DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO

di Enrico La Rosa

E’ difficile immaginare una dichiarazione più nobile di quella adottata dall’Assemblea delle NN. UU. il 10 dicembre 1948 sotto il nome di “Risoluzione 217A (III).

Non è possibile riassumerla, né spiegarla, si può solo leggerla e rimanerne estasiati. Questo il suo link:

http://www.terna.it/LinkClick.aspx?fileticket=rAxzutfOgeg%3D&tabid=5221.

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  • Affermazioni come «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti»,
  • l’evocazione della parità dei diritti senza distinzione di razza, colore, sesso, lingua, religione, origine politica o altro genere, origine nazionale o sociale, ricchezza, nascita o altra condizione,
  • l’esclusione della distinzione sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene,

sembrano concetti banali agli orecchi di persone già sensibili a questi principi, per avere costituito il loro nutrimento intellettuale sin dalla nascita, ma evidentemente non è così se l’Assemblea delle Nazioni Unite sentì il bisogno di organizzare e promulgare questa razionalizzazione, umanizzazione e regolamentazione dei rapporti tra gli esseri umani e dei loro diritti nei contatti bi/pluri laterali.

Un documento contenente un poderoso “preambolo” e ben trenta articoli. Con questa dichiarazione gli stati s’impegnano unilateralmente a rispettare i diritti in esso riconosciuti. «La questione dei diritti umani cessa così di essere ‘dominio riservato’ di ciascuno stato, terreno dal quale escludere le ‘indebite ingerenze’ altrui. E si creano le condizioni per lo sviluppo di un diritto internazionale dei diritti umani quale componente essenziale del diritto internazionale contemporaneo, superando l’impostazione precedente in base alla quale il diritto internazionale doveva limitarsi a disciplinare la mera coesistenza fra stati (e alcune, limitate, forme di cooperazione fra governi)» (approfondimento di Antonio Marchesi, pubblicato da “treccani.it” il 10/12/2008).

Sembrano banali. Ma non è così, se è vero che molti Paesi non li hanno valorizzati in sede di elaborazione/revisione dei documenti fondanti nazionali.

Non è così, se è vero che gli stessi principi sono diversamente riscontrabili nell’afflato che ha aiutato la lievitazione e maturazione dei pensatori e anche quella etica, sociale, ideologica dei popoli del mondo intero. Limitiamoci al nostro versante, che conosciamo meglio, principalmente a quello mediterraneo (Presocratici, Pitagorici e Sofisti; Socrate, Platone e Aristotele; Diogene, Accademici e Stoici; Marco Aurelio; Agostino d’Ippona e i grandi pensatori della Chiesa; Avicenna, Averroé, Maimónide e Levi ben Gershon; Tommaso d’Aquino; Dante Alighieri; Nicolò Machiavelli; Tommaso Moro; Niccolò Copernico; Giordano Bruno; Tommaso Campanella. E tantissimi altri, non dimenticati, indimenticabili, lasciati dietro per questioni di spazio, di cui i nostri lettori, per la loro tipologia, hanno di sicuro profonda conoscenza). E, successivamente, a quello più in generale europeo (Isaac Newton; Francis Bacon, Thomas Hobbes, John Locke, David Hume e Adam Smith; René Descartes e Leibniz; Michel de Montaigne; Giambattista Vico; Montesquieu, Voltaire e Diderot; Immanuel Kant; Schelling e Hegel; Marx e Engels; per finire con i numerosi e validissimi rappresentanti del XX secolo).

Una produzione umana millenaria che va dal pensiero greco sino ai nostri giorni. Che precede e comprende senz’altro il contenuto della “Dichiarazione Universale”. Un percorso che ha ispirato e influenzato, prima di questo documento, anche fasi e testimonianze importanti della crescita umana dalla Magna Charta del 1215 al Bill of Rights del 1689; dalla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776 alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della rivoluzione francese (1789).

Un percorso denso di discontinuità. Giacché, se è vero che l’evento occasionale che suggerì la sua stesura fu la seconda guerra mondiale e le atrocità in essa commesse; se è vero che i principali ispiratori del documento furono le potenze vincitrici del conflitto, interpreti del corso “democratico”, in contrapposizione ai regimi totalitari che lo causarono e persero, non si può certo negare che tra le stesse potenze erano presenti due tra i maggiori colonizzatori che la storia del nostro pianeta abbia mai conosciuto, artefici di atroci crimini contro la condizione e i diritti dei popoli sottomessi. Del gruppo fa anche parte la potenza che dal maggio 1948 in poi ha protetto senza sosta e contro ogni decenza il paese divenuto il maggior colonizzatore dell’era moderna, un paese i cui poliziotti sparano ad alzo zero per uccidere, anziché tentare di catturare e giudicare gli avversari, presunti terroristi.

Per inciso, dopo settant’anni dalla fine del conflitto, assistiamo ancora alla sopravvivenza dell’anacronistica struttura organizzativa del massimo consesso politico internazionale, le Nazioni Unite, all’interno del quale il principale organo “operativo” e deliberante, il Consiglio di Sicurezza, è formato permanentemente dalle potenze vincitrici 70 anni fa e dalla Cina, che al conflitto non ha partecipato e non ha vinto niente, se si eccettuano mercati e finanza.

Un documento nobile e bellissimo, in ogni caso, di cui consigliamo la lettura, la meditazione profonda, che è bene che ogni cittadino del mondo conosca a menadito, come le parole della Costituzione del proprio Paese, come le preghiere e i riti della propria religione.

Per se stessi, ma anche per poterne rammentare il contenuto a quei governanti o capi popolo che alimentano nei propri simpatizzanti la convinzione che il nostro povero pianeta debba essere sempre più frammentato e che coloro cui sia capitato di nascere nelle zone svantaggiate non possano accampare diritti sulle altre aree della Terra e che non possa essere loro consentita neppure la speranza di una migrazione, che non possiamo non riconoscere intrinsecamente dolorosa e devastante, se è vero che ogni essere umano è legato alla propria terra più che a tutte le altre, quelle verso le quali la speranza di sopravvivenza possa spingerlo.

Enrico La Rosa