Gheddafi e la Libia

Riflessioni sulla sfolgorante ascesa e sulla lunga parabola

di Guido Monno

Gheddafi è morto. La fotografia rilasciata dalla F.P. lascia pochi dubbi ed interpretazioni su come sia morto. Si dirà da più parti che è la fine che prima o poi fanno tutti i dittatori che hanno fatto della violenza la loro arma di potere.

Ma non è così che deve finire un dittatore; se c’è un altro metodo, con cui si restituisca alla popolazione la capacità di esercitare un diritto, attraverso i suoi magistrati o qualsiasi organo giudicante esso abbia scelto, sarebbe preferibile ed auspicabile.

A volte un popolo deve fare i conti con se stesso.

Certo non sempre ciò può accadere; ma è quello cui dovremmo tendere rinunziando alla volontà di vendetta che non è Giustizia: la morte può fare di un dittatore un eroe; un processo serio, con una detenzione per quello che ha fatto, lo ridimensiona a quello che è; un malato di potere.

E l’ascesa al potere, le sue connivenze e alleanze, devono esser chiare e precise, al fine di delineare le varie responsabilità ed interessi.

Eppure la figura di Gheddafi deve ancora essere ben analizzata nel mondo occidentale, che per lungo tempo ne ha fatto l’icona del male assoluto.

La sua giovinezza politica è stata caratterizzata da elementi innovativi; il libretto verde conteneva una interessante visione politica.

La sua ascesa al potere, quale rappresentante delle forze armate impegnate in un’opera di rinnovamento della società, ha coinciso anche con lo sviluppo della Libia.

Sviluppo che si è spesso scontrato con gli interessi occidentali.

Nel tracciare un paragone fra Gheddafi ed un altro esponente del mondo arabo, ora defunto, Nasser, gli elementi in comune sono tanti; in primis, aver rappresentato ambedue per il mondo occidentale una sorta di spauracchio e di nemico assoluto.

Gli elementi positivi di Gheddafi si sono via via raggrinziti con l’avanzare degli anni, cedendo il posto, come sempre accade con i dittatori, ad un’esagerata considerazione di se stessi, in cui gli interessi personali vengono anteposti a quelli collettivi e l’identificazione del se con lo Stato di cui si dicono rappresentanti è totale.

Il nome di Gheddafi comincia ad essere conosciuto nel mondo occidentale a seguito dl colpo di stato con cui il 1° settembre 1969 venne posto fine al regno Unito di Libia, (creatura artificiale costituita sopratutto dagli interessi britannici del dopoguerra) su cui regnava re Idris al Sanusy, capo di una monarchia ereditaria.

La giunta che prese il potere era costituita quasi interamente da militari, fra cui Abd as-Salam Jallud, Bashir Hawadi, Mukhtar Abdallah Gerwy, Abd al Munim Tahir al- Huni, Mustafa al Kharubi, Al Khuwaylidi al- Hamidi, Muhammad Nejm,Ali Awad Hamza,Abu Bakr Yunis Jabr e Omar Abdallah al Muhayshy,[1] che costituivano il Consiglio del Comando della Rivoluzione il cui presidente era Muammar Gheddafi.

Il Golpe incruento fu reso possibile anche dalla mancata resistenza dei reparti paramilitari (superiori in forze ed armamento alle forze armate) che presiedevano alla sicurezza del re, la CYDEF (Cyrenaica defence force) e la TRIDEF (Tripolitanian defence force), costituite essenzialmente su base tribale; in particolare la Cydef con una forte prevalenza di appartenenti alla tarika della Senussya, di cui il re Idris era il riferimento principale.

La situazione di complessivo malcontento all’interno di una Nazione giovane, unificata appena nel 1963, quando fu abbandonata una struttura federale a favore di una unitaria, la notevole presenza di basi militari occidentali, su cui i libici non avevano alcun controllo, l’espandersi delle idee panarabe propugnate da Nasser in circoli che non partecipavano al ristretto gruppo del potere reale e la mancanza di qualsiasi idea di espansione della democrazia, che aveva reso la popolazione alquanto letargica, lasciava intravedere già da tempo la possibilità di qualche tentativo di cambiamento della struttura di potere, anche sulla spinta di una notevole propensione del sovrano in carica, debole e riluttante a assumersi eccessive responsabilità di governo che potessero comportare cambiamenti nell’establishment.

La sconfitta degli eserciti arabi nel 1967 ad opera di Israele, aveva causato, inoltre, nell’intero mondo arabo, un risveglio del sentimento del nazionalismo e la volontà diffusa di un riscatto, anche scrollandosi di dosso regimi reputati troppo vicini al mondo occidentale.

La provenienza dei giovani ufficiali era da ambienti sino ad allora ben distanti dai centri di potere e convinti sostenitori delle idee Nasseriane, allora in auge in gran parte del mondo arabo, che vedevano nella unificazione panaraba e nella indipendenza da un colonialismo ancora molto aggressivo, la soluzione dei problemi del mondo arabo; il tutto venato da una dottrina economica e sociale con riferimenti al socialismo.

Ma qui si innestano idee che continuano ancora oggi, in cui spesso i militari, sulla scia di quanto fatto da Mustafa Kemal, detto Ataturk, nella Turchia post prima guerra mondiale, ritengono di poter dare una soluzione ai mali del paese attraverso una struttura dispotica che annulli le idee democratiche e la partecipazione dei partiti, quale libera espressione di cittadini, ad una tenzone elettorale.

Infatti i partiti vengono visti in un’ottica disgregatrice dell’unità popolare, in cui l’interesse particolare sia superiore all’interesse nazionale e sopratutto portatori spesso di un sentimento di fedeltà ad altri valori, siano essi religiosi che sociali o locali, disgregatrici del sentimento nazionale, di cui le forze armate si fanno portatrici e garanti.

Era infatti la visione dell’allora capitano, proclamatosi subito colonnello dopo il ritiro obbligato dei vertici delle forze armate libiche d’allora.[2]

Come scriveva lo stesso Gheddafi, “anche se il partito vincente ottiene il 51% dei voti, il 49% dell’elettorato è governato da quelli per i quali non hanno votato”.

