IL SISTEMA SANITARIO – UN NUOVO ASSETTO

di Giovanni Ferrari e Sergio Pintaudi

È passato poco più di un anno, se non un anno e mezzo, da quando il virus SARS-CoV-2 ha iniziato a imperversare. 

Molti colpiti, molti morti, molti danni al sistema economico e produttivo e alla stabilità di un sistema globale quale quello cui apparteniamo, volendo esserci o lottando per cambiarlo; comunque, al momento, unico punto di riferimento per il mantenimento della nostra organizzazione sociale.

Nel dicembre 1969, l’allora capo della sanità statunitense, il Surgeon General W. H. Stewart, discutendo di antibiotici e vaccini, ovvero di due dei grandi presidi della medicina moderna e della salute globale, dichiarava improvvidamente che le malattie infettive erano debellate, suggerendo di iniziare il disinvestimento progressivo nel settore e di spostare le priorità dei sistemi sanitari verso la gestione delle patologie non trasmissibili, che rappresentavano il settore a maggiore impegno tecnologico ed economico. Questo avvenne in tutti i Paesi a sistema evoluto.

Da allora, per ben quattro volte, l’OMS ha dovuto dichiarare lo stato di Pandemia e per ben sei volte ha classificato come “emergenza di sanità pubblica internazionale” patologie emergenti quali la SARS, l’A/H1N1, Polio, Ebola, Ziga.

Che un SARS-CoV-2 sarebbe arrivato per molti di noi era un assunto assoluto, bisognava solo stabilire quandonon se sarebbe arrivato.

E proprio sulla scia del “quando arriverà” che si cominciarono a delineare le competenze di sporadiche realtà di addetti ai lavori che si cimentarono in quello che viene definito settore del biocontenimento.

Settore che, in buona sostanza, attraverso protocolli e linee guida di comportamento, ricerca di modalità operative consone all’isolamento dei patogeni rispetto al genere umano, si occupa in maniera trasversale della Gestione del Rischio Biologico.

Ma il “mondo civile”, a cui fa capo la sanità pubblica, rimaneva pressoché sordo al grido di allarme che si levava dagli addetti ai lavori e ai tentativi di riorganizzazione che questi cercavano di proporre. Chi poteva decidere era perlopiù scettico e non curante degli avvertimenti che costantemente i cosiddetti patogeni emergenti (o riemergenti)[1]davano, segnalando chiaramente la propria presenza proprio tra le popolazioni più sviluppate economicamente e tecnologicamente.

Uno degli “addetti ai lavori” tentò anche di realizzare quello che poteva essere non solo il terzo polo italiano[2]ma anche il Polo di Ricerca e cura delle malattie infettive del Mediterraneo che avrebbe trovato nella regione siciliana la sua naturale allocazione.

Ora il COVID potrebbe, forse, aver fatto capire che è necessario provvedere a una riorganizzazione non tecnica bensì logica del sistema salute in Italia. Tra le lezioni apprese dalla gestione di Sars-CoV-2, causa della malattia Covid-19, tre sono le più evidenti:

  • non eravamo pronti ad affrontare l’evento, pur se avvertiti[3];
  • gli ospedali non sono il luogo più idoneo per affrontare le epidemie;
  • il fallimento dell’organizzazione sanitaria dei Paesi colpiti, tutti, non solo l’Italia. Forse la sola Germania ha avuto migliori risultati.

Per il primo punto, si tratta più che altro di un fatto culturale: saper gestire una crisi è diverso dal saper gestire un’emergenza. Per saperlo fare, riducendo così notevolmente i tempi e la confusione della prima risposta, sono necessari studio, addestramento, competenza e pianificazione preventiva. L’Italia aveva alcune risposte pronte, già fornite alle istituzioni nel corso di numerose esercitazioni nazionali e NATO. Evidentemente, la perenne assenza del livello politico dai tavoli dove si simulano situazioni estreme e la pochezza dell’alta dirigenza nazionale non ha permesso di veicolare l’informazione ai vertici della catena di comando e controllo. Così, i tentativi di organizzazione, che a macchia di leopardo erano stati posti in essere, e/o tentati, in tema di biocontenimento, risultarono largamente insufficienti.

