Covid 19: virus delle economie deboli, Corona dell’economia sovranazionale

Dopo il Coronavirus le nostre vite cambieranno. Anche le prospettive?

di Angelo De Giuli

Politici, scienziati ed opinionisti da settimane ripetono questo ritornello con toni gravi e profetici. La dimensione profetica risalta al confronto con il deserto teorico che segue il punto alla fine del messaggio. Cosa cambierà, come, per chi, per quanto tempo? Nessuno lo dice, non uno che azzardi un’ipotesi definita, ma tutti predicano un mondo che verrà, foriero di difficoltà, di incertezze economiche e sociali, di inediti ed inimmaginabili equilibri politici mondiali. Nel contempo si va formando un nucleo di ipotesi su cui tendono a convergere le varie scuole di pensiero, composto di due elementi: creare più debito pubblico per sostenere il sistema economico, ed aumentare l’efficienza delle attività per mezzo di investimenti nelle nuove tecnologie quali l’intelligenza artificiale, reti 5G per le telecomunicazioni, stampa tridimensionale ed altre ancora.

Questo periodo di limitazioni offre la possibilità di disintossicarsi dalla droga della frenesia e di liberare il pensiero, consentendo di elevarsi oltre l’opaca bruma del rituale quotidiano. Così mi succede che seguendo uno degli innumerevoli dibattiti televisivi, la mente ha iniziato a sintetizzare le numerose informazioni e le opinioni dei vari convenuti in una visione cosmica riassuntiva del momento storico. Un’intera galassia composta da miliardi e miliardi di oggetti (asteroidi, polvere, pianeti, stelle, lune, comete) che, placida, ruota attorno al suo baricentro (raffigurazione di una variegata umanità la cui esistenza è regolata da un centro gravitazionale: il sistema economico globalizzato), ed improvvisamente cambia di stato. Il baricentro collassa, implode, generando un buco nero che sconvolge l’ordine fisico della galassia intera e ne genera il nuovo stato di caos. L’asse centrale fulcro della forza energetica che garantiva l’ordinata e regolare rotazione di miliardi di oggetti, si trasforma in un pozzo oscuro che attira progressivamente a sé, nel profondo ignoto, la moltitudine galattica. Con la costanza ed i tempi necessari, in principio lentamente ma con progressiva accelerazione, tutta la galassia cade in questa vorticosa voragine che, distruggendo e trasformando ogni cosa, rilascia quanto ingurgitato in una nuova dimensione governata da sconosciute leggi fisiche. Esaurita la materia prima da inghiottire, il buco nero si richiude, e la miscellanea riversata in un imprecisato caos sistematicamente torna ad organizzarsi attorno al nuovo, altro baricentro. 

Un messaggio sul cellulare richiama la mia mente alla galassia di tutti i giorni proprio sul finire dell’intervento del profeta di turno: “… la pandemia ci lascerà in eredità un’economia disastrata, con migliaia di imprese fallite e tante altre prossime al fallimento, milioni di disoccupati, Stati con bilanci gravati da debiti insostenibili … una situazione che potrà essere gestita solo con un coordinamento internazionale … e certamente le nostre vite saranno condizionate da questi fattori; dovremo adattarci a nuovi stili di vita, a nuove forme di lavoro e di socialità …”.

