De Defensione civili sive Estote Parati

di Giovanni Ferrari

In generale

La Difesa Civile è una materia che copre i più diversi aspetti. Gli scenari possibili afferiscono alla sicurezza dello Stato, spaziando dalla guerra dichiarata alla guerra ibrida[1], dagli attentati terroristici convenzionali a quelli non convenzionali, dagli attacchi cyber alle manipolazioni dell’informazione, da catastrofici eventi naturali a salti di specie di virus potenzialmente letali o al rilascio voluto di agenti patogeni nell’ambiente. Ognuno dei potenziali scenari di riferimento, pur avendo per competenza di materia specifiche amministrazioni che se ne occupano, ha la caratteristica di dover essere affrontato in modo multidisciplinare, avendo effetti su tutto l’insieme della vita sociale ed economica della Nazione. Se è la sicurezza dello Stato che è in discussione, la competenza è del sistema nazionale di Difesa Civile, composto dall’insieme del potere esecutivo del Paese e dagli Enti, anche privati, fornitori dei servizi essenziali.

La Difesa Civile e la Gestione Crisi

Non è la “Gestione della Crisi”, intesa come materia, o il “gestire una crisi”, inteso come azione, che deve guidare  le logiche intrinseche del sistema Difesa Civile, bensì la preparazione all’eventuale sviluppo di una crisi, qualunque essa sia, e le capacità della Nazione di risollevarsi e tornare, per quanto possibile, a condizioni di vita accettabili.

Parlare di “gestione della crisi” è fuorviante se non inutile. Anzitutto sarebbe necessario rendersi conto si essere in una crisi, e ciò non sempre è cosa immediata. Non rendendoci conto di essere in una crisi si utilizzano da subito i metodi noti, creati per situazioni emergenziali ma fallimentari in situazione di crisi. Quando sappiamo cosa fare, come farlo e quando farlo semplicemente non siamo in crisi o non entriamo in crisi, si rimane in una situazione emergenziale, più o meno grave, ma non critica.

E’ per questo motivo che il cuore dell’attività di Difesa Civile non è costituito dall’intervento per la “gestione” bensì dalla preparazione, dall’analisi delle capacità e delle incapacità, dallo studio delle possibilità, dal miglioramento del livello di preparazione dei decisori, e dall’adeguamento dell’addestramento e dei mezzi degli operatori.

Gli “eventi” che ci conducono in una crisi, che siano già crisi da subito o che, per errori vari, si traducano in una crisi, si gestiscono con i mezzi e i metodi cui le Forze sono addestrate, si usano le risorse a disposizione. Quando necessario si modifica sul momento la procedura o il metodo di intervento, si cambiano le logiche, ci si adatta alla situazione, si rischiano nuove vie per evitare il disastro certo, e se ne pagano le eventuali conseguenze: tristezze e allori sono nello stesso cesto alla fine della corsa.

Preparazione

Le attività di “preparazione” sono competenza di tutte le Amministrazioni dello Stato, secondo le attribuzioni di legge e il dettato costituzionale. Il coordinamento delle attività della Difesa Civile italiana è incardinato nel Ministero dell’Interno, nel Dipartimento dei Vigili del fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile. 

Pur rimanendo fortemente connessa con la Difesa Militare (cooperazione Civile-Militare), costituendo insieme ad essa la Difesa della Nazione, la moderna Difesa Civile, sviluppatasi con i cambiamenti dell’Alleanza Atlantica a partire dalla fine della “Guerra Fredda”, non ha più al centro della sua attenzione la capacità delle organizzazioni civili, economiche o politiche o sociali che siano, di resistere a gravi eventi avversi, bensì cura la resilienza dell’intera struttura sociale, cioè della sua capacità di ritornare, per quanto attuabile, una volta colpita, allo status quo ante o, molto meglio, utilizzare le lezioni apprese dalla crisi per migliorare organizzazioni, leggi, procedure operative, dotazioni, competenze.

