“Incontri letterari di OMeGA”

Storia dei viaggi e delle esplorazioni

dei popoli europei

Recensione di Mario Boffo

 

Tutti viaggiamo. E consideriamo scontato che si possa andare ovunque, anche in posti lontani, magari decidendolo dall’oggi al domani. Dappertutto troviamo luoghi dove saremo accolti, lussuosamente, nei tanti alberghi stellati sparsi per il mondo, oppure più modestamente in bed and breakfast o in campeggi. In ordine alla distanza e ad altre circostanze, possiamo muoverci con una grande pluralità di mezzi: l’automobile, il treno, l’aereo, la nave da crociera. Tutto molto ordinario, alla portata di quasi tutti, e con sostanziale frequenza nelle nostre vite. Quotidianamente ci si sposta da Roma a New York in meno di dieci ore; ci s’imbarca per crociere che in una quindicina di giorni permetteranno di visitare ampie aree e paesi tra loro molto distanti; si va in vacanza in bellissimi resort superattrezzati; si va e si torna da Napoli a Milano in un solo giorno dopo aver fatto le cose che si devono; meno quotidianamente, ma con crescente frequenza, ci si azzarda in avventure nel cuore dell’Africa, nel Tibet, o addirittura, con spirito sportivo, ai poli, o sull’Himalaya, dove magari si deve fare la fila per accedere alle vette per i pochi minuti necessari a farsi un selfie. Nessuno, in genere, si sofferma sul cammino faticoso e denso di pericoli che l’umanità ha dovuto compiere per arrivare al descritto stato delle cose.

 

Per fortuna, a ricordarci quanto duro, complesso e periglioso sia stato questo cammino collettivo, giunge il bellissimo libro “Storia dei viaggi e delle esplorazioni dei popoli europei”, di Alberto Osti Guerrazzi, edito da Edizioni del Gran Sasso nel quadro delle attività dell’Associazione OMeGA (Osservatorio Mediterraneo di Geopolitica e Antropologia). Con il rigore del saggio e il tocco di una narrazione più che avvincente, il libro racconta del come e del perché l’uomo ha cominciato a viaggiare. E soprattutto ci spiega che all’inizio il viaggio non era evento desiderato, a causa dei rischi, dei tempi, delle scomodità e delle incertezze, ma piuttosto evento di necessità per causa di commercio o di guerra, di emigrazioni o di fuga da gravi minacce. Più tardi, si viaggiò anche per causa di devozione e pellegrinaggio. In tutto questo, ci si avventurava in territori per nulla o scarsamente conosciuti, ci si muoveva sulla base, quando esistevano, di antichi testi mitici e di descrizioni che parlavano di mostruose popolazioni nell’Asia orientale e di orribili creature marine al di là delle Colonne d’Ercole.

 

Nonostante questo, l’umanità ha viaggiato praticamente da sempre. Nella preistoria, per la caccia, il nomadismo o per le grandi migrazioni che hanno permesso il dilagare dell’uomo nel mondo. Nell’antichità, quando gli scambi commerciali spingevano i popoli a cercare relazioni con comunità più o meno vicine ai fini dell’approvvigionamento di materie prime, dell’acquisizione di prodotti e del reperimento di sbocchi di mercato. Nel Medio Evo, quando le stesse esigenze economiche e commerciali, unitamente a iniziative diplomatiche o di proselitismo cristiano, spingevano viaggiatori ardimentosi, come i predicatori nestoriani, come Niccolò, Matteo e Marco Polo, come Giovanni da Pian del Carpine, verso le terre dei Mongoli e verso il lontano Catai. Nel XV e XVI secolo, quando navigatori portoghesi e italiani di grande esperienza e di grande coraggio cominciarono a solcare gli oceani verso terre peraltro già conosciute sin dall’antichità, come l’India e l’Indocina. Nel fatidico 1492, quando Cristoforo Colombo si spinse verso l’ignoto, pur con il corredo di convinzioni fondate nel progetto e nelle modalità che “dovevano”, nelle previsioni, permettere di buscar el Levante por el Poniente. Quando, successivamente, si comprese che erano state scoperte terre sterminate di cui era stato fino allora impossibile ipotizzare l’esistenza e che si aprivano ora alla conquista e, purtroppo, alla predazione da parte dei popoli europei.