Avrebbe funzionato meglio la risposta? Solo in parte, all’inizio. Dalle lezioni apprese in seguito alle esercitazioni di cui si diceva prima, il sistema Paese, dal punto di vista sanitario, è troppo frammentato, privo di un punto di riferimento cogente e riconosciuto, sempre più indirizzato all’economico e meno al servizio.

Per il secondo punto, questa epidemia ha reso evidente come gli ospedali, così come li conosciamo[4], non sono i luoghi più idonei per combatterla. Ogni virologo, epidemiologo, medico generico intervistato in questi mesi ha messo in evidenza la necessità di rivedere l’organizzazione, soprattutto proprio per quanto attiene alla sanità sul territorio.

Rivedere l’organizzazione perché è sul territorio che si vince la guerra sanitaria contro i patogeni che hanno quale loro peculiare caratteristica l’infettivo-diffusività. Basti pensare che verso il paziente affetto da una tale patologia incombe sia l’obbligo di curarlo sia quello di non consentire la diffusione della malattia. E quale migliore luogo di cura, se non la propria abitazione, non l’ospedale[5], consente di attuare tale doppia necessità terapeutica verso il singolo e verso la collettività?

Un’organizzazione rispettosa della necessità appena esposta consentirebbe agli ospedali di continuare ad espletare la propria funzione di luoghi di cura per le altre patologie, di natura medica o chirurgica, che le epidemie non cancellano ma che possono solo acuire. L’impegno che il sistema di cura ospedale-centrico ha richiesto per affrontare SARS-CoV-2 ha impedito a molte patologie[6]  la continuazione del proprio ciclo terapeutico o di iniziarne di nuovi.

Solo il livello politico continua a sostenere, almeno a livello regionale, che tutto va bene, che la loro organizzazione è ottima, che il loro sistema funziona. 

Dove muoiono tutte le persone che ci comunicano essere morte quotidianamente per COVID? Nelle terapie intensive? No ovviamente, non ci sarebbero problemi di posti letto altrimenti. Se non muoiono in terapia intensiva dove muoiono? E perché non sono in terapia intensiva? Mai ci hanno comunicato che tutti i posti letto erano occupati. La maggior parte delle persone, quindi, è morta nei reparti o a casa, si può immaginare, non avendo visto casistiche al riguardo pubblicate ufficialmente. Se poi non muoiono in ospedale, perché non ci sono mai arrivate?

Già fuori dalle pandemie, i Pronto Soccorso ospedalieri affrontano giornate con persone in attesa per ore di una visita ritenuta non urgente, e con persone, per ore e ore se non giorni, stesa su barelle nei corridoi nella speranza che si liberino posti nei reparti. Sono cose note, cose che ciascuno di noi ha osservato se ha avuto bisogno di recarsi, per sé o per amici e familiari, nei pronto soccorso delle grandi città. Poi le cure sono eccellenti, la preparazione professionale dei medici e degli infermieri molto alta. E’ l’organizzazione che non funziona.

Le lezioni apprese nelle esercitazioni di gestione crisi alcuni frutti li hanno prodotti, e sempre per l’iniziativa dei pochi esperti presenti nelle Amministrazioni dello Stato, mai su richiesta o indicazioni dall’alto.

Si tratta della Scorta Nazionale Antidoti, del Piano Nazionale per il Trasporto in Alto Bio Contenimento e, in parte, del Piano Nazionale contro eventi con uso di sostanze CBRN.

Non si vuole entrare nel merito dei singoli Piani, è interessante la logica: c’è un problema, come si può risolvere in modo ottimale? Quali sono gli eventuali ostacoli per applicare il modo ottimale? Quali sono i compromessi accettabili (comunque a pena di una minore efficacia)?

Su una pianificazione, considerato quanto avvenuto, alcune considerazioni vanno fatte.

Il Piano pandemico nazionale, scritto in occasione della pandemia da A/H1N1, avrebbe potuto funzionare. Solo un piccolo intoppo: molte delle azioni conseguenti e discendenti, se non tutte, erano affidate alle Regioni. Queste non hanno fatto alcunché e nulla ha fatto il centro per fare in modo che facessero. Il Piano, così come concepito, era ottimamente applicabile anche al COVID.