Se il massimo evento possibile è ancora lo stato di guerra, non esiste una situazione minima dalla quale parta l’attenzione degli Uffici che si occupano della materia. Il lavoro è finalizzato a predisporre la Nazione a proteggersi attraverso l’attenzione posta al funzionamento garantito della macchina statale e dei servizi essenziali, nonché mediante la protezione della macchina produttiva e l’incolumità del soccorso tecnico urgente (Vigili del fuoco, Salute, Forze dell’ordine). I campi di azione sono estremamente differenziati, tant’è che da tempo, in ambito NATO, pur permanendo il concetto di Difesa Civile, per le attività concrete si preferisce parlare di attività di “Civil Prepardness” (preparazione Civile)[2], costituite essenzialmente da studio e pianificazione del “possibile” più che del “probabile”.

 E’ difficile posizionare una soglia che divida in modo chiaro e inequivocabile le attività di Difesa Civile da quelle di Protezione Civile, essenzialmente perché non esiste alcuna soglia, non esiste alcuna dicotomia funzionale tra Difesa Civile e Protezione Civile: sono materie totalmente diverse tra loro. In ambito NATO si preferisce parlare di Piani Civili di Emergenza, ritenendo che una pianificazione utilizzabile per una eventuale crisi sia perfettamente in grado di supportare una situazione di emergenza. Deve essere però chiaro che pianificare per il “possibile” è assolutamente diverso dallo stilare procedure operative, che si basano invece sulla concretezza delle cose note, il “probabile”. Non tener conto di tale diversità produce gravi fraintendimenti e pesanti ritardi di preparazione (COVID docet) nelle realtà di Paesi, come l’Italia, dove le due materie sono appannaggio di Uffici diversi, con normative di riferimento proprie.

Nello schema che segue si sintetizzano le differenze tra le due materie:

Difesa CivileSistema protetto e centralizzatoLegislazione esclusiva dello StatoSi occupa della “Safety” e della “Security” della Nazione e della sopravvivenza delle Istituzioni Democratiche. Comprende tutte le situazioni di crisi o potenziale crisi.
Protezione CivileSistema aperto e decentralizzatoLegislazione concorrente Stato-RegioniSi occupa della salvaguardia e dell’assistenza della popolazione, del Soccorso Tecnico e della protezione e recupero delle proprietà in seguito a disastri naturali o antropici.

Nelle sue attività di analisi e preparazione par la crisi, la Difesa Civile ha piena consapevolezza che una crisi va governata con gli strumenti che si hanno a disposizione al momento del suo manifestarsi, e che gli eventi che comporta potrebbero configurarsi in modo assolutamente nuovo e unico,  senza che vi siano, di conseguenza, parametri cui riferirsi per la sua certa soluzione. Ed è per questo che nodi centrali nella “prepardness” di Difesa Civile sono la preparazione e l’addestramento delle capacità decisionali dell’alta catena di comando e controllo e lo studio di pianificazioni aperte ed estremamente flessibili, applicabili sempre, per qualunque evento che possa potenzialmente produrre una crisi.

La minaccia

In quest’ottica, se il massimo evento possibile per il quale la Difesa Civile deve preparare la parte civile del Paese, coordinandosi con parte militare, è la guerra o la minaccia di guerra, è rilevante evidenziare che nei tempi correnti per guerra non si intende necessariamente quella nota a tutti, con le forze armate schierate e in combattimento. 

Anche in tempo di pace, mezzi altamente sofisticati e tecnologici possono essere utilizzati per colpire aspetti cruciali del Sistema Paese, quali le elezioni politiche, la diffusione delle informazioni, il sistema creditizio, il sistema sanitario/ospedaliero, la distribuzione dell’energia, i rifornimenti dalle fonti energetiche, le linee di comunicazione, le reti informatiche e i sistemi di trasporto. Tale metodologia di aggressione si chiama Guerra Ibrida o Minaccia Ibrida, e usa estensivamente la globalizzazione dell’economia e delle interconnessioni del web, colpendo con intelligenza ed efficacia, in modo che il bersaglio si renda conto con ritardo, o anche mai, di essere sotto attacco. Anche se ancora non ricollegabili a volute interferenze di terze parti, le numerosissime “fake news” e la martellante disinformazione verificatasi durante la pandemia COVID 19 sono un buon esempio di applicazione di metodologie di guerra ibrida. 