E, proprio nel suo Libro Verde, Gheddafi pone sullo stesso livello di forze disgregatrici della società, i partiti, le sette, le tribù e le classi sociali, ponendosi quindi come portatore di una nuova ideologia.

Chiunque abbia avuto occasione di leggere il suo libro verde e le sue idee, pubblicate peraltro anche recentemente,[3] avrà avuto occasione di notare quanto sia ricorrente l’idea dei partiti visti come strumento di divisione della Nazione e di freno ad una vera e propria democrazia. Pertanto, qualsiasi opposizione, essendo perniciosa per gli interessi della Nazione, doveva essere eliminata.

Si spiegano in tale ottica i tentativi di eliminare qualsiasi opposizione e dissenso al regime, attuati dapprima con l’istituzione del partito unico, l’UAS (Unione Araba Socialista), idea tristemente nota in molti paesi dell’Africa e del medio Oriente, come già in Europa,per coagulare intorno a se le forze fedeli ed ostracizzare le avversarie ponendole al di fuori del gioco democratico. E, quindi, con la successiva legge 71 del 30 maggio 1972, che prevedeva anche la pena di morte per attività politiche viste al di fuori dell’UAS.

La predominanza di Gheddafi all’interno del C.C.R. assumeva nel tempo sempre più le caratteristiche di una gestione unitaria, più che collegiale, e le idee portate avanti non erano certamente condivise da numerosi membri del gruppo originario del Consiglio.

Nel 1975 un tentativo di colpo di stato posto in essere da Badshir Hawadi e Omar al Muhayshi fallì, ed i due scapparono a Tunisi; il CCR si trovò così ridotto a 5 membri: Gheddafi, Yunis Jabr, al Hamidi, al Kharubi e as-Salam Jallud.

Da questo punto in avanti Gheddafi si sentì libero di portare avanti il suo progetto di una società senza Stato, identificandosi con l’anima del suo popolo, od almeno così lui riteneva, ma nello stesso tempo favorendo i membri della sua famiglia e della sua tribù.

Il tentativo di golpe messo in atto dai suoi ex colleghi, aveva risvegliato in lui la mai sopita attitudine a fidarsi soprattutto dei membri della sua famiglia, a dispetto di quanto annunciato sulla nuova via democratica.

L’UAS fu rinominato congresso generale del popolo e la Libia cambiò il suo nome in Al Jamahirrya al Arabiyya al Libiyya ash sha’biyya al isshtirakkiyya (Jamahirryya araba libica popolare socialista), laddove il termine Jamahiirryya – che cercato su un qualunque dizionario di arabo non compare – è stato appunto un’idea del leader di fondere il nome jumhūriyya (repubblica) con jamāhīr (masse), creando un ibrido che esprimesse il suo concetto.

L’idea espressa nel Libro Verde, di una democrazia attuata dal basso e reale, ha sempre dominato la visione di Gheddafi della società libica, portandolo ad una serie continua di sforzi che volevano costituire una rivoluzione permanente, in via di espansione al di là delle frontiere libiche, e che si è attuata attraverso una serie continua di mutamenti formali, quale l’abolizione dell’UAS e del CCR, e la creazione di una struttura illustrata di seguito.

In primo luogo il popolo si divide in congressi popolari di base. Ognuno di questi congressi sceglie il suo comitato-guida. Dall’insieme dei comitati si formano, in ogni settore, congressi popolari non di base. Poi, l’insieme dei congressi popolari di base sceglie i comitati popolari e amministrativi che costituiscono le amministrazioni governative. Da questo si ha che tutti i settori della società vengono diretti tramite comitati popolari. I comitati popolari che dirigono i settori diventano responsabili dinnanzi ai congressi popolari di base; questi ultimi dettano ai comitati popolari la politica da seguire e controllano l’esecuzione di tale politica.”[4]

In sostanza, una struttura in cui una sorta di consigli provinciali o comunali applicano le decisioni prese a livello locale. I Congressi Popolari sono lo strumento della legislazione e i Comitati Popolari lo strumento dell’esecuzione. E tutti questi organismi, insieme ai sindacati e alle unioni professionali (come l’unione degli studenti), costituiscono il Congresso Generale. Consapevole dell’importanza della struttura arcaica tribale per sorreggere il suo potere, Gheddafi istituì “le guide popolari sociali”, una sorta di senato dove ogni tribù o frazione è rappresentata e il cui presidente viene scelto a rotazione tra i rappresentanti di tutte le tribù. Questo importante organismo, che a sua volta partecipa al Congresso, il rapporto diretto tra Gheddafi e le tribù. Il nuovo progetto incanala tutto il popolo in unico apparato politico dove le contestazioni sono permesse solo all’interno dei congressi popolari. Il concetto di opposizione viene così allontanato, considerato inutile finché la decisione è in mano al popolo e quindi questi non può obiettare se stesso. Gheddafi in questo meccanismo è unicamente il custode della rivoluzione del 1° settembre senza alcuna responsabilità politica [5].

L’idea della rivoluzione permanente, della creazione di una nuova società basata su un’alternativa al comunismo e al capitalismo, in cui lui assumeva un ruolo profetico e di indirizzo, ha sempre fatto presa sull’animo del giovane capitano nativo della Sirte; i numerosi tentativi di unificazione della Libia con altre nazioni del Nord Africa prima e il tentativo di creare un’unità prima panaraba e poi panafricana in cui lui fosse il faro ed il punto di riferimento, ne hanno fatto il nemico giurato di gran parte dei capi degli Stati limitrofi.

Tale visione del mondo, attuata con tutti i mezzi, ne ha fatto un sovvertitore dello statu quo, di un equilibrio faticosamente raggiunto nei paesi nordafricani e medio orientali, in cui le varie elite cercavano disperatamente di gestire un potere conseguito spesso con gli stessi strumenti di Gheddafi, ma poi interessato alla gestione dei propri equilibri interni di sopravvivenza, più che a cercare di recitare un ruolo geopolitico o di ricerche di terze vie politiche; e lo ha reso anche un nemico dell’Occidente, interessato più ad una gestione delle ricchezze economiche del Medio Oriente, soprattutto di quelle energetiche, che ad un vero e proprio sviluppo della democrazia nell’area.