 

C’è quindi un filo conduttore che principalmente lega l’esigenza del viaggiare dall’antichità, e forse anche da ere preistoriche, al Rinascimento e ai tempi successivi, fino all’epoca delle grandi esplorazioni e colonizzazioni: il commercio, e, più estensivamente, l’economia. Fu per approvvigionarsi di materie prime e di stagno che i primi Tartessi navigarono verso le Isole Britanniche, e fu per analoghe esigenze di esplorazione commerciale che i fenici Annone e Imilcone attraversarono le Colonne d’Ercole per spingersi nell’Oceano Atlantico, l’uno lungo le coste dell’Africa, l’altro lungo le coste occidentali dell’Europa. Fu per esigenze commerciali che le Repubbliche Marinare solcarono il Mediterraneo per vendere i propri prodotti e per acquistare tessuti e spezie che arrivavano in Vicino Oriente dalle più lontane regioni dell’Asia meridionale. Fu per esigenze commerciali, e per sfuggire al quasi-monopolio di Venezia sui prodotti esotici, che i portoghesi si spinsero a circumnavigare l’Africa per accedere a quegli agognati e ricchi prodotti senza costose intermediazioni. Fu per esigenze economiche che i popoli europei si spinsero a colonizzare il mondo, e a questo fine esplorarlo, conoscerlo e disegnarlo in mappe che si facevano via via sempre più elaborate, precise e realistiche. Certo, non sono estranei alla storia dei viaggi la curiosità, lo spirito d’avventura, le ambizioni personali, il desiderio di conoscenza, i sentimenti di devozione verso luoghi sacri, l’affermazione di interessi geopolitici di quelle che diventarono a un certo punto grandi potenze. Come pure non ne è estranea la vocazione puramente turistica, che è esistita già nell’antica Roma e nell’antico Egitto. Tuttavia, il principale collante che ha spinto, indotto, trascinato l’umanità a varcare mitiche colonne, a percorrere territori sterminati e sconosciuti, a navigare il pauroso Oceano Mare, a esplorare, cartografare, colonizzare terre un tempo inimmaginabili nelle descrizioni degli antichi, è quello economico. Certo, vi sono state anche le guerre, le crociate; ma anche queste avevano, magari insieme ad altri, moventi di penetrazione economica. E poi si impose il turismo moderno: se la vocazione del Gran Tour era prevalentemente di conoscenza, il turismo di massa ha anch’esso una forte connotazione economica.

 