 Ciò porta alla conseguenza che non solo atti propri della guerra, ibrida o meno, possono condurre l’intero sistema alla crisi, ma anche eventi naturali possono avere lo stesso effetto o essere utilizzati per ottenere lo stesso effetto. Al riguardo, si consideri quanto avvenuto con la diffusione del COVID 19 sul sistema economico e produttivo internazionale, sui trasporti, sui sistemi sanitari; e il COVID non è una malattia particolarmente aggressiva, immaginiamo cosa sarebbe accaduto con una febbre emorragica o un’influenza di tipo aviario o, addirittura, possibile ma non probabile, con un virus del vaiolo mutuato dalle scimmie o dai cammelli (solo il ceppo umano variola major è stato dichiarato estinto) o, ancora peggio, con un rilascio voluto del ceppo umano: il virus è estinto in natura (speriamo) ma ne esistono numerosi campioni, in diversi laboratori militari e non, in giro per il mondo. 

Le situazioni di difficoltà dovute a fatti naturali possono anche essere sfruttate da potenze straniere non amiche per colpire efficacemente, o tentare di colpire, la Nazione. La Difesa Civile, quindi, con la sua preparazione civile, non è solo terrorismo o NBCR o guerra. La materia comprende tutte le situazioni di crisi che mettono a rischio lo Stato, anche solo potenzialmente. Le armi per poter gestire una crisi, provocata da azioni ibride o da eventi naturali, sono lo studio, la pianificazione e le esercitazioni che, nel loro insieme, si chiamano preparazione. Questo è il campo di azione della Difesa Civile.

Progettualità

La Difesa Civile italiana non fa intervento, deve fare in modo che, quando necessario, persone preparate, con meccanismi studiati, risorse sufficienti e corrette pianificazioni, siano presenti nei punti di comando e di coordinamento. Per garantire il risultato, sono necessarie le risorse e la capacità di usarle nel modo più utile alla Difesa del Paese. E’ anche necessario che il mondo civile, se colpito, abbia dei meccanismi di resilienza tali da poter riprendere il proprio funzionamento al meglio possibile nel minor tempo possibile. Le attività della Difesa Civile, sono indirizzate esattamente a questo: alle capacità di resilienza della Nazione.

L’assenza di una legislazione in materia di Difesa Civile e gestione crisi rende molto complicato il mantenimento di un livello di coordinamento della preparazione efficace. La materia, assegnata, come deve essere, a un Ministro, quello dell’Interno al momento, non trova il pieno riconoscimento delle sue logiche da parte delle Agenzie che si occuperebbero dell’applicazione pratica di quanto stabilito in pianificazione, e ciò anche all’interno della stessa Amministrazione competente.

Ad oggi, chi opera quale coordinatore quando si verifica un evento di tale gravità da avere bisogno di un coordinamento generale per essere affrontato, non è lo stesso organismo che produce pianificazioni di gestione crisi e provvede all’addestramento dell’alta catena di comando e controllo per prepararsi ad affrontare una crisi (qualunque essa sia). 

La struttura di gestione crisi come raccontata dal DPCM 5 maggio 2010, e successive modifiche e integrazioni, semplicemente non funziona. Mai il Nucleo Interministeriale Situazione e Pianificazione, previsto nel decreto quale massimo organo tecnico, si è riunito per coordinare interventi o risposte o predisposizioni comuni per affrontare le situazioni in corso. Da ultimi, il COVID e l’invasione dell’Ucraina ne sono la prova. Anche precedentemente, nessun raccordo è stato effettuato per Ebola, Golfo Persico, Afganistan. Del resto, lo stesso Comitato Politico Strategico (Capo del Governo, Ministri degli Esteri, dell’Interno, della Difesa, delle Finanze) non ha mai deciso alcunché o si è riunito tout court per la fase di gestione o di pianificazione (tranne una volta, ma non risultano agli atti conclusioni di sorta).