Questa idea di una rivoluzione permanente da esportarsi a livello mondiale, parte di uno scontro fra le sue idee e quelle dei due movimenti ideologici maggiori, il capitalismo ed il comunismo, portò Gheddafi a sovvenzionare ed aiutare qualsiasi movimento di liberazione i cui obiettivi fossero compatibili con la sua idea di rivoluzione, di cambiamento della società.

Anche la religione Islamica ha costituito una minaccia laddove si è posta come punto di riferimento politico; ma in questo l’ex leader ha potuto usare il suo ruolo di capo indiscusso per recitare il ruolo di difensore della religione islamica, facendo perno su uno dei vecchi concetti giurisprudenziali islamici sunniti che prevede che la forma del potere è quella di fatto, secondo uno dei massimi teorici del diritto islamico, Ibn Khaldun; e Gheddafi, di fatto, occupava una posizione di comando che gli consentiva una sorta di legittimazione.

Laddove si parlava di opposizione agli interessi neocolonialisti e neoimperialisti delle potenze occidentali, di lotta contro Israele, da lui reputata una quinta colonna del modo occidentale tesa a minare l’unità araba, Gheddafi reputava di avere un ruolo da svolgere, una missione da compiere, anche per soddisfare il proprio sterminato Ego, che lo avrebbe visto come punto di riferimento dei rivoluzionari e spauracchio temuto delle forze reazionarie, con cui dover scender a patti.

Sono rimasti famosi i suoi enormi acquisti di armi in tale periodo, decisamente superiori alle necessità delle sue forze armate, ma che secondo la sua idea gli avrebbero consentito di poter diventare una potenza regionale, se non mondiale con cui fare i conti.

E’ probabile che nella sua testa si volesse paragonare al maresciallo Tito ed a Nehru e Nasser, ispiratori del movimento dei non allineati, nato a seguito della conferenza di Bandung del 1961, che svolsero un ruolo politico internazionale superiore a quello rappresentato dalle Nazioni di cui erano a capo.

Ed in tale contesto qualsiasi movimento di opposizione ostile veniva visto come un attacco non solo alla sua figura, ma alle sue idee ed alla sua autoidentificazione con la Libia; da qui la decisa offensiva contro i profughi libici, a lui contrari, localizzati sopratutto in occidente al di fuori di qualsiasi consuetudine e regola internazionale.

Questi due fattori hanno portato alla sovvenzione di movimenti ed organizzazioni terroristiche ben diverse l’una dall’altra, dall’IRA ad Abu Nidal, così come a situazioni quale quella di Londra ove una poliziotta, Yvonne Fletcher, fu uccisa con colpi sparati dall’interno dell’Ambasciata Libica mentre scortava una manifestazione anti Gheddafi in St Jame’s Square, ove ha sede l’Ambasciata Libica.

Tale situazione divenne intollerabile per gli stati occidentali ed in particolare per gli Stati Uniti, che vedevano Gheddafi anche come un nemico giurato della loro politica sopratutto in Medio Oriente.

Nel 1986 aerei statunitensi cercarono di sorprendere il leader libico con un bombardamento teso alla sua eliminazione, operazione non riuscita, secondo alcune voci, per avvertimento dell’allora primo ministro italiano Bettino Craxi.

Come non riuscite sono state numerose operazioni tese ad eliminare lo stesso leader, alcune conosciute altre no, altre su cui esistono speculazioni ed ipotesi ma non dati certi; come l’abbattimento del volo IH870 diretto da Bologna a Palermo il 27 giugno 1980, e di cui si ipotizza l’abbattimento per errore in seguito al tentativo di abbattere l’aereo libico su cui lo stesso Gheddafi era in viaggio da Tripoli a Varsavia.

Certo è che, successivamente al bombardamento da parte statunitense, Gheddafi cambiò politica, diventando più liberale nella gestione interna e meno spregiudicato in quella estera, sino all’abbattimento del volo Pana Am 103 sui cieli di Lockerbie in Scozia.

Stati Uniti e Gran Bretagna addossarono giudiziariamente e politicamente la responsabilità dell’accaduto all’intelligence libica, chiedendo nel 1991 l’estradizione di Abdel Basset al Megrahi e Lamin Khalifa Fahima.[6]

L’estradizione fu concessa nel 1996, a seguito sopratutto di problemi interni gravissimi, fra cui la rivolta che portò all’eliminazione nel carcere di Abu Salim a Tripoli di 1.200 detenuti politici – ad opera del cognato di Gheddafi, Abdullah al Sinusi,[7] capo della sicurezza interna – conseguenti anche alle sanzioni internazionali adottate contro il regime libico dalle U.N. con la risoluzione 748 del 31 marzo 1992 [8] a seguito proprio dell’attentato di Lockerbie.

Voci insistenti hanno parlato di un accordo raggiunto dal leader libico e dal governo statunitense secondo cui, in cambio della concessione dell’estradizione, sarebbe stata garantita la sopravvivenza del regime.

Nel 1993 Gheddafi sfuggì ad un attentato a seguito di una rivolta di parte delle forze armate appartenenti prevalentemente al gruppo tribale dei Warfalla.

La conseguente epurazione attuata da Gheddafi portò ad una spaccatura con il suo più fido seguace, Jalloud, facente parte di tale tribù, che venne sostituito come Coordinatore Generale dei Comitati Rivoluzionari dal capitano Emsied al Majdoub, perdendo così qualsiasi influenza e potere.

Un successivo attentato alla vita di Gheddafi, a mezzo di un’auto bomba,sempre nel 1996 da parte di un gruppo islamico il Libyan Islamic Fighting Group (LIFG), non ebbe buon fine, portando anche in questo caso ad una reazione contro i gruppi islamici.

Dopo la consegna alla giustizia inglese dei due sospettati per l’attentato di Lockerbie cominciò una strana luna di miele con il mondo occidentale.

