Lorenzo Vita ci spiega l’onda turca e il suo significato nel Mediterraneo allargato

di Mario Boffo

Dopotutto nel Mediterraneo ci sono due grandi penisole protese nelle acque più tormentate della Storia: Italia e Turchia; con i Balcani e la Grecia in mezzo e con la linea dei paesi che vanno dal Marocco al Libano e a Israele di fronte. Due grandi penisole in uno scenario estremamente complesso, che hanno sempre dovuto tenersi reciprocamente in conto, nella pace e nella guerra, nei commerci e nella proiezione economica e di potenza. Così è stato ai tempi dell’Impero Ottomano, quando Venezia e Istanbul si contendevano isole e spazi marittimi, si affrontavano ferocemente a Lepanto, ma subito dopo riprendevano le relazioni commerciali; così è oggi, quando i due Paesi si confrontano in Libia e sui giacimenti di gas nelle acque di Cipro e sulle delimitazioni delle zone economiche esclusive, senza escludere la possibilità di atteggiamenti collaborativi e mantenendo sostanzialmente un buon rapporto bilaterale. Storia, geografia e geopolitica, nel bene e nel male, e nell’alternarsi dei rapporti di potenza e delle altrui influenze, costringono Italia e Turchia a guardarsi l’un l’altra, perché nonostante gli attriti, e tenuto conto realisticamente dei vari momenti geopolitici, possono trarre reciproco beneficio dalla mutua interazione.

È una delle conclusioni dell’eccellente libro di Lorenzo Vita, L’onda turca. Il risveglio di Ankara nel Mediterraneo allargato (Historica/Giubilei Regnani, 2021). Già, nel Mediterraneo allargato. Perché, a differenza dei secoli passati, oggi il Mediterraneo geopolitico va dal Golfo di Guinea al Golfo Persico, e contiene aree come il Sahel, la Penisola Arabica, lo Yemen in guerra, il Mar Rosso con gli stretti di Suez e di Bab el Mandeb, e il Corno d’Africa; oltre, naturalmente, alle incandescenti sponde libiche, algerine, tunisine, egiziane. Un’amplissima regione che sfiora l’Iran e che non è lontana dall’Afghanistan e dai Paesi dell’Asia Centrale.

Il libro di Lorenzo Vita non si limita a illustrare brillantemente le complesse interrelazioni emerse nel Mediterraneo allargato negli ultimi anni; l’opera ne spiega anche le ragioni, e delinea chiaramente le prospettive proprie ai vari attori che vi si sono affacciati, come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar, la Russia, la Cina; nonché quelle proprie ai Paesi che se ne sono allontanati, come gli Stati Uniti, o che se ne tengono distanti, come in genere i membri nordici dell’Unione Europea, e quelle delle potenze regionali che, anche con l’aiuto degli attori esterni, si stanno rafforzando.

Il punto di partenza è la prospettiva di Ankara; grazie a quest’espediente, di per sé molto interessante, Vita ci racconta quello che sta avvenendo all’interno e all’esterno del Mare (ex) nostrum. Con brevi ma incisivi tratti, leggeremo quindi di come la Turchia stia procedendo a cercare nel mare uno spazio vitale che dopotutto è speculare alla propria proiezione strategica perseguita verso i paesi turcofoni dell’Asia centrale. Se infatti la teoria della “Patria Blu” (Mavi Vatan), preconizzata dall’Ammiraglio Cem Gürdeniz, è oggi sulla cresta dell’onda, anche in ragione dei giacimenti di gas che si vanno scoprendo nel Mediterraneo orientale e dei relativi progetti di gasdotti, essa è perfettamente coerente al desiderio di espansione di influenza di Ankara che ispirò la teoria della “profondità strategica”, vaticinata anni fa da Ahmet Davutoğlu: entrambe le visioni nascono dal desiderio turco di riprendere autonomia e ruolo di potenza regionale; se la “profondità strategica” era orientata verso la terra, Mavi Vatan è orientata verso il mare: il mare senza il cui controllo la Turchia resterebbe schiacciata senza possibilità di proiezione fra il retroterra turcomanno e l’immensa rete di isole greche che quasi ne lambiscono le coste e le relative zone marittime a lei negate.