Insomma, abbiamo alcuni evidenti problemi nel Sistema Sanitario Nazionale.

Devono essere rivisti il Sistema del Soccorso Sanitario e dei Medici di famiglia, degli ambulatori specialistici, che hanno liste di prenotazioni con attese spesso insopportabili se si deve subire una TAC o una visita per timore di possibili malattie degenerative, dei Pronto Soccorso ospedalieri, che sono sommersi da codici di triage di basso livello, della sanità di frontiera che presenta organizzazione frammentaria senza la possibilità cogente di intervento centrale anche in termini di risorse e mezzi.

Di seguito alcune proposte, più volte discusse nella comunità della gestione crisi e della gestione del Biocontenimento.

Soccorso Sanitario Urgente (ex 118)

Stessa organizzazione del Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco. Unico centro di spesa, stesso addestramento dalla Sicilia all’Alto Adige, metodi di afflusso di rinforzi gestiti in automatico, stessi mezzi, stesse procedure. Una Direzione Generale per il Soccorso Tecnico Urgente Sanitario presso il Ministero della Salute, con Dirigenti responsabili regionali, uno per regione.

Servizi distribuiti e organizzati a livello provinciale, con Comandi Provinciali e Distaccamenti dove necessario. Una Scuola di Formazione e una Scuola di Alta Formazione. Concorsi per medici, infermieri, autisti, personale direttivo e amministrativo. Gestione anche del volontariato specializzato, con contratti ad hoc dove necessario.

Medici di famiglia

Responsabilità della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute. Dipendenti dello Stato, non liberi professionisti, con possibilità di operare anche in strutture specialistiche quali ambulatori territoriali o ospedalieri quando le liste di attesa si allungano oltre una durata ragionevole.

Contratti di livello ospedaliero con obbligo di reperibilità e turnazione festiva. Obbligo di visite domiciliari motivate dall’impossibilità a muoversi del paziente.

Ambulatori Territoriali

Responsabilità della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute. Personale tutto dipendente dello Stato, non delle Regioni. Organizzati a livello provinciale, sentita la Regione di appartenenza. 

Anche qui, unico centro di spesa, stesse procedure, possibilità di interconnessione nazionale per l’individuazione delle attese più brevi per le visite richieste dai medici di famiglia.

Gli ambulatori specialistici ospedalieri continuano nell’attuale organizzazione e funzione, così come i “day hospital” e le altre strutture di rapido intervento degli ospedali.

Sanità di Frontiera

Responsabilità del Ministero della Salute con organico dedicato gestito dal Ministero che all’occorrenza implementa con personale ad hoc e/o in convenzione con Associazioni di Volontariato.

Organizzata con Dirigenti responsabili regionali, uno per regione, che concordano protocolli operativi per area, coordinati e avallati da direzione Generale del Ministero.

Servizi distribuiti e organizzati a livello di Frontiere (Porti, Aeroporti, ecc.), con capacità operativa autonoma. Una Scuola di Formazione nazionale.

Scorta Nazionale Antidoti

Già ora affidata interamente al Ministero della Salute, in collaborazione stretta con l’Amministrazione della Difesa e dell‘Interno per garantire lo stoccaggio e la possibilità di prelevamento e distribuzione H24. Oltre ai medicinali, dovrà essere dotata di abbondanti scorte di dispositivi di protezione individuale (DPI), tra cui i filtranti facciali (le mascherine), nonché di attrezzature e macchinari specifici per le sale di terapia intensiva e i pronto soccorso.

L’attuale piano per la Scorta Nazionale Antidoti (SNA) descrive modalità di uso e gestione che sono perfettamente compatibili anche con gli ulteriori beni messi in stoccaggio e riserva. Ovviamente i macchinari dovranno ricevere una manutenzione costante per garantire il loro funzionamento al bisogno.