Una spiegazione certa del suo cambiamento in politica estera non è mai stata data, ma si potrebbe ipotizzare che, pur di tenere il suo regime al riparo da eventuali azioni destabilizzanti di potenze occidentali intenzionate a sfruttare le sue risorse economiche in cambio delle ricchezze provenienti dai petrodollari, e sopratutto grazie alla univocità di obiettivi che vedevano nell’islamismo radicale una minaccia comune, Gheddafi, di fatto unico decisore della cosa pubblica libica, abbia stretto vari accordi i purché gli venisse lasciata mano libera nella gestione interna.

E’ facile ora scordarsi che proprio grazie ad una richiesta della polizia libica all’Interpol, conseguente all’omicidio di due coniugi tedeschi, Sinvan Becker e sua moglie Vera in Libia, Osama bin Laden venne ricercato come si dice “in campo internazionale” nel 1998, quindi cinque mesi prima degli attentati in Kenya e Tanzania da parte di esponenti di Al Qaeda.

Certo è che in tale periodo Gheddafi è stato accolto con tutti gli onori da numerosi Capi di Stato e primi ministri, in particolare proprio dagli inglesi e francesi che saranno poi alla guida dell’iniziativa tesa alla distruzione del suo regime, oltre alla “relazione pericolosa” con il primo ministro italiano Silvio Berlusconi.

Recenti documenti hanno poi rivelato quali interessi economici si nascondessero dietro tali “amicizie” ed “affari”, come peraltro testimoniato anche da indagini giornalistiche inglesi,[9] e come di fronte agli interessi economici quelle asserzioni di rispetto dei diritti umani venissero spesso a passare in secondo piano[10] [11], tanto che gran parte dei mezzi anti disordine usati dalle truppe fedeli al “Colonnello” erano di provenienza britannica, acquistati nel 2007.[12]

Né dal punto di vista francese le cose vanno meglio, se si analizzano i contenuti di alcuni accordi commerciali inerenti la vendita di armi[13] al “cane pazzo” di Tripoli, come lo definì Ronald Reagan in un suo discorso,[14] sbagliando per l’ennesima volta nell’indicare nelle idee rivoluzionarie di Gheddafi una rivoluzione di natura islamica, piuttosto, come nella realtà, legata alle concezioni ideologiche del soggetto.

Vendite di armi che, come già accaduto nel passato con l’URSS, non avevano certo lo scopo di rafforzare il potenziale bellico libico contro ipotetici avversari esterni, quanto piuttosto stringere rapporti con le potenze occidentali attraverso un massiccio afflusso di petrodollari e di volersi affermare tutt’al più nello scenario regionale come un punto di riferimento, magari non più solo arabo, ma africano.

I dati non sono ovviamente pubblici, ma lo studio pubblicato sul quotidiano inglese Guardian sull’acquisto di armi ed armamenti da parte della Libia è invero interessante.[15]

Secondo lo studio, dal 2004, anno dalla fine dell’embargo, al 2009 sarebbero stati venduti alla Libia di Gheddafi armamenti per 834 milioni di euro solo da parte di paesi aderenti all’Unione Europea; secondo poi quanto riferito dall’ISPRI (Stockholm International Peace Institute ) nel suo TRENDS IN INTERNATIONAL ARMS TRANSFERS, 2010:

Supplies of major conventional arms to Libya were very low in the period between the lifting of the United Nations arms embargo on the country in September 2003 and the imposition of a new UN arms embargo in February 2011. However, France, Italy, Russia and the UK have been competing for expected orders from Libya for combat aircraft, tanks, air defence systems and other weapons. Russia has orders from Libya for six Yak-130 trainer/combat aircraft and two Tarantul Fast Attack Craft, but did not secure an anticipated contract for export of its new Su-35 combat aircraft by the end of 2010.”

Certo è che ad un attivismo internazionale finanziato dalle sue risorse economiche ha fatto riscontro una gestione degli affari interni sempre più dispotica ed imprevedibile; anche l’ultimo tentativo di ristrutturare il sistema di potere attuato da uno dei figli, Saif al Islam, è finito in un nulla di fatto.

Come in tutte le tirannie, la volontà dell’establishment di non voler perdere alcuno dei suoi privilegi, e l’arroganza del padre padrone della Libia di rappresentarla attraverso il suo sentire ed il suo pensiero ha condotto alla sua fine.

L’ identificazione totale con la sua terra, di cui però non ascoltava i lamenti né accettava il crescere dei sentimenti popolari né delle altrui aspirazioni bollandole come tradimenti, frutto della sua concezione della storia che lo vedeva al centro di un disegno forse mistico e della sua esperienza personale, ormai datata, di una popolazione che da re Idris sino ad alcuni anni dopo la presa di potere dello stesso Gheddafi in avanti non aveva alcuna idea né concezione politica, era arrivata al capolinea.

La situazione interna di debolezza del regime, ha ovviamente portato numerose potenze occidentali ad agire prima che potessero manifestarsi preoccupanti sintomi di una presa di potere da parte di organismi legati a concezioni politiche legate a movimenti religiosi islamici,sciiti e sunniti, sempre presenti in tutta l’Africa e l’Asia e considerate ormai come un pericolo da evitare attraverso azioni preventive.

La possibilità che potessero attuarsi stravolgimenti inattesi relativi alle forniture energetiche, così come quella di sovvertire precedenze già concesse riguardo alle concessioni energetiche, unite a situazioni spesso poco note nel mondo energetico, hanno fatto sì che si cercasse di limitare i danni cercando di eliminare l’amico in affari di ieri.

Non è un mistero che si sia cercato di risolvere la situazione venutasi a creare in Libia con l’uccisione di Gheddafi.

E’ forse uno dei pochi casi in cui l’accentramento del potere nelle reali mani di un solo uomo porta quest’ultimo a diventare l’obiettivo da eliminare, perché, caduto lui, cade il regime; cosa non applicabile affatto al siriano Bashir Assad, esponente, magari controvoglia, di una struttura di potere che vede in lui la faccia da presentare, ma non certamente fra i veri detentori del potere effettivo dello Stato; così come era Mubarak esponente di un gruppo che lo ha sacrificato continuando nella propria gestione del potere.

Inoltre gli affari intrattenuti con le grandi potenze, i suoi voltafaccia, imputabili certamente ad un personaggio bizzarro ed egocentrico, ma dotato di quella capacità di sopravvivere al potere per ben quarantadue anni, lo hanno portato a stringere accordi e legami non sempre noti, talvolta intuiti ma decisamente di difficile dimostrabilità come la ragion di Stato esige, e certamente inopportuni che venissero rivelati.