Costretta dall’indifferenza europea, dal ritiro americano, dalla liquefazione della NATO, a guardare e a badare a se stessa, Ankara intende fare da sé; pur senza negare l’appartenenza all’Alleanza Atlantica, le pur sopite aspirazioni europee, e nella convinzione che America e NATO, nonostante gli attriti dovuti ai movimenti autonomi della Turchia, agli acquisti di armamenti russi, agli intensificati attriti con la Grecia, non potranno fare a meno dell’antico “bastione” orientale, ora volto non più verso l’Unione sovietica, ma verso aree di grande sensibilità, come l’Asia centrale, l’Afghanistan, l’Iran, il Pakistan, la Russia, la Cina.

Ankara è naturalmente conscia che per essere potenza regionale mediterranea è oggi necessario essere presenti non solo all’interno della regione (Libia, Balcani, Algeria, Cipro, Albania), ma anche nelle aree esterne. Ecco, quindi, le basi militari e il posizionamento economico e strategico nel Corno d’Africa e in Qatar, l’attivismo nello Yemen, la proiezione nel Mar Nero, la base aperta a Suakin, in Sudan.

Nella vulgata popolare l’attuale politica internazionale della Turchia viene descritta come tentativo di ripercorrere le glorie dell’Impero Ottomano. Indubbiamente un’ispirazione in tal senso esiste, ed è un eccellente tema propagandistico in grado di accendere l’amor proprio nazionale dei turchi. Puntare su territori già appartenuti a quell’Impero, del resto, dove la Turchia ha indubbiamente lasciato se non altro un’eredità di memorie, è la soluzione più agevole e più foriera di opportunità per Ankara. 

Tuttavia, l’energia geopolitica della Turchia si esprime su temi e aree di grande e attuale concretezza, sui quali cerca di affermare un anelito di politica e di proiezione che ha sempre posseduto in passato e che non ha mai perso, nonostante le ripercussioni dello smantellamento dell’Impero dopo la Grande Guerra e la parentesi della Guerra Fredda. Quest’energia – insieme a qualche comprensibile, benché problematica, rivendicazione sulle acque prospicienti alla Penisola Anatolica, che Ankara ritiene impropriamente “occupate” dalle isole greche – contribuisce a caratterizzare l’attuale momento geopolitico del Mediterraneo allargato, e interpella forse soprattutto l’Italia e la sua politica mediterranea.

Perché, come detto in apertura, nel Mediterraneo ci sono due grandi penisole…

Resta il fascino insopprimibile della forza della Storia; che, se non proprio costringe, certamente induce le potenze grandi e piccole a ripercorre i rispettivi antichi sentieri di gloria. Nel Secolo favoloso, Suleyman I, il Magnifico, e il figlio Selim II, ambirono al Mediterraneo e all’Europa, fonti di ricchezza e di potenza; solcarono il mare, sede di traffici e di commerci; conquistarono Cipro, articolazione strategica nella visione di Istanbul. Nei nostri tormentati tempi, Recep Tayyip Erdoğan (e con lui una parte significativa del paese profondo), ambisce al Mediterraneo e a parte dell’Europa (i Balcani), dove passeranno le reti logistiche e portuali del prossimo futuro; solca i mari, ora ricchi di giacimenti di idrocarburi; mantiene ostinatamente il controllo di una metà di Cipro, che Ankara continua considerare strategica nelle proprie visioni geopolitiche.

Anche sotto questo profilo, il libro di Lorenzo Vita fornisce una sintetica ma efficace spiegazione; nella consapevolezza che, sovvertendo parzialmente il postulato di Lavoisier, nella Storia tutto si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.

Mario Boffo