Nell’eco delle ultime parole del tecnico affiora una strana sensazione, una vocina sempre più netta cattura la mia attenzione e mi ripropone ricordi di circa dodici anni fa, e finalmente metto a fuoco ciò che mi ha mantenuto distaccato e dubbioso rispetto ai responsi di tante Sibille: tutte queste analisi e previsioni le ho già sentite, e sono assai simili a quelle formulate ai tempi della crisi finanziaria del 2008/2010! Anche allora vi fu un tracollo economico epocale, dilagava il timore di un collasso complessivo del sistema, si profetizzava una rivoluzione strutturale dell’economia e un impatto devastante sullo stile di vita e sul benessere delle persone. Stati, autorità finanziarie e Banche Centrali immediatamente crearono debito per iniettare liquidità nel sistema bancario, con due obiettivi fondamentali: evitare il crollo delle banche e rifornire il sistema delle imprese del necessario denaro contante per finanziare la loro attività. In estrema sintesi, si cercò di ricostituire la ricchezza privata distrutta dalla finanza con la creazione di reddito tramite investimenti nell’economia produttiva. E tra tutte le tipologie di investimento, quella in tecnologia fu la privilegiata. A distanza di dodici anni dal conclamarsi della crisi, una fotografia dell’economia mondiale presenta un rallentamento del processo di crescita nei Paesi in Via di Sviluppo, un aumento di ricchezza in USA, UE e Cina, una situazione pressoché stabile in Africa.[1] Non importano qui i dati numerici delle varie economie quanto piuttosto le tendenze sottostanti l’incremento di ricchezza mondiale. I massicci interventi delle Banche Centrali, tesi ad agevolare la concessione di credito al mondo delle imprese da parte del sistema bancario, al termine della decade risulta che solo in minor parte ha raggiunto gli operatori economici produttivi: la gran parte di denaro trasferito dalle banche centrali al sistema bancario ed interbancario si è “fermato” nel circuito finanziario.[2] A dodici anni dal manifestarsi della crisi finanziaria il risultato conseguito dagli strumenti di politica monetaria è stato di salvare il sistema bancario consentendo, allo stesso tempo, che la finanza internazionale drenasse denaro e ricchezza oltre misura, fallendo però l’obiettivo di risolvere o attenuare i problemi dell’economia produttiva e dei cittadini. Tanto è che permangono significativi livelli di disoccupazione, le diseguaglianze sociali si sono ampliate, i consumi ristagnano e i settori produttivi non trovano la spinta per uno sviluppo sufficiente a mantenere od aumentare i livelli di occupazione e di reddito. Una situazione stagnante, creatasi anche con il contributo di investimenti in tecnologie finalizzate solo alla riduzione dei costi operativi. Un esempio per tutti: i servizi bancari on line. Il cliente paga per effettuare da sé i bonifici da remoto, gli impiegati bancari pian piano vengono licenziati e le banche guadagnano commissioni e risparmi sul costo del lavoro, il tutto in nome della comodità del servizio. 

Dunque la politica monetaria attuata in emergenza non ha sortito gli effetti sperati (non in toto, almeno), lasciando irrisolti i problemi ante crisi. Ne è prova il fatto che gli Stati sono continuamente sollecitati dalle varie categorie di cittadini a soccorrere l’economia privata, tanto che ogni anno si rinnova il rito degli sgravi fiscali, di agevolazioni e finanziamenti a qualche categoria di imprese, di sussidi e crediti di imposta per individui e famiglie, di bonus fiscali per acquisto di beni specifici o per ristrutturare, rottamazioni di ogni tipo, e tanto altro ancora.[3] In definitiva, gli Stati aumentano lo stock del loro debito nel tentativo di rianimare l’economia, che si traduce in una alchimia di centinaia di interventi per sostenere il livello di consumi. A fronte di uno shock finanziario globale, inedito sia nella dimensione che nelle cause, vi è stata una reazione delle Istituzioni Internazionali e degli Stati costituita da innovativi strumenti di politica monetaria e fiscali (si pensi al bazooka della BCE, l’introduzione dei super ammortamenti e di aliquote fiscali agevolate per i redditi da lavoro autonomo …), da massicci interventi pubblici e privati sulla chimerica “Industria 4.0”, ma il sistema economico in generale funziona sempre allo stesso modo, riproponendo senza sosta le debolezze e le problematiche degli ultimi trent’anni. In pratica, nella finanza, in campo fiscale, nel mercato del lavoro, nei servizi pubblici, vi sono state riforme su tutto e moltissimo è cambiato dal 2008, ma delle incertezze e problematiche quotidiane delle persone, tutto è rimasto come prima.[4]

