(e la Juventus c’entra come il cavolo a merenda)
di Mario Boffo
La Juventus c’entra come il cavolo a merenda, ma mi serve per una necessaria premessa. In generale, l’opinione pubblica italiana, e molti commentatori, hanno perso la capacità di argomentare, di distinguere, di cogliere le sfumature, di cercare di comprendere l’altrui opinione, di non associare le frasi ascoltate a slogan precostituiti, di rendersi conto che fra due estremi ci sono infinite vie di mezzo, che quando si dice una cosa si vuol dire proprio quella e non un’altra infondatamente associata a sottintesi oppure a idee preconcette… Insomma, se uno dice: “Però, la Juve ha giocato benino”, non per questo “è uno sporco juventino, ma non lo sa che si comprano le partite?!?!”; e se uno dice: “Quel rigore assegnato alla Juve mi pare non ci fosse…”, non per questo “è uno sfigato, tifoso di squadrette che non capisce il vero valore e calunnia la Juventus!!!!”. Per evitare reazioni estreme del genere, inserirò di tanto in tanto qualche caveat, in grassetto, con l’incerto auspicio di non essere mal compreso.
Allora, come dicevo, non è un articolo sull’immigrazione nel Mediterraneo, anche se se ne parla; è invece un articolo sull’incapacità del sistema Italia (dalle alte sfere politiche all’ultimo blogger dei social, passando per molta parte degli organi di informazione) di inquadrare un tema geopolitico per quello che è (inquadrare un tema geopolitico non significa preconfezionare decisioni o soluzioni, ma semplicemente capirlo; poi si prendono le decisioni prescelte o ritenute più appropriate). Ricordo di aver assistito a un convegno sull’immigrazione in ambienti della sinistra (non intendo parlar male della sinistra; sono anche io di sinistra) i cui relatori erano un politico di lungo corso, anche se non di prima linea, un vescovo e un rappresentante di una nota ONG. Il politico parlò per mezzora con enfasi e toni da comizio, affermando che le persone in mare si devono soccorrere “senza se e senza ma” (ovviamente sono d’accordo; la cosa non è nemmeno da discutere); il vescovo affermò che il vangelo dice che bisogna accogliere tutti indistintamente; il rappresentante della ONG disse che c’era tanta in gente in mare e che bisognava andarla a prendere. Alla fine del convegno, alla fin fine, non fu detto nulla sul fenomeno dell’immigrazione, perché salvare la gente quando sta affogando è un’ovvietà che non merita commenti (infatti è tanto ovvio che qui non metto nemmeno il caveat in grassetto), che il vangelo sia evangelico è fuori discussione, ma offre soluzioni spirituali, non politiche, e che le ONG vadano a prendere la gente in mare, sarà senz’altro lodevole (salvo che non sia d’intesa con gli scafisti; lo menziono per pura ipotesi), ma fa parte del meccanismo perverso che cerco di illustrare più sotto.
Salvare la gente in mare è un principio antico e nobilissimo. Significa (è stato detto anche da altri) che se un comandante di nave s’imbatte in un naufragio, o ne ha notizia, o gli viene comunicato, deve fermare tutto e soccorrere i naufraghi incorsi in quella fatalità. Ora, lo ripeto, bisogna soccorre anche la gente dei barconi e delle carrette del mare, quando sono lì; ma bisognerebbe riflettere sul fatto che quelle persone non sono naufraghi per incidente, ma sono messe apposta in mare, su imbarcazioni malmesse e in circostanze precarie in modo da svolgere una pressione sugli stati che abbiano “porti sicuri”. Non è che non debbano essere soccorsi, ovviamente, la vita è sacra. Bisognerebbe solo comprendere che si tratta di una situazione profondamente diversa da quella alla base del principio di soccorso in mare così come si è consolidato nei secoli, e quindi richiede una diversa normazione (con questo non voglio dire che non bisogna soccorrerli; intendo semplicemente dire che bisognerebbe elaborare diversi principi internazionali per una maggior protezione in circostanze che sono comunque diverse da quelle di cui al tradizionale principio). Poi soccorriamo, per carità; ma almeno cerchiamo di inquadrare la differenza.
