori che ora chiamiamo la Nakba».

 

Non è il caso di raccontare altro. Il dubbio a questo punto dovrebbe essere germogliato. E tanto basta. Né è utile che si sviluppino i temi contenuti in capitoli i cui titoli sono “La scia di sangue delle brigate, “Campagne di vendetta”, “Prigionia in condizioni disumane”, “Violenze durante l’occupazione”, “Ghettizzazione dei Palestinesi di Haifa”, “Stupri”, “Dividere le spoglie”, “Dissacrazione dei luoghi santi”.

E’ meditata convinzione di chi scrive che questo scempio fu reso possibile dal vergognoso comportamento degli osservatori delle NN.UU, dell’amministrazione USA, delle forze britanniche presenti ma del tutto indifferenti, e della casa reale giordana, troppo impegnata in un doppio gioco a proprio vantaggio.

Il solo rappresentante delle Nazioni Unite che si comportò lealmente fu Folke Bernadotte, ex Presidente della Croce Rossa Svedese, arrivato il 20 maggio e ucciso il 17 settembre dalla banda Stern, l’ala oltranzista e terrorista del sionismo.

Del comportamento di Israele nel suo insieme preferiamo tacere. I fatti sono già sufficientemente eloquenti. Il 14 maggio annesse il 26% delle aree “palestinesi” raggiungendo l’80% ca. del territorio del protettorato britannico.

Con la Risoluzione 194, l’Onu decise la smilitarizzazione e il libero accesso a Gerusalemme e ai luoghi santi, ma il principale articolo riguardava il diritto dei palestinesi di tornare nelle loro case lasciate durante la guerra, e stabiliva il pagamento di un indennizzo per coloro che avrebbero deciso di non tornare. La maggior parte dei profughi trovò asilo in Libano. Questa Risoluzione è stata, però, disattesa da tutti i governi israeliani, poiché i pochi che sono riusciti a rientrare sono stati costretti a riparare nel territorio amministrato dalla Palestina, rinunciando alla possibilità di tornare nelle abitazioni finite nelle mani di Israele nel 1948.

Datata novembre 1967, pochi giorni dopo la fine della guerra dei Sei giorni – che vide Israele opporsi a una coalizione formata da Egitto, Giordania, Siria e Iraq – è la Risoluzione 242, con cui l’Onu chiese il ritiro delle truppe israeliane da tutti i territori occupati durante il conflitto (Sinai, Striscia di Gaza, Cisgiordania, Gerusalemme Est e le alture del Golan).

Ovviamente, anche questa risoluzione è rimasta lettera morta. Lo stato israeliano, assolutamente sordo alle aspettative internazionali, continua a costruire insediamenti abitativi per i propri coloni.

Anche perché le Risoluzioni dell’Assemblea non sono vincolanti come quelle del Consiglio di Sicurezza.

Ma in questa sede ci pensa lo zio Sam!

Enrico La Rosa