Il periodo metà 2018 – 2020 è stato caratterizzato da una serie di eventi di vasta portata e preoccupazione, che molti tra studiosi di scienze sociali, politici ed intellettuali indicano come diretta conseguenza di un sistema economico globalizzato fuori controllo e di una finanza ormai dominante sulla politica che, insieme, stanno sfruttando le risorse del pianeta oltre ogni limite sostenibile a favore dell’accumulo di ricchezza e benessere di una ristretta minoranza della popolazione, lasciando le briciole giuste per una opaca ed illusa esistenza alla rimanente stragrande maggioranza. Gli esempi a cui tutti possiamo riportare la memoria sono tanti: l’acuirsi della guerra commerciale tra USA, Cina e UE; la crescita significativa di assolutismi ideologici, con pericolosi rigurgiti di politiche nazional-populiste; l’aumento delle pressioni migratorie ai confini delle aree più ricche; il conclamarsi di interessi inconciliabili che contrappongono una sempre più diffusa coscienza ecologica ed ambientale a stili di vita ed esigenze economiche bramosi di continua crescita; il diffondersi di tecnologie che espellono migliaia di lavoratori dal mercato ed a cui la politica non sa dare (o non vuole dare, ancora non è chiaro il punto) un indirizzo strategico; Stati alle prese con crescenti debiti e disuguaglianze di ogni tipo; crisi demografiche in numerosi Paesi Occidentali; epidemie virali che si verificano con periodicità sempre più frequente (tre epidemie negli ultimi quindici anni, di cui l’ultima tuttora in corso), e ancora molti altri casi di deterioramento delle condizioni di normale convivenza in vastissime aree del globo. Tutte crisi alle quali la risposta è stata sempre e solo una: “è necessario aumentare il Pil”. Una Omologazione economica e di pensiero che incanala, forza le esigenze umane nella forra creatasi tra la fede nel consumismo sempre più accelerato e la bramosia di ricchezza e potere; una fiumana di popolo che corre furiosa, travolgendo ogni ostacolo (diritti umani, diritti dei lavoratori, esigenze familiari, tutele ambientali e sanitari, persone deboli o indebolite …) verso l’agognato aumento del Pil.

Improvvisamente il Covid 19 ha interrotto questo flusso di atomi omologati, deviandolo verso territori lontani dal “Regno del Pil”. Ed è quanto e successo e continua in questi giorni: un evento imprevisto ha inceppato il meccanismo, accomunando gli Stati in una crisi sistemica mondiale. Come allora, monta la paura diffusa di veder ridurre ricchezza e consumi. Come dodici anni fa, le soluzioni proposte e gli strumenti di intervento sono l’immissione di liquidità, sussidi al reddito per sostenere i consumi, investire in tecnologia. Un pensiero politico, economico e sociale omologato su un modello di sviluppo consolidatosi negli ultimi quarant’anni e per questo tempo immutato negli obiettivi e nei meccanismi di funzionamento.

Eppure nei dodici anni trascorsi dall’inizio della crisi finanziaria il mondo accademico, i vari think tank governativi ed i servizi di intelligence avevano prodotto relazioni e studi sulla necessità di impostare un nuovo sistema sociale, non più basato solo su parametri finanziari, proprio per evitare di ripercorrere lo stesso calvario del dopo 2008. In particolare i Premio Nobel per l’Economia del 2018 (William Nordhaus e Paul Romer) e del 2019 (Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer) hanno aperto la strada ad un nuovo metodo di ricerca economica finalizzata al contrasto della povertà nel mondo, basato non più su una Omologazione mondiale dei comportamenti e delle politiche economiche, bensì sulla valorizzazione delle condizioni di partenza degli individui, salvaguardando il contesto culturale e valoriale di provenienza, e raccordando lo sviluppo economico alle limitate risorse ambientali.[5]

Forse la frase “dopo il Covid 19 nulla sarà come prima” sottintende proprio un diverso approccio politico allo sviluppo economico del mondo del post pandemia, con interventi di finanza pubblica mirati a valorizzare le caratteristiche sociali e culturali delle singole comunità, tenendo in debita considerazione il contesto in cui vivono e rispettandone lo stile di vita, le tradizioni e le convenzioni, esaltando ciò che caratterizza quella popolazione e preservandone l’habitat. In termini pratici, questo momento storico potrebbe essere l’occasione unica per cambiare i paradigmi del sistema economico mondiale, programmando una lenta e graduale transizione dall’Omologazione economico sociale ad una rivalutazione delle peculiarità locali. Un nuovo modello economico con l’obiettivo di creare ricchezza in un luogo ed ivi redistribuirla, contrastando la strategia della specializzazione produttiva, ( si vedano gli articoli http://www.omeganews.info/?p=4232 e http://www.omeganews.info/?p=4273), causa primaria di grave alterazione ambientale e di dipendenza di intere regioni e comunità da una sola principale produzione, assoggettandole a chi possiede e domina tale mercato. Certo potrebbe ridursi l’efficienza produttiva a causa di un ridimensionamento delle imprese, ma vi sarebbe la compensazione di un maggior numero di persone che, nel proprio territorio, incontrerebbero minori barriere ad intraprendere nuove attività. Limitare la tendenza alla specializzazione produttiva per territorio significherebbe porre un rimedio al problema del gigantismo economico e finanziario, e metter in grado gli Stati di controllare i livelli di concentrazione di potere nelle mani di pochi signori dei mercati regionali (a volte anche mondiali), favorendo la crescita e lo sviluppo di attività, soprattutto artigiane. Nel medio periodo si assisterebbe al rafforzamento della domanda interna, regionale e nazionale, valorizzando gli scambi internazionali in funzione del compito di provvedere a ciò che localmente non è possibile produrre, o produrre in quantità sufficienti.

