Europa e Mediterraneo: che equilibrio?

di Mario Boffo

Naturalmente, ogni possibile tentativo di equilibrata proposta risulta di complessa concezione sotto le attuali lune, in un mondo che appare sempre di più preda di un caotico disordine e di una sconsiderata anarchia internazionale. Tuttavia, può essere utile cercare di delineare qualche tratto del futuro auspicabile; non solo per alimentare visioni utopiche, che sono comunque raffronti importanti fra le idee e le cose che accadono, ma anche perché, se all’ordine subentra il disordine, a quest’ultimo potrà di nuovo subentrare l’ordine, sebbene questo storicamente accada dopo grandi tragedie.

            I rapporti fra l’Europa continentale e i Paesi non europei del Mediterraneo e Medio Oriente sono stati spesso problematici. Oggi sono fonte di aspre tensioni e di possibili conflitti. A monte della situazione attuale, e tralasciando per brevità le radici storiche, sono state le cosiddette “primavere arabe”, che, più o meno eterodirette, hanno confrontato le società mediterranee e mediorientali con regimi dittatoriali o fortemente autoritari. Senza entrare nel dettaglio delle singole situazioni, le rivolte hanno posto un tema secondo chi scrive importante, sul quale non sembra però vi siano state molte elaborazioni. Il tema è questo: dovrebbe l’Europa (cioè i Paesi più vicini all’area, l’Unione Europea nel suo complesso, o, più in generale, i Paesi democratici) sostenere sinceramente il progresso di libertà e giustizia dei popoli (Attenzione!!! Sostenere sinceramente tali progressi come fattore di sviluppo umano a tutti giovevole, NON “esportare la democrazia”), oppure dovrebbe sostenere i regimi forti in nome e nella convenienza della stabilità internazionale politica ed economica?

            Se prescindiamo da posizioni francescane, deleterie in questioni geopolitiche, la cosa non è di facile riflessione: sotto regimi autoritari, i popoli soffrono; nelle rivolte con intervento esterno, si generano interminabili conflitti che non attenuano le sofferenze dei popoli. Appoggiare regimi autoritari rende complici degli stessi; fomentare rivolte (malamente, come usa oggi), rende complici del disordine. Molti risultati delle “primavere arabe” hanno fatto emergere tensioni antieuropee, sia per precedenti complicità con i dittatori, sia per assenza di positiva azione successiva. Come dovrebbero essere riprogettati i futuri rapporti fra Europa e proprio intorno? È evidente che i governi e gli stati vanno riconosciuti in quanto tali, e credo che – in assenza di gravi violazioni di diritti umani – a ciascun paese spetti di scegliere, pur nelle ragionevoli tensioni politiche, i regimi socio-politici che meglio si attaglino alla propria storia e cultura; la democrazia come formula politica appartiene al mondo occidentale come frutto della cultura greco-latina, e non è necessariamente adatta a tutti i popoli. Ciò nonostante, considerati i valori dei Paesi democratici, appare cinico appoggiare in tutto e per tutto, in virtù di un’utilitaristica stabilità, regimi che violino pesantemente i diritti umani, e questo viene spesso contestato all’Europa, la quale sotto molti aspetti ha pagato le conseguenze del precedente sostegno a regimi del genere (diffidenza, radicalismo, tensioni…).

            Credo che nessun positivo sviluppo di stabilità e progresso potrà mai avvenire nel Mediterraneo in assenza di un’Europa veramente integrata, almeno nelle funzioni sovrane, e dotata di una politica estera condivisa e unitaria. In quel lontano o lontanissimo giorno in cui questo si realizzi, l’Europa dovrebbe certamente avere rapporti con i governi, ma anche con le società dei vari paesi. Non si tratta di ONG, o di cooperazione internazionale, o di mettere e togliere sanzioni, o ancora di condizionare burocraticamente i rapporti a uno stucchevole e improduttivo sostegno dei diritti umani, cose che chi scrive considera approcci obsoleti e spesso fonte di ulteriore confusione. Si tratterebbe di lavorare a livello paritario con i governi e con le società governate, senza “insegnare” alcunché, né agli uni né alle altre, in materia di formule di governo, ma collaborare affinché governi e società perseguano interessi condivisi e giovevoli, anche internazionalmente, nel contesto della comune area geografica di incidenza. Se l’Europa fosse più unita, avrebbe la forza e l’autorevolezza per conseguire questo scopo, e le formule con cui perseguirlo sarebbero molteplici (per esempio, legando programmi di vera collaborazione politica ed economica di interesse per l’area, o di contrasto a fattori di instabilità, ad approcci di vera condivisione, vera inclusione sociale, vero progresso, vera gestione comune multilaterale e regionale).

             Detto così, in sintesi estrema, sembra bello ma difficile; soprattutto oggi, quando, abbandonato il multilateralismo, i vari Paesi si affidano a improbabili azioni individuali, o restano inattivi in attesa non si sa di che, o si affidano a politiche caratterizzate da grande ipocrisia. Il disordine attuale, tuttavia, arriverà a un punto di insostenibilità e di rottura. Potranno scoppiare conflitti anche nel Mediterraneo, potranno naufragare alleanze e organizzazioni internazionali, i temi globali imporranno di scegliere fra la collaborazione o la fine dell’umanità. Se non si vuole soccombere del tutto alla follia, bisognerebbe cominciare a riflettere al dopo, perché in tutte le catastrofi, in tutte le guerre, in tutti i cataclismi, l’uomo ha soprattutto pensato a che cosa fare dopo. 

Mario Boffo