Alcune informazioni sono state rivelate grazie a wikileaks, altre, in un periodo di confusione recente in cui non si erano consolidate alleanze e forze, attraverso documenti ritrovati in uffici appartenenti ad esponenti dell’intelligence; ma dal dispiegamento in Libia di truppe di terra francesi ed inglesi e,secondo alcune voci, anche italiane, appartenenti in special modo a reparti così detti speciali, dislocate in zona ufficialmente per fungere da istruttori ai ribelli, non si è più ritrovato alcun documento compromettente.

E la stessa fine del Rais rimane avvolta nel mistero, pur nella drammaticità delle immagini che hanno fatto il giro del mondo della sua morte quasi in diretta.

Americani e francesi sono corsi ad assumersi la paternità dell’intervento aereo secondo cui prima un drone Predator statunitense avrebbe sparato un missile, seguito da un attacco dei jet francesi sul convoglio usato per portarsi al di fuori della città di Sirte; in seguito all’attacco Gheddafi si sarebbe nascosto in un tunnel ove sarebbe stato trovato da un gruppo di ribelli della città di Misurata, che lo avrebbero poi ucciso.

La ricostruzione dell’avvenimento sarebbe quello illustrato dalla BBC nell’articolo da cui è tratta la foto sottostante .

Risulterebbe strano come l’auto di Gheddafi possa essere sopravvissuta ad un tale attacco, considerato quanto di norma avviene in seguito agli attacchi dei Predator, armati in genere con missili Hellfire o al bombardamento da parte delle forze aree francesi con uso di bombe Pavveway da 500 libbre o munizionamento AASM ( Armament Air Sol Modulaire), secondo il quotidiano inglese “The Telegraph”.[16]

Secondo quanto dichiarato in un’intervista dal generale Jean-Paul Palomeros, Capo di Stato maggiore dell’aeronautica francese, le bombe Paveway venivano usate nell’operazione in Libia in particolare da parte dei Mirage 2000 ed il munizionamento AASM di più da parte dei Rafale.[17]

Comunque si giri, si tratta sempre di bombe intelligenti, quindi a guida laser, e come tali possono essere dirette sul bersaglio da un illuminatore basato a terra e usato da personale addestrato di reparti speciali, oppure sintonizzato su una o più vetture su cui sia stato identificato un preciso bersaglio in precedenza.

Comunque non si è certo fatto fuoco con tali mezzi su tutte le autovetture che passavano da quelle parti; per cui l’obiettivo è stato quello di eliminare Gheddafi, visto il tipo di mezzi usato.

Le esperienze dei così detti omicidi mirati in Israele e contro i Talebani o personaggi di al Qaeda, o comunque ribelli in Afghanistan, Iraq ed altre parti del mondo, insegnano che difficilmente un’auto, anche se blindata, può scappare al fuoco di un missile hellfire od una bomba paveway.

Eppure, c’è una notizia che vale la pena di seguire.

Secondo il sito israeliano Debka file, in genere considerato vicino ai servizi israeliani, l’operazione della cattura di Gheddafi sarebbe stato condotta da truppe speciali di una forza occidentale che avrebbero intercettato e catturato il leader, sparandogli poi nelle gambe e consegnandolo ad un gruppo di insorti affinché provvedessero alla sua eliminazione.[18]

Certo è che l’esame dei momenti finali della vita di Gheddafi, attraverso quel poco che si riesce ad intravedere dalla registrazione effettuata con il cellulare, oltre la folla che circonda il Rais ormai rassegnato alla propria fine, ci mostra una scena che poco ha a che fare con il bombardamento di un convoglio di auto.

Non vi sono scheletri di auto distrutte, pur essendo su una strada asfaltata e Gheddafi, chiaramente ferito, è trasportato su un pick-up di colore scuro, mentre intorno vi sono solo dei camion tipo militare e l’unico grido che si sente in continuazione è l’“ALLAH U AKBAR”, a mio parere blasfemo considerato che uno dei 99 nomi di Allah è quello di compassionevole, in una scena in cui la compassione lascia il posto alla bestialità, più adatta a Shaitan che ad Allah, in una amara parodia della giustizia.

Né si intravedono altri sostenitori del Colonnello attorno a lui, cosa piuttosto strana nella considerazione che si sarebbe dovuto trattare di un corteo di auto e quindi con almeno un gruppo di persone a bordo.

Le foto, successive al suo assassinio (o vendetta, chiamatela come volete sempre di omicidio si parla), mostrano il tunnel ove sarebbe stato trovato con il corpo di un suo fedelissimo all’entrata dello stesso; ma nessuna immagine di Gheddafi estratto da quel famoso cunicolo, ed altre foto, ufficiosamente riprese poco dopo la cattura, ci mostrano l’ entrata di quel tunnel senza alcun corpo innanzi ad esso; e sopratutto, perché non è stato ucciso sul posto, ma poco dopo?

Non sapremo per ora cosa abbia determinato la fine di Gheddafi, considerato che stranamente il ragazzo che sosteneva di averlo ucciso non è più stato ripreso da video o servizi giornalistici o televisivi; quello che è certo, come sostiene anche David Rieff in un articolo su Foreign Policy, è che l’uomo che sapeva troppo, se n’è andato[19], portandosi con sé una quantità di segreti che difficilmente verranno mai rivelati, lasciando un enorme dubbio sul futuro di quella zona d’Africa.

Altra certezza, l’uso di determinati mezzi da parte delle forze Nato lascia chiaramente comprendere che il Rais doveva morire; cosa che, in una maniera o nell’altra, è accaduto.

Da parte di numerosi governi africani, l’operazione della NATO è stata considerata come neocolonialista ed un’inopportuna ingerenza negli affari interni di uno Stato; pericolosa perché ha portato ad una notevole instabilità locale.

Gheddafi aveva fatto della Libia un enorme deposito di armi sotto il suo controllo.

