“Deserto Bianco”, di Gian Stefano Spoto

Incontri letterari di OMeGA

Recensione di Lavinio Gualdesi

 

 

Il quotidiano rituale prevede che dopo l’annuncio: “dal nostro Corrispondente da Gerusalemme…..” ci sia una serie di enunciazioni di fatti scelti tra i più significativi ed eclatanti, magari accompagnati da immagini di un operatore che cerca di cogliere quello che più catturi l’attenzione degli ascoltatori.

Questo tributo da pagare alle leggi sull’informazione rende normalmente un servizio professionalmente corretto agli spettatori, ma, dovendo riferire gli aspetti salienti di una situazione spesso drammatica, si finisce per dover privilegiare immagini e interviste molto calcate sull’evento. Ciò non rende giustizia alla diuturna realtà locale. Occorre avere la capacità di porsi su un punto di osservazione più elevato per evitare di perdere di vista il quadro generale. Da quel punto di vista infatti la focalizzazione sul fatterello quotidiano cambia di significato perché si inquadra nel suo vero contesto. Così la penna sempre attenta ed acuta di GianStefano Spoto dà voce a personaggi che, attraverso la sua accurata ed emblematica selezione, ricompongono il mosaico di quello che veramente stanno vivendo. Tutti i giorni. E lui con loro. Prontissimo a cogliere e ad esprimere col suo linguaggio spontaneo quella quotidianità che fa la storia di questo posto martoriato.

Se nevica nel deserto il saggio non grida allo scoop.

 

====================

 

LA VITA NONOSTANTE LA GUERRA

di Gian Stefano Spoto

 

Luglio 2014, guerra di Gaza, parto per Gerusalemme, la racconterò come (unico) corrispondente Rai.

Testate, reti, mi chiedono, logicamente, centinaia di servizi, speciali, dirette sulla guerra. E solo dopo la tregua (la parola pace non è mai stata pronunciata in passato e difficilmente lo sarà in futuro) tento di proporre servizi sulla vita in Israele, in Palestina, a Gaza.

Non cercai nulla, bastò un po’ di attenzione per collegare me e la mia eccellente redazione con tanta, inimmaginabile umanità.

Giravamo servizi di cronaca, poi, a camere spente, ci raccontavano storie straordinarie, per reti e testate. Ma le vicende erano tante, e mi appassionarono al punto di indurmi a scrivere un libro, approfondendo quello che lo spazio televisivo non poteva contenere. La vita fuori dagli schemi conosciuti, le paure, le piccole gioie, i problemi che appaiono insolubili, e soprattutto vicende sussurrate e soffocate da quelle urlate.

Il titolo, “Deserto Bianco”, è ispirato alla neve surreale che, in pochi mesi, ricoprì due volte Gerusalemme e parte della Palestina. Ma produsse effetti molto diversi, a seconda di dove cadeva. Bambini felici. increduli e giocosi nelle zone ricche, bambini morti di freddo dove mancava l’elettricità.

Deserto Bianco racconta una stupefacente quotidianità, la vita e le regole-non regole dentro un quadrante del mondo in cui spesso si danno per scontati concetti confusi.

Uno psicologo palestinese e una psicologa israeliana svolgevano lo stesso lavoro, cercavano di far tornare un minimo di pace nel cuore di chi aveva subito tragedie familiari in seguito alla guerra. Al palestinese, mentre lavorava, annunciarono la distruzione di tutta la sua famiglia rimasta sotto le macerie della casa bombardata.  E lui andò, assistette ai funerali e poi tornò a svolgere il proprio lavoro: sono convinto che la collega israeliana, se l’avesse conosciuto, gli sarebbe stata vicina. Ma c’era un muro, c’era una guerra.

Un avvocato di Gerusalemme, per il terrore degli attentati, iniziò a mandare su tre autobus diversi i tre figli che frequentavano la stessa scuola. E tanti lo imiteranno.

Una storia d’amore fra due ragazzi di famiglie palestinesi rivali, la vita nei kibbutz e nelle zone del Negev dove la gente trascorreva gran parte del tempo nei rifugi sotto terra. Mamme di soldati israeliani al fronte che vivevano giorno e notte su una poltrona circondate da televisori nel terrore di ricevere la notizia più tragica.

La morte e la vita, ma anche l’arte, la scienza che, durante le guerre, le sommosse, gli attentati, sembrano svilupparsi ancora di più che in tempo di pace.

Un terrorista si racconta alla mia telecamera come un servo di dio e della ragione, l’uomo più ricco di Palestina è un gentleman che ha ricostruito una villa palladiana in cui vive a pochi metri da Nablus, città spesso teatro di attentati e sommosse.

E ora che scoppia un’altra guerra, più cruenta, più terribile di quella che vissi nove anni fa, penso a quel papà che riuscì a salvare da un missile solo uno dei suoi figli, a un genietto che voleva far suonare insieme il mondo intero, alla donna che sconfisse i nazisti, alla violinista che suonava mentre la operavano alla testa, al bambino che non aveva nulla, ma mi offrì le sue noccioline.

E mi chiedo perché, parlando di loro, dovrei passare attraverso il filtro dell’etnia.

E non solo da quello dell’umanità.