I flussi migratori sono frutto di tante ragioni, ma non credo siano tutte spontanee. Accanto ai fuggiaschi da guerre e instabilità (i rifugiati), vi sono i cosiddetti immigrati economici, cioè quelli che sono spinti da difficoltà economiche anche se provengono da paesi in pace. Molti di costoro arrivano da terre lontanissime dal Mediterraneo, anche se seguono percorsi che li portano sulle sponde nordafricane. Non è una circostanza che debba impedire la richiesta di immigrazione in altri paesi; ma è sensato che per farlo si debba scegliere questo sistema? Non si potrebbe ricorrere al sistema dei visti? C’è la legge Bossi-Fini? Può piacere o meno, ma è una legge dello stato (con questo non voglio dire che tale legge mi piace). Si può, si deve accettare che sia continuamente aggirata ricorrendo agli sbarchi clandestini? Questi flussi (persone che arrivano dall’Africa profonda, dal Pakistan, dal Bangladesh…) sono ovviamente organizzati da trafficanti di uomini, almeno in parte. Assodato che non si devono abbandonare in mare, è possibile che i predetti problemi di base siano sì e no appena menzionati, e spesso solo per propaganda o tornaconto elettorale, e non invece studiati e dibattuti seriamente a livello internazionale con il proposito di ricercare soluzioni collettive e condivise?
“Aiutiamoli a casa loro” è un concetto ambiguo, spesso usato in modo distorsivo. Oramai abbiamo compreso che la povertà e il disagio di molti popoli dipende dalle politiche predatorie che i paesi sviluppati hanno condotto e continuano a condurre in quei paesi a puro scopo di sfruttamento. Ma la situazione dovrebbe essere portiamoli tutti da noi? Il tema non è fare cooperazione (decenni di cooperazione non hanno apportato benefici visibili allo sviluppo), ma sarebbe quello di dismettere le modalità predatorie dell’economia globale. È come il problema climatico: si risolve chiudendo l’acqua mentre mi faccio la barba, o cambiando la devastante pressione sulle risorse e sull’energia? Certo, non è una cosa a portata di mano, ma vogliamo almeno cominciare a parlarne, almeno sui giornali?
In Italia, invece, il tema migratorio viene affrontato o con cinismo, dalle fazioni politiche che intendono servirsene a scopo elettorale, o con idealismo, da coloro che ritengono che siccome quelle persone stanno peggio di noi, devono essere accolte comunque e acriticamente. Il problema è che nessuno si sforza, salvo che a parole, di immaginarsi un contesto entro il quale regolare l’accoglienza e i respingimenti, la prevenzione del fenomeno, la responsabilità collettiva europea, e così via. Si può spargere la paura dell’immigrato, ma questa non impedisce il fenomeno e la sua crescente intensità; si può essere buoni, nel volerli accogliere tutti, ma che bontà è se molti di loro finiscono a vivere sotto i ponti o a lavorare nei campi di pomodoro più sfruttati che se fossero schiavi, cioè in definitiva vivendo peggio che nelle situazioni da cui sono partiti (con questo non voglio dire che tanto varrebbe che rimanessero dove sono)?
Certo, c’è anche il problema che in Libia sono detenuti in situazioni inumane, e questo è insopportabile. Ciò nonostante, non sarebbe meglio prevenire le situazioni di destabilizzazione provocate da paesi nostri, mettere le carte sul tavolo, aprire in sede Unione Europea il tema di paesi membri che, operando individualmente, creano scompiglio nella nostra regione, com’è avvenuto in Libia? La soluzione può forse essere quella di continuare a sconvolgere gli scenari dell’area per finalità egoistiche o folli, e poi doversi prendere tutte le vittime (non voglio dire che i rifugiati dalle guerre non debbano essere accolti; vorrei che non si creassero condizioni perché vi siano rifugiati e profughi)?
Insomma, non intendo pronunciarmi sulla politica che si dovrebbe o potrebbe adottare, perché molte sarebbero le soluzioni nazionali o internazionali possibili. Vorrei solo mettere in evidenza che si può respingere tutti, come fanno gli australiani, o accogliere tutti, come vorrebbe il vescovo di cui sopra, oppure adottare qualunque soluzione intermedia. Ma a monte di questo, bisognerebbe prima di tutto capire le cause del fenomeno e metterle ordinatamente e assertivamente a fattor comune dei paesi interessati e dei paesi partner. Compresi, fra questi ultimi, quelli che hanno creato le condizioni per il problema migratorio.
Ecco. Ho sostenuto che il problema dell’immigrazione nel Mediterraneo andrebbe compreso e regolato. Chiedo scusa per tutti quei caveat in grassetto. Era solo perché non mi venisse detto, da una parte, che sono uno sporco razzista, e dall’altra che voglio far invadere l’Italia da tutti i popoli africani. Grazie.
Mario Boffo