Una visione strategica del futuro senza alcuna possibilità di realizzazione, stando al concionare della faccia pubblica dell’Omologazione (imbonitori di popoli, amministratori delegati di gruppi bancari e industriali, tecnici e comunicatori votati alla causa dell’opportunismo carrieristico ed orfani della buonafede, ed altri simili istrioni) ed a cui si accoda un imbarazzante ciangottio della politica. Le ricerche ed i meritevoli studi premiati con il Nobel (… e forse proprio per aver meritato questo massimo riconoscimento) rimarranno giusto annotati nelle pagine di testi destinati ad ingiallire nell’oblio generale.

Eppure questi mesi di quarantena mondiale hanno mostrato al mondo l’esiziale risultato del concentrare in poche aree la produzione di materie prime, beni e prodotti strategici; ne sono un esempio l’acciaio, le mascherine chirurgiche, alcuni alimenti, diverse componenti elettronici, a seguito del blocco delle loro esportazioni fonti di speculazioni a livello mondiale. Nonostante l’esperienza appena vissuta, le querule voci degli autorevoli profeti che si alternano nei vari dibattiti televisivi pongono l’accento sulla necessità di imponenti interventi pubblici (degli Stati, delle banche centrali, di tutte le istituzioni finanziarie ed economiche sovranazionali) tesi a riversare liquidità illimitata alle imprese, a ridurre l’imposizione fiscale, a corrispondere indennità ai lavoratori affinché mantengano i livelli di consumo. Le imprese premono sui governi per poter riprendere quanto prima le attività perché, sottolineano esse con toni gravi, l’export rischia di perdere quote di mercato. Il sistema economico sta rinnovando le medesime richieste avanzate durante la crisi del 2008, e la politica risponde con gli stessi provvedimenti urgenti di sussidio generale, senza lasciar trapelare alcun indizio che faccia sperare in una nuova visione strategica del futuro.

Quel “nulla sarà come prima” comincia ad avere un senso: assomiglia a quanto esclamato da un nobile signore circa 160 anni fa … E tanto datati sono i rimedi reclamati dagli operatori economici che un po’ stridono con le rivoluzioni preannunciate in queste settimane. Le nostre vite cambieranno: lo smart working consentirà nuovi ritmi di vita, utilizzeremo maggiormente i servizi di acquisto on line, tanti studenti seguiranno le lezioni sui propri computer a casa, per diversi mesi manterremo le distanze tra noi ovunque, ed altre nuove situazioni riguardanti i comportamenti individuali. Altre predizioni ci avvisano di scenari economici in accelerato cambiamento, dal reshoring (il rimpatrio di attività delocalizzate) ai salti tecnologici (con l’uso massiccio di robot ed intelligenza artificiale), da nuove modalità di trasporto (dovuti al fatto che molti operatori aerei, marittimi e terrestri cesseranno di operare) al ripensamento degli spazi di lavoro (lo smart working consentirà di ridurre lo spazio ed i costi degli uffici), dal processo di concentrazione delle attività (tante piccole imprese non supereranno la crisi, cedendo quote di mercato ai grandi operatori) ad un mercato del lavoro sempre più sotto pressione (saranno richieste nuove competenze, con graduale espulsione di lavoratori non aggiornati, quindi elevata disoccupazione), dal crollo dei consumi al crescere della competizione globale.