Il terzo pilastro dell’Organizzazione, la Commissione Interministeriale Tecnica per la Difesa Civile (CITDC), è l’unico che abbia prodotto risultati concreti. Il Piano NBCR, il Piano per il Trasporto in Alto Bio Contenimento, la collaborazione alla stesura del Piano Nazionale Scorta Antidoti (ora Piano Nazionale Scorta Antidoti e Farmaci), coordinata dal Ministero della Salute, le Pianificazioni per l’accordo internazionale sulla “Proliferation Security Initiative”, coordinata dal Ministero degli Esteri, i tavoli per la Resilienza Nazionale in ambito NATO, le analisi sulle Capacità Nazionali, sempre in ambito NATO. A queste attività, devono essere aggiunte le esercitazioni tenute per la catena decisionale effettuate nelle Prefetture che molto hanno contribuito a una nuova contezza sui reali limiti di preparazione dello Stato.

La CITDC, già prevista nell’originale Manuale Nazionale per la Gestione delle Crisi (1994), manualistica redatta ai tempi della “Guerra Fredda” per rispondere a improvvisi eventuali eventi bellici, è stata avocata a sé dal Ministro dell’Interno pro-tempore subito dopo gli eventi dell’undici settembre 2001, proprio per lo scopo di studiare le debolezze delle Amministrazioni di fronte alle minacce terroristiche e redigere il primo “Piano contro eventi terroristici con uso di armi di distruzione di massa”, redatto e emesso con DPCM nel dicembre del 2001.

La Commissione Interministeriale, presieduta dal Capo del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile, usualmente sostituito dal Direttore Centrale per la Difesa Civile e le Politiche di Protezione Civile, è composta da tutte le Amministrazioni dello Stato, tranne l’Intelligence, e dagli Enti fornitori di servizi. Partecipano, quindi, alla CITDC anche quelle Agenzie che in caso di eventi si occuperebbero della salvaguardia di persone e beni e del ripristino del territorio: il Dipartimento della Protezione Civile, in primis, ma anche il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, il Dipartimento di Pubblica Sicurezza, il Ministero della Salute partecipano a pieno titolo alla predisposizione di pianificazioni di gestione crisi e alle esercitazioni di crisi.

La CITDC, quindi, ha si operato, ma sempre e soltanto nell’ambito della preparazione, mai dell’intervento. In effetti, questa potrebbe essere una prima parte della risposta alla necessità di riorganizzare un mal funzionante sistema di gestione crisi/Difesa Civile:

  • Il coordinamento delle attività di preparazione civile generale (Civil Prepardness in linguaggio NATO) rimane al Ministro dell’Interno che continua ad avvalersi per tale compito della Commissione Interministeriale Tecnica per la Difesa Civile, cui partecipano tutte le Amministrazioni dello Stato, anche quelle che gestiscono il Soccorso Tecnico Urgente o il Coordinamento di soccorso per la popolazione, con compiti di sola pianificazione e addestramento dell’alta catena di Comando e Controllo.
  • Qualunque sia il tipo di evento che si è verificato, laddove serva un coordinamento generale e non semplicemente un Soccorso Tecnico Urgente, il coordinamento delle attività di intervento in soccorso e sostegno alla popolazione e il ripristino del territorio è affidata al Dipartimento della Protezione Civile, che curerà anche i piani operativi e l’addestramento congiunto sul terreno.

La seconda parte della risposta, dovrebbe essere costituita dal riordino della Difesa Civile nell’ambito del Ministero dell’Interno, con un Ufficio alle dirette dipendenze del Ministro, con a capo un Prefetto della Repubblica che risponda direttamente al Ministro, eliminando l’attuale Direzione Centrale, erroneamente lasciata ai tempi della riforma del Ministero nel Dipartimento dei Vigili del fuoco, unica Direzione Centrale non servente le attività del Corpo Nazionale ma fortemente condizionata dal “peso” e dalla conseguente influenza che il Corpo Nazionale esercita in seno all’Amministrazione dell’Interno.