Ora, prive di controllo, gran parte di quelle armi sono sparite e l’unione libica, sempre precaria ed instabile fra Cirenaica, Tripolitania e Fezzan, corre il rischio di disintegrarsi, magari con il ritorno ad una realtà federale come lo era una volta, con conseguenti problemi fra gli stati limitrofi, sempre in un precario equilibrio.

E’ ancora presto per qualsiasi ipotesi e le dimissioni di Mahmoud Jibril da primo ministro del governo di transizione, con la conseguente elezione di Abdurrahin el Keib, eletto con 26 voti su 51,[20] hanno mostrato la fragilità di una coalizione che deve sopratutto affrontare il problema di una popolazione rimasta dal 1951 senza democrazia.

Non si può concludere la disamina dell’era Gheddafi senza porre attenzione sull’arma di cui si è servito per portare avanti le sue ideologie e la sua visione del mondo, il petrolio.

Ormai componente indispensabile per lo sviluppo dapprima dell’Occidente ed ora anche della Cina e delle altre potenze emergenti e considerato bene strategico.

Secondo uno studio dell’Ispi,[21] dal MENA (Middle East and North Africa) proviene circa il 35% della produzione mondiale e, in particolare, il 40% del petrolio commercializzato a livello internazionale, con oltre il 60% delle riserve accertate di petrolio a livello mondiale.

Il petrolio libico è considerato di altissima qualità per la bassa presenza di zolfo ed un’elevata resa in benzine, qualità che lo rendono lo rendono estremamente appetibile, così come strategica è la sua dislocazione, praticamente sulle sponde del Mediterraneo.

La politica già attuata da re Idris prima, che prevedeva le possibilità di estrazione anche alle piccole compagnie a discapito di una massiccia presenza di giganti dell’industria petrolifera, ha consentito anche in seguito, di poter contare su un notevole afflusso di denaro contante nelle casse dello Stato, vista l’impossibilità per le grandi compagnie di poter fare cartello.

Ma, purtroppo, le nazioni più ricche di petrolio, sono, se non oculatamente gestite, vittima del petrolio stesso, in quanto questo diventa l’unica fonte di entrata e sviluppo e mezzo per continuare su progetti che altrimenti sarebbero già destinati in partenza al fallimento.

Le entrate petrolifere hanno permesso un enorme sviluppo del benessere libico, attraverso la creazione di infrastrutture, scuole, ospedali, case; ma anche comportato una società priva di qualsiasi punto di riferimento democratico.

Dall’essere il paese cui gli Stati Uniti nel 1959 destinavano più di 100 milioni di dollari in aiuti, rendendolo il maggior beneficiario pro capite delle donazioni americane, la Libia attraverso le rendite petrolifere ha portato il reddito pro capite dai 2216 dollari nel 1969 a quasi 10.000 un decennio dopo.

La politica petrolifera anche sotto il regime di Gheddafi, attuata attraverso la LNOC (Lybian National Oil Corporation) è stata condotta in maniera tecnocratica, cercando di preservare la maggiore ricchezza del paese, dagli stravolgimenti in politica estera ed interna.

Il ricorso al petrolio come unica grande fonte di approvvigionamento, (forse unitamente ad un turismo che non ha mai dispiegato completamente le sue possibilità) si rivelò anche un boomerang quando furono imposte le sanzioni in seguito ai fatti di Lockerbie; ed è questo, probabilmente, uno dei fattori che hanno contribuito al chiaro cambiamento di rotta del leader libico in politica estera.

Ed infatti, con la cessazione delle sanzioni, l’economia libica ritornò a crescere; al termine del 2003 le prospezioni per la ricerca del petrolio avevano interessato solo un quarto del territorio ed eccettuata una piccola zona lungo la costa, solo un’area per il sondaggio offshore. Sia il governo libico che le compagnie petrolifere internazionali prevedevano che le riserve certe del Paese, che ammontavano a 30 miliardi di barili, potessero raggiungere con facilità i 130 miliardi, rendendo così la Libia une delle prime tre mete di investimento al mondo per le compagnie petrolifere”,[22] così scriveva Dirk Vandewalle nel libro Storia della Libia contemporanea edito nel 2006 e stampato in Italia nel 2007.

Stime al rialzo se. come scrive il quotidiano la Repubblica,[23] il Center for Global Energy Studies di Londra,[24] istituito dallo sceicco Yamani, parla di 47 miliardi di barili, più un oceano di gas naturale.

Dal 2005 numerose compagnie, in prevalenza statunitensi, ma anche brasiliane, algerine ed indiane, oltre che europee, furono coinvolte nei progetti di sviluppo dell’industria petrolifera libica, anche se la parte del leone la fecero le compagnie USA che si aggiudicarono 11 delle 15 licenze di esplorazione, a scapito sopratutto di quelle europee ed in particolare della francese TOTAL.

Senza contare l’ENI che, già da prima dell’avvento al potere del colonnello, aveva una posizione privilegiata, conservandola anche dopo.

La politica portata avanti già da re Idris, di non mettersi nelle mani di un solo Ente o Nazione e di giocare al rialzo su più tavoli, continuava ad essere quella ufficiale anche del regime di Gheddafi.

La rivolta in Libia, con i relativi problemi di pompaggio, non ha comportato un eccessivo problema per il mercato internazionale, che sarebbe stato in condizioni di compensare la perdita di produzione libica aggirantesi sul 2% del mercato globale.

Ma la crisi ha portato ad un aumento del prezzo del petrolio da 90 a 100/110 dollari al barile e sopratutto ha evidenziato discrasie nella possibilità di compensazione delle nazioni facenti parte dell’OPEC secondo quanto riportato da uno studio dell’ISPI, che ha ventilato come una possibile espansione della rivolta libica alla vicina Algeria, anch’essa produttrice di petrolio, avrebbe facilmente fatto lievitare il prezzo al barile sino a 200 dollari circa [25].

Attualmente la produzione libica si aggira intorno ai 500.000 barili, di cui la metà esportati, con un probabile aumento della produzione, secondo il nuovo governo libico, al ritorno al precedente livello di 1,6 milioni e l’ipotetico raggiungimento dei due milioni.