L’unica previsione degli illustri esperti che non appare una profezia, perché è già una realtà, riguarda il debito degli Stati, in enorme crescita verso livelli già per numerosi Paesi insostenibili.

Il dibattito televisivo sta volgendo al termine e mi rendo conto che questo tratteggio dello scenario futuro non mi stupisce, e soprattutto la frase “tutto cambierà” non mi impressiona, perchè in effetti non vi è nulla di nuovo, se non l’accorciamento del periodo in cui si svilupperanno questi fenomeni. Infatti ognuno degli argomenti sopra elencati sono tendenze socio-economiche in atto da anni: i mercati erano già in forte tensione a causa della saturazione dei consumi e della progressiva erosione dei profitti in tutti i settori.

Dunque: come cambierà tutto se i problemi ante pandemia saranno gli stessi del dopo Covid 19? Chiaramente si tratta di una domanda retorica: vedremo una riorganizzazione della nostra vita in funzione delle nuove tecnologie e delle emergenti modalità di lavoro, di studio e di socialità, che si dovranno comunque rapportare agli stessi, ormai consueti problemi socio-economici della civiltà dell’Omologazione. Il profeta del tutto cambierà non è altro che il contemporaneo Principe di Salina, allorquando 160 anni fa, avvenuto lo sbarco dei garibaldini a Marsala, avvalorava e faceva suo l’ammonimento del nipote Tancredi in procinto di arruolarsi nelle fila dei Piemontesi: “Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la Repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato?”.[6]

Angelo De Giuli


[1] Questa analisi di Credit Swuiss Bank offre un’idea di come la nuova ricchezza creata dopo la crisi finanziaria del 2008 si sia concentrata in certe aree del mondo e la relativa distribuzione: https://www.repubblica.it/economia/finanza/2017/11/14/news/milionari_ricchezza_credit_suisse-181091707/

[2] Per comprendere i meccanismi che hanno consentito la crescita alla finanza con l’attrazione della maggior parte della liquidità creata dalle Banche Centrati, è necessario definire i meccanismi alla base del funzionamento bancario e di come si crea la liquidità in eccesso; l’articolo della BCE ne offre un chiaro modello: https://www.ecb.europa.eu/explainers/tell-me-more/html/excess_liquidity.it.html   

Con questo articolo, invece, è possibile avere un’idea di quanto sia stato importante l’intervento delle Istituzioni statali e sovranazionali per contrastare gli effetti distruttivi della crisi del 2008: https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08/07/crisi-dieci-anni-fa-il-tracollo-dei-mutui-subprime-cosi-inizio-lo-tsunami-finanziario-che-ha-travolto-anche-gli-stati/3780585/  

Il seguente articolo è quello che a mio avviso meglio rende comprensibile quanto avvenuto nel decennio 2008 – 2019, quali siano stati i risultati degli enormi sforzi finanziari pubblici (statali ed internazionali), nonché quali siano i nuovi rischi derivanti dalla gestione a posteriori della crisistessa:https://it.businessinsider.com/amundi-e-deutsche-bank-denunciano-lillusione-della-liquidita-con-le-banche-che-hanno-scaricato-il-rischio-sui-fondi-comuni/

[3] Sull’impegno richiesto alle finanze statali molto influisce l’aspettativa della cittadinanza di veder perpetuato, se non costantemente migliorato, il suo tenore di vita, indipendentemente dai contesti storico economici contingenti o strutturali che siano. Abbiamo trattato le dinamiche e gli effetti di questa attitudine generalizzata nell’articolo http://www.omeganews.info/?p=4313

[4] Un esempio di come la classe dirigente abbia contezza dei problemi enormi che si profilano all’orizzonte e dell’inefficacia sopravvenuta degli strumenti tradizionali di intervento, ma ugualmente cercano di autoconvincersi che, insistendo nell’ortodossia economica, le “nubi in avvicinamento da plumbee possano trasformarsi in rosee”: https://www.bergamonews.it/2020/02/06/rapporto-einaudi-lincertezza-domina-nel-mondo-in-europa-e-in-italia/352193/

[5] Per una sintesi dei principi teorici alla base delle ricerche condotte dai Nobel per l’Economia del 2018 e 2019, si propongono i seguenti due articoli.

[6] Da “Il Gattopardo”, 1957, Tomasi di Lampedusa.