Il saggio di Osti Guerrazzi, che non esito a definire di straordinario interesse, non trascura la descrizione dei viaggi compiuti da grandi navigatori arabi, cinesi e indiani. Ma non può non rilevare che se “viaggio” è anche trasformazione delle cose, trasformazione del mondo, questo è stato prevalentemente opera, nel bene e nel male, dei popoli europei, che giunsero appunto a dominare pressoché l’intero globo, con pochissime eccezioni. Questo avvenne sostanzialmente, afferma l’autore, sulla base di due fattori. Il primo fu la necessità dei popoli europei di reperire mercati e fonti di approvvigionamento, necessità che indiani e cinesi non sentivano, poiché disponevano di grandi territori, dovizia di risorse e amplissimi mercati interni. Il secondo fu lo sviluppo continuo di tecnologie, e soprattutto di tecnologie e tecniche della navigazione, che resero i viaggi sempre più veloci, più sicuri, più convenienti (per le ragioni del maggior sviluppo tecnologico europeo rispetto ad altre regioni del mondo, l’autore rimanda correttamente ad “Armi, acciaio e malattie Breve storia degli ultimi tredicimila anni”, di Jared Diamond, 1997). L’evoluzione tecnica e tecnologica avvenne infatti soprattutto sul mare; ancora ai primi del XIX secolo, nonostante lo sviluppo delle reti stradali e di diffuse locande (che esistevano anche in tempi antichi), nonostante l’invenzione di carrozze e diligenze, il modo più rapido di spostarsi per vie terrestri era ancora il cavallo; sempre meglio dei viaggi a piedi che ancora nel XVI secolo, quando i navigatori scoprivano il mondo, erano abbastanza praticati. E poi, subentra l’attualità, quando più che “viaggiare”, cioè compiere un’esperienza di vita lungo spostamenti che duravano molti giorni o molti anni, e che permettevano la graduale conoscenza di tutto ciò che vi era fra la partenza e la meta, ci si “sposta”, nel volgere di tempi brevissimi in relazione alle distanze, senza realmente percorrere un itinerario. Il viaggio non è più un’esperienza umana, essendo diventato un espediente puramente pratico per una specie di “teletrasporto” da un luogo all’altro.

 

Naturalmente è impossibile descrivere in questa sede gli innumerevoli e preziosi dettagli storici, sociali, culturali e altri che Osti Guerrazzi fornisce nella propria opera, e che correda di interessanti appendici sulla letteratura dei viaggi, sulla storia dei passaporti, sulle donne viaggiatrici; di interessanti brani tratti da relazioni di antichi e meno antichi viaggiatori; di una ricchissima bibliografia; di un’ampia scelta di mappe antiche e più moderne. Per questo non si potrà che leggere il libro. Induce a riflettere ulteriormente, invece, proprio l’elemento snaturante insito nel viaggiare moderno. Quest’ultimo, insieme alla grande facilità di spostarsi, al moltiplicarsi delle motivazioni, alla disponibilità di mezzi inimmaginabili appena un secolo e mezzo fa, comporta, a parere dello scrivente (ma è lo stesso Osti Guerrazzi a suggerire le elaborazioni che seguono), due ordini di considerazioni.

 

La prima riguarda lo stesso significato del concetto di viaggio. Quali che ne fossero le ragioni, commerciali o mistiche, belliche o esplorative, spontanee o forzate, il viaggiatore era costretto a investire un tempo più o meno lungo della propria condizione esistenziale. Durante questo tempo percorreva a piedi per giorni e giorni territori desolati; aspettava, qualche volta per settimane, che le condizioni del mare e della stagione consentissero l’imbarco e la partenza; era talvolta costretto a lunghe soste o a dilazionare il rientro a causa di guerre o per indisponibilità di mezzi; passava settimane avendo per compagni un ristretto gruppo di persone e l’enigmatico mare. Da tutte queste cose è nata a livello collettivo la conoscenza del mondo, e a livello individuale l’arricchimento dell’esperienza di vita. Si attraversavano luoghi che talvolta non si era nemmeno potuto immaginare; si incontravano popoli diversi per abitudini e cultura; si era costretti a improvvisare soluzioni per motivi pratici o di sicurezza. Questo faceva del viaggio, magari anche al di là delle specifiche intenzioni, un’esperienza di crescita umana; rendeva ogni viaggiatore un piccolo Odisseo preda della curiosità, del timore, del desiderio o dell’angoscia del ritorno. La forzata lentezza, le terribili difficoltà, hanno temprato gli uomini e i popoli, e hanno permesso, ancora una volta nel bene e nel male, di affrontare individualmente e collettivamente il dramma dell’esistenza. E ha permesso di conseguenza di elaborare il concetto del viaggio nei suoi termini metaforici. Forse anche Marco Polo e Cristoforo Colombo si saranno chiesti, alla fine delle proprie avventure, se erano ancora gli stessi dell’inizio, e se il viaggio geografico non avesse indotto un parallelo viaggio dentro di sé, nei propri desideri, le proprie visioni. Forse anche Ferdinando Magellano, nel concepire il progetto di circumnavigare il mondo, ha provato lo sgomento di circumnavigare la propria anima. Forse anche Scott e Amundsen, nella competizione per il Polo Sud, hanno voluto proiettare il proprio cuore verso l’impossibile. O forse no. Ma è certo che grazie ai viaggi veri, quelli antichi, lenti e pericolosi, l’umanità ha potuto anche conoscere meglio la sua stessa essenza, il senso della vita, il significato profondo della conoscenza e della propria evoluzione.