Questa prospettiva non viene giudicata fattibile da alcuni esperti dell’OPEC, sempre secondo quanto riporta la Repubblica, con un momento di difficoltà nella produzione totale che dovrebbe essere assorbita dai sauditi, considerato anche lo stato di crisi nigeriana, di cui poco si parla.

Con una domanda di energia in rapido aumento e con la impetuosa avanzata di economie quali quelle asiatiche e sudamericane, la domanda di materie prime è diventata in realtà una corsa ad assicurarsi riserve di materie prime considerate ormai strategiche.

E gran parte di tali materie prime si trovano, non a caso, in una delle aree più instabili e tormentate del pianeta, l’Africa.

E’ facile comprendere il nesso logico fra le cause e gli effetti di quanto appena detto, ovverosia fra le risorse e l’instabilità.

Da più parti si è parlato a livello di geostrategia di una divisione degli interessi in Africa fra i due colossi asiatici, la Cina e l’India; difficilmente dimostrabile con i documenti, accertabile forse con i fatti.

Di fatto, considerate le stime al rialzo della richiesta di energia nei prossimi anni, ed il fatto che il petrolio è una risorsa non rinnovabile, assicurarsi determinate produzioni, significa poterne escludere altri. E’ una vera e propria guerra per una risorsa considerata strategica.

In tale contesto, appare chiaro che, onde evitare di scontrarsi in guerre convenzionali, che si sa come partono ma non come finiscono, le grandi potenze preferiscono agire per mezzo di proxy, siano esse rivolte interne o scontri fra piccole entità, che determinino poi un intervento di una grande potenza, magari sotto egida ONU. Ma certamente non destabilizzano lo scenario mondiale in maniera violenta.

Il quadro della produzione di petrolio sopra indicato può aiutare a comprendere cosa sia accaduto in Libia, ma non tutti gli elementi possono essere compresi se non vengono alla luce altri fattori.

Primo fra tutti il fatto che la BP, (British Petroleum) ha avuto notevolissime perdite di bilancio a seguito dell’incidente nel Golfo del Messico di due anni fa, che, oltre ad aver portato la società in rotta di collisione con l’amministrazione USA per il disastro ecologico, ha anche comportato la previsione di spesa di 10 miliardi di dollari l’anno di spese civili ed altrettanti di multa penale, per una società che nel terzo trimestre ha annunciato profitti per 5,1 miliardi di dollari; e questo senza contare che la piattaforma non è più utilizzabile e quindi bisognava spostarsi su nuove aree.

Infatti, guarda caso, gli investimenti della società sono stati fatti proprio in Libia, a partire da sei anni orsono, a seguito della visita di Tony Blair a Tripoli.

Altro elemento da prendere in considerazione è che le clausole messe in atto da Gheddafi, a partire da quella del 93% del valore da versare al governo, erano considerate capestro da parte delle compagnie petrolifere, considerato che il massimo era in sede OPEC il 60 % del Kuwait;e, infatti, è questa una delle richieste ripetutamente fatte al nuovo governo libico, ovverosia di diminuire tale tassazione.

Ulteriore elemento è la presenza cinese in Libia, come in gran parte del continente, come già detto in precedenza.

Sono circa 75 le compagnie cinesi operanti in Libia con una presenza di circa 30.000 persone, fra cui i colossi dell’energia cinese, CNPC, Sinopec Group and CNOOC, ufficialmente presenti con progetti di sviluppo e non per attività estrattive in atto.

Ma la Cina intratteneva con Gheddafi notevoli rapporti commerciali, basati sopratutto sul fattore petrolio.[26]

Alla luce di quanto espresso sopra, la situazione appare molto più chiara.

Diciamo che non si andrebbe lontano dalla realtà se si sostenesse che le compagnie petrolifere occidentali (in particolare britanniche, statunitensi e francesi), alla luce della notevole espansione delle industrie cinesi ed indiane, ma sopratutto cinesi, competono per la ricerca e sfruttamento di risorse che non sono rinnovabili, in particolare petrolio.

Si aggiunga che impossessarsi delle licenze di sfruttamento di un Paese in cui il costo di estrazione del petrolio è basso, in quanto facilmente raggiungibile, comporta automaticamente l’esclusione di un concorrente. Si cerca, infatti, di preservare le riserve nel medio lungo termine e quindi non possono essere estratti più di un tot di barili di petrolio.

Quindi il concorrente dovrà rivolgersi altrove ove magari i costi di estrazione sono molto più alti, comportando una maggior spesa per ottenere la stessa quantità di petrolio.

Si consideri ancora che il tipo di petrolio raccolto può o meno comportare differenti spese di raffinazione e di utilizzo, in quanto migliore è la qualità del petrolio raccolto, maggiore ne sarà lo sfruttamento e l’utilizzo.

Si rifletta sul fatto che aggiungere ai costi anche quello di trasporto, per cui maggiori sono le possibilità di diminuire le spese di trasporto, maggiore è l’incremento di guadagno.

Si aggiunga che una diminuzione delle tasse imposte sullo sfruttamento delle risorse energetiche comporta un decremento dei costi per lo sfruttamento delle risorse petrolifere e quindi perlomeno un non aumento del costo del prodotto finale, magari con aumento dei dividendi per i soci.

Si ponga, infine, sul piatto della bilancia l’elemento fondamentale rappresentato dalla sicurezza, intesa in senso generale, del Paese in cui si fanno gli investimenti.

Considerando la sommatoria di questi addendi pertinenti, si avrà una visione forse più chiara di quanto il settore petrolifero possa avere influenzato gli eventi.