E’ comunque necessaria la stesura di una legislazione di gestione delle crisi (magari sul modello del titolo IX Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, dove siano indicati, finalmente, i compiti della Difesa Civile Nazionale e la sua Organizzazione, con l’Autorità Nazionale di Difesa Civile chiaramente indicata.

Infine, per quanto attiene al Sistema Nazionale di gestione delle crisi, il DPCM 5 maggio 2010 dovrebbe essere riscritto da capo, modificando anche il titolo in: “Sistema Nazionale per la Preparazione e la Resilienza”, sul modello di quanto sta accadendo in NATO.

Non si parli più di Comitato Politico Strategico, esiste un Governo della Nazione è lì che si prendono le decisioni e si firmano i Decreti. 

Il Nucleo Interministeriale Situazione e Pianificazione (avesse mai pianificato qualcosa o analizzato una qualunque situazione o partecipato anche a una sola esercitazione di gestione crisi) deve rimanere nella sua organizzazione di persone: i Capi degli Uffici competenti per le materie, che possono così scambiare le necessarie informazioni, porre sul tappeto i problemi tecnico-politici da risolvere, decidere tempi e modi.

La Commissione Interministeriale Tecnica per la Difesa Civile continui il suo lavoro di supporto all’Autorità Nazionale di Difesa Civile elaborando le pianificazioni, raccordando le decisioni tecniche, studiando nuove possibilità e dirigendo le simulazioni di Gestione delle Crisi.

Conclusioni

Per quanto attiene alla gestione della crisi, è opportuno abbandonare il luogo comune che chi ha i compiti di coordinamento della preparazione ha anche i successivi compiti di coordinamento degli interventi. Le due cose devono essere tenute separate. La policy dell’organizzazione statale e della cura di tutti gli aspetti di sicurezza dello Stato comporta un’attenzione continua e una continua verifica e necessita per tale motivo di una struttura ad hoc. La separazione tra i due aspetti è anche dimostrata dagli ultimi accadimenti (SARS-COV 2, Ucraina), con il coordinamento degli interventi assegnato al Dipartimento della Protezione Civile e a Commissari ad acta anziché al Sistema Nazionale di Gestione Crisi o alle Amministrazioni competenti per materia (Ministero della Salute, Ministero dell’Interno).

Giovanni Ferrari

Marzo 2022


[1] La minaccia ibrida, o guerra ibrida, è una strategia offensiva che impiega molti degli atti propri della guerra convenzionale, ma non le forze schierate in un conflitto dinamico tradizionale. Sua caratteristica peculiare è l’impossibilità di riferirsi a un avversario preciso o perché non noto, o perché non abbiamo prove sufficienti, o perché è meglio far finta di non averle.

                   La guerra politica, la guerra irregolare (terrorismo, anche biologico, e sabotaggio) e la guerra cibernetica sono fusi con altri metodi efficaci, come la diffusione di notizie false o artatamente modificate, la diplomazia avversa, l’azione su gruppi politici per attuare modifiche legislative, la corruzione, l’intervento, attraverso la comunicazione, sul processo elettorale.

                  Combinando operazioni cinetiche con sforzi sovversivi, l’aggressore intende compromettere la stabilità di uno Stato evitando l’attribuzione e l’eventuale conseguente reazione bellica. La guerra ibrida ben descrive le dinamiche flessibili e complesse del moderno spazio di battaglia che richiedono una risposta altamente adattabile in quanto l’iniziativa è in possesso dell’avversario e le nostre azioni di risposta sono limitate o in ritardo. 

[2] La preparazione civile è un pilastro centrale della resilienza dei paesi alleati e un fattore critico per la difesa collettiva dell’Alleanza Atlantica. Senza una preparazione civile efficace, le forze della NATO non possono dispiegarsi rapidamente sul territorio dell’Alleanza o sostenersi nel tempo; la continuità dell’azione del governo e la continuità dei servizi essenziali nelle nazioni alleate possono essere messe a rischio. La popolazione civile diventa un facile bersaglio per operazioni di informazione e ricatto politico. Nelle crisi, la NATO può richiedere alle autorità nazionali di attuare misure per accedere e/o proteggere la popolazione civile, le risorse civili e le infrastrutture.  

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