La stessa SNA potrebbe risolvere il problema delle barelle degli ospedali. In caso di afflussi eccezionali, gli ospedali potrebbero prelevare dalla SNA barelle per un uso temporaneo, con l’obbligo di restituzione o rimpiazzo.

Scuole di Formazione Sanitaria

In considerazione dell’alto turn-over delle conoscenze e dalle tecnologie sanitarie, occorre statuire delle Scuole di formazione Regionale e una Scuola di Alta Formazione Nazionale gestite dal Ministero della Salute che, raccolte le esigenze formative regionali e lo stato di evoluzione delle conoscenze e delle tecniche sanitarie a livello globale, stabilisce gli obiettivi formativi. Con Organico Amministrativo dedicato e contratti di docenza con Professionisti di chiara fama, per settori di interesse.

Linea vaccinale

L’Italia deve poter avere accesso a una linea vaccinale sicura e disponibile, sotto il controllo sello Stato, anche con accordi con strutture private italiane, senza dover dipendere dalle decisioni di sistemi di ricerca e produzione di proprietà straniera. Al momento, almeno fino a quando non sarà dotata di vero potere, l’Unione Europea non basta. Nel caso di una pandemia la cui mortalità sia molto alta, sul modello delle emorragiche, la predisposizione di vaccini potrebbe diventare un fattore di sicurezza nazionale. I contratti stipulati, gli accordi, a quel punto non varrebbero più.

Conclusioni

Quindi, in definitiva, alle Regioni dovrà rimanere la gestione delle strutture ospedaliere e territoriali con le competenze di ricovero e cura, tutto il resto dovrà passare all’amministrazione centrale competente, cioè il Ministero della Salute.

In particolare, deve tornare nella piena competenza del Ministero della Salute la materia che riguarda le patologie infettivo-diffusive che, oltre alla ricerca, settore vitale per scongiurare qualunque evento futuro, ha necessità di aggiornamento costante e di addestramento pratico, affinché i “soldati”, medici ed infermieri, non siano nuovamente le prime vittime.

Ci si lamenta che il Sistema Sanitario costi agli italiani cifre eccessive e spropositate. Eliminare buona parte dei millemila centri di spesa attuali è un obbligo tecnico per iniziare a risolvere il problema e per interrompere l’attuale tendenza, quella di una sanità dei ricchi (pagando ottieni in fretta, senza attese e perdite di tempo) e un’altra per tutti gli altri.[[]Ovviamente se non è a rischio la vita del paziente[]Pensiamo alle oncologiche ma potremmo citare le cardiologiche, le diabetiche, le nefrologiche, solo per citarne alcune.

Roma, 30 dicembre 2020, 1° pandemico

Giovanni Ferrari  

Architetto, Consulente della Difesa Civile del Ministero dell’Interno, Esperto Civile della NATO in Analisi e Gestione delle Conseguenze, Esperto CBRN

Sergio Pintaudi

Medico-Chirurgo, Esperto in Biocontenimento,
Docente LUISS,
Consulente Scientifico dello Stato Maggiore della
Marina Militare Italiana


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(1)  Come il batterio della tubercolosi o il virus del morbillo.

(2) Oltre allo Spallanzani di Roma e al Sacco di Milano che guarda caso insistono laddove si trovano allocati due dei tre aeroporti sanitari del nostro paese, l’altro è l’aeroporto Fontanarossa di Catania.

(3) SARS, MERS, A/H1N1, Ebola in Africa (che è apparsa in aree usualmente libere da quel virus), la temuta risalita della Febbre Gialla verso il Mediterraneo, la tubercolosi e gli altri batteri multi resistenti alle terapie antibiotiche, e tutto ciò che esiste nelle foreste tropicali che sta tranquillamente riproducendosi senza che noi lo sappiamo.

(4) Che nel frattempo abbiamo trasformato da luoghi di cura in luoghi di moltiplicatori di patologie, basti pensare al fenomeno dell’antibiotico resistente sviluppatosi proprio nei nosocomi.

(5) Ovviamente se non è a rischio la vita del paziente

(6) Pensiamo alle oncologiche ma potremmo citare le cardiologiche, le diabetiche, le nefrologiche, solo per citarne alcune