Per completezza, si riportare la tesi [27]sostenuta da Carlos Pereyra Mele, membro del centro di studi strategici Sud Americano, pubblicata sulla rivista “Latino America e tutti i sud del mondo”.[28]

L’autore ipotizza che, a seguito di ostacoli posti da Gheddafi alle imprese con capitale inglese e nordamericano per l’estrazione delle risorse energetiche e la sua apertura alle compagnie petrolifere cinesi, unito alla sua idea più volte espressa di abbandonare il dollaro come moneta di riferimento nel mondo petrolifero con l’introduzione di un nuova moneta di riferimento, il dinaro in oro ancorato al valore dell’oro, di cui la Libia possedeva riserve per oltre 140 tonnellate rispetto ad una popolazione di circa 6 milioni di abitanti, vi sia stata un’attività organizzata diretta a soppiantare il regime libico con un regime più malleabile e favorevole a tali interessi, basata su tre punti:

–           l’artificiosa nascita di gruppi di dissenso e di rivolta, sorti originariamente nell’area di Bengasi, il cui scopo era sopratutto di dimostrare agli occhi dell’opinione pubblica occidentale che erano in atto violente e sanguinose repressioni da parte del regime; passo quest’ultimo attuato a mezzo di false dichiarazioni provenienti sopratutto da ONG di non certa attendibilità e, secondo l’autore, smascherate da riprese effettuate dalla televisione venezuelana Telesur;[29]

–           la presentazione alle U.N. di una proposta, approvata con l’astensione di Cina e Russia,[30] tendente ad interdire lo spazio aereo libico alle forze aeronautiche fedeli a Gheddafi, imponendo altresì una cintura di sicurezza tesa ad evitare rifornimenti di materiale militare; operazione secondo l’autore necessaria per verificare la nuova teoria di intervento della NATO negli affari interni di altri stati sulla base di un presunto diritto di intervento umanitario;

–           l’intervento diretto degli Usa che, attraverso il supporto delle varie monarchie del Golfo e l’uso spregiudicato di milizie mercenarie e di opposizione al regime libico, inclusi gli appartenenti ad al Qaeda, ha alterato un instabile equilibrio di potere determinando il pendere della bilancia a favore degli oppositori di Gheddafi.

Continua sostenendo che tale complessa operazione costituisce una dottrina ormai avviata dalle potenze occidentali per continuare nella loro politica di espansione e controllo neocoloniali e che potrebbe costituire la dottrina d’intervento anche per i paesi del Sudamerica che dovessero entrare in rotta di collisione per le loro politiche, con le potenze occidentali.

Le ipotesi fatte da Carlos Pereyra Mele, risentono, a mio parere, della classica impostazione marxista sudamericana che vede negli USA un elemento perturbatore dello sviluppo della democrazia reale di fronte alle necessità di espansione continua imposta dal mercato capitalistico e dalla necessità di controllare le risorse economiche mondiali economiche.

Non si può certo negare che la dottrina Monroe e le successive applicazioni di tale dottrina, che tanti disastri hanno portato allo sviluppo dei paesi del Sud e Centro America, abbiano costituito un percorso storico che ha influenzato ed ancora influenza il pensiero politico sudamericano ed il percorso di numerosi ricercatori e studiosi di tale sub continente; come non si può altresì negare che la politica di ingerenza umanitaria, che definirei selettiva, sia stata una costante degli interventi occidentali nel mondo odierno, senza tenere spesso in debito conto le situazioni regionali e locali, le diverse culture e strutture sociali ed economiche, portando spesso a disastri annunciati più che a soluzioni condivise.

Sullo sfondo di tutte queste ipotesi rimane comunque una guerra alle risorse limitate e non rinnovabili, che comporta almeno la sopravvivenza di alcuni a scapito di altri e la corsa al profitto, tipico di un modello di sviluppo considerato vincente sino a poco fa, ma che ormai mostra preoccupanti crepe, incapace di una reale ridistribuzione delle ricchezze e soprattutto di una maggior giustizia sociale.

Certamente un tiranno è caduto, un regime autoritario è, per ora, cessato e le speranze in una nuova Libia sono ancora intatte.

Rimane per ora il ricordo di un tiranno, preda dei suoi sogni, passato da una presenza silenziosa e discreta delle origini, quasi ascetica nel suo idealismo rivoluzionario ad una visione del suo ruolo in chiave quasi di deità, priva di qualsiasi simpatia ed a livelli grotteschi, che non meritava tuttavia una fine atroce quale quella riservatagli, laddove la bestialità ha prevalso sulla compassione e pietà; se di bestialità si tratta e non di semplice e pura ragion di Stato.

I precedenti di Milosevic e Saddam Hussein, uniti alla recente fine di Gheddafi e di Osama bin Laden costituiscono certo una vera manna per gli appassionati di dietrologia; ma forse una più approfondita disamina delle varie premature dipartite dal mondo terreno e delle loro concause non sarebbe una cattiva idea per la democrazia.



[1] Dirk Vandewalle “Storia della Libia contemporanea” Salerno editrice.

[2] Dirk Vandewalle “Storia della Libia contemporanea” Salerno editrice.

[3] Mu’ammar Gheddafi “ Le mie verità – il libro sulla terza via universale” Termidoro edizioni

[4] Ibidem, pag. 38.

[5] tratto da “LA LIBIA TRA MONARCHIA E ĀL-JAMĀHIRIYYA” di Souadou Lagdaf- Relazione presentata al XXV Convegno SISP (Società Italiana di Scienza Politica) Università degli Studi di Palermo

[6] David Hirst “The Guardian” http://www.guardian.co.uk/world/2011/oct/20/colonel-muammar-gaddafi

[13] http://www.spacewar.com/reports/France_Confirms_Major_Arms_Deal_With_Libya_But_Denies_Any_Deal_For_Nurses_999.html; http://www.defenseindustrydaily.com/the-french-connection-libya-seeking-arms-deals-04417/

[20] Jeune Afrique du 13 au 19 novembre 2011 “ Lybie, Abdurrahim el Keib cet inconnu”

[22] Dirk Vandewalle “Storia della Libia contemporanea” Salerno editrice

[23] Supplemento Affari e Finanze, pagg 12-13 del 31 ottobre 2011 Anno 25- n°35

[26] http://www.ft.com/intl/cms/s/0/eef58d52-3fe2-11e0-811f-00144feabdc0.html#axzz1f5MWZglM

[29] certamente l’impatto mediatico e la guerra mediatica basata anche sulla disinformazione hanno avuto un ruolo rilevante nel convincere l’opinione pubblica della giustezza dell’intervento. ricordo al riguardo la notizia delle fosse comuni rivelatesi poi una montatura giornalistica ed un perfetto esempio di disinformazione mediatica. http://notizie.radicali.it/articolo/2011-02-28/editoriale/guerra-libia-tra-bufale-e-false-verit