 

Il secondo aspetto che l’autore indica, e che credo meriterebbe studi ancora più approfonditi, è il grande e terribile contributo che i viaggi del nostro tempo forniscono all’inquinamento globale, all’espansione dei gas serra, al preoccupante mutamento del clima. La crescita esponenziale degli spostamenti, dei voli, del turismo di massa, delle grandi correnti di navigazione, la disponibilità di mezzi di trasporto di grandi dimensioni, la moltiplicazione delle autovetture e dei trasporti terrestri, riempiono l’atmosfera di gas serra e di elementi tossici e inquinanti. Purtuttavia, le motivazioni economiche, la globalizzazione del commercio, la frenesia di andare a vedere, magari solo per raccontarlo agli amici, luoghi lontanissimi che appena cinquant’anni fa non erano nemmeno conosciuti dai più, prevalgono sui timori dovuti alla crescita delle emissioni. Difficilmente questa situazione potrà trovare rimedio, almeno in tempi relativamente brevi.

 

Osti Guerrazzi, e con lui chi scrive qui, è pessimista al riguardo climatico e alla possibilità che il “non viaggiare” dei tempi moderni trovi ragionevoli limiti. Suggerisce invece, per quanto riguarda la snaturalizzazione del viaggio, di ricercare ad altri livelli il senso di questa grande esperienza umana. Per compiere una vera esperienza di viaggio, afferma, non è necessario un mondo inesplorato; ciascuno può viaggiare nell’intorno del proprio luogo di residenza, magari senza meta, o per scoprire località che non conosce; ciascuno può percorrere tratti dei vari cammini (cammino di Santiago, Via Francigena, percorsi escursionistici) immergendosi in ambienti naturali e culturali non ancora condizionati dalla modernità; ciascuno, possiamo aggiungere, può visitare una città senza pretendere di vederne spasmodicamente tutti i musei e tutti i monumenti, ma magari passando del tempo a conversare con il barista o il trattore, oppure a osservare i movimenti della gente nei quartieri non turistici. In questo modo è possibile ritrovare, magari in piccolo nell’intensità, ma significativamente nello spirito, il senso del viaggio che ha animato i grandi esploratori del mondo. Modalità del genere, inoltre, se la cultura del viaggio fosse gradualmente estesa, permetterebbero di ridurre il parossismo del turismo di massa e di limitarne il concorso alle emissioni nocive. Osti Guerrazzi questo lo lascia soltanto intuire. Per costruire su questo una teoria, bisognerebbe che il cambio sociale ed economico fosse più che radicale; forse è impossibile che l’umanità lo avvii.

 

La “Storia dei viaggi e delle esplorazioni dei popoli europei” (il costo del volume è di venti euro) è essa stessa un viaggio attraverso il progresso umano e la conoscenza del mondo. Si legge come un romanzo, pur possedendo i parametri e i riferimenti di un approfondito saggio. È uno strumento inestimabile per chi voglia capire davvero che cosa è successo negli ultimi cinquemila anni. È una miniera di informazioni, fonti e suggerimenti per chi voglia a sua volta scrivere di viaggi. Questo volume dovrebbe essere nella biblioteca di chiunque continui a interrogarsi sui perché della Storia, del sentire umano, dei moventi che hanno spinto l’umanità fino al punto in cui siamo.

 

Mario Boffo

24/1/2023