Fiume Giordano: dal misticismo della religione al pericolo idrico

0506201401È il bacino che attraversa una delle terre più travagliate della storia; è, probabilmente, il bacino che più di tutti, rappresenta la Storia, sia essa culturale che religiosa. Si parla del Giordano, un fiume da un corso di 18.500 km2 e i cui Paesi rivieraschi hanno da tempo immemore perso pace a livello politico e sociale. Il Giordano bagna Giordania, Israele, Siria, Territori Palestinesi ed anche il Libano, seppure in percentuale nettamente inferiore. Per citare solo pochi riferimenti, il Giordano è il luogo del Battesimo di Gesù, è il fiume dove amava predicare Giovanni Battista, è stato attraversato dagli israeliti per accedere alla terra promessa.

La sua fonte è tra i pendii del monte Hermon, un massiccio montuoso al confine tra Israele, Siria e Libano, alto 2.814 metri e di grande valore religioso, essendo ritenuto come il luogo più probabile in cui si sarebbe manifestata la Trasfigurazione di Cristo. Il monte dà i natali anche ad altri tre corsi d’acqua, il Dan, l’Hasbani e il Banias, i quali confluiscono nel lago Tiberiade. Il principale affluente del Giordano è il fiume Yarmuk, che delimita i confini geografici tra Israele e Giordania e separa quest’ultima dalla Siria.

 

Apparentemente è un bacino che non dovrebbe destare sospetti: ha un aspetto privilegiato a monte, con una quantità d’acqua abbondante e di ottima qualità. Inoltre, il bacino è pieno di fonti sotterranee, che si diramano sotto la striscia di Gaza, la costa di Israele, la Samaria e la Giudea.

Quest’ultima regione è particolarmente ricca di acqua dolce, che si irradia verso est, rifornendo il Giordano di 200 mln di metri cubi l’anno, verso nord-est lambendo i monti Gilboa e la valle di Jazeel, verso ovest, dove la portata d’acqua raggiunge i 350 mln di metri cubi l’anno. Sebbene le ultime due diramazioni si trovino all’interno del territorio palestinese, sono sfruttate da Israele, tramite l’utilizzo di pozzi molto profondi costruiti all’interno della linea verde, sarebbe a dire la linea di demarcazione risalente agli accordi arabo – israeliani del 1949.

 

Un’ulteriore falda acquifera, al confine tra Gaza ed Israele, è alimentata dalle precipitazioni e dalle infiltrazioni della superficie, ma è sottoposta ad un eccessivo sfruttamento. La sua capacità effettiva rimane in realtà un mistero, poiché i dati su ciò sono controversi. La falda si dirama infatti in due direzioni differenti, una sotto tutela israeliana e una sotto la striscia di Gaza, di appartenenza palestinese. Mentre questi ultimi stimano che la falda, nella totalità, sia di 485 m3, gli israeliani ritengono che invece la falda costiera abbia una portata di 280 m3, e quella sotto la striscia di Gaza di soli 60 m3. L’ultima risorsa sotterranea è in prossimità del deserto del Negev: si tratta di un bacino idrico fossile di acqua non rinnovabile con una capacità di 70km3. L’acqua non è potabile, ma può essere una fonte di sostentamento per l’irrigazione.

 

La situazione idrica del bacino, nonostante la lunghezza del fiume e le fonti sotterrane è precaria. L’area in cui si sviluppa il letto del fiume è sede d’interminabili scontri ed instabilità politiche, la demografia è in costante aumento e l’ambiente è pressoché totalmente inquinato. Inoltre, una porzione non indifferente d’acqua dolce è contaminata da quella marina e larghe zone stanno cedendo pian piano alla desertificazione. Gli scontri per il possesso dei giacimenti idrici, in questo lembo di terra, sono già una realtà ben affermata: ogni stato cerca di primeggiare sull’altro senza tener conto delle conseguenze che simili contrasti possono causare alla popolazione.

 

Anche il bacino del Giordano è sottoposto ad attenta analisi climatica: secondo le previsioni la temperatura può aumentare in modo rapido, facendo diminuire le precipitazioni. Se il nord del territorio è abbastanza umido grazie alle copiose piogge, ciò non vale per il sud, dove i livelli di acqua caduta non superano i 100 millimetri in un intero anno. La conseguenza è un prosciugamento delle acque fluviali durante i mesi estivi, quando il bisogno idrico diviene più pressante: le temperature in questa stagione infatti sfiorano sempre più frequentemente i 45°C. La zona meridionale, tra il deserto del Negev e la Valle dell’Arava è forse quella più colpita dalla siccità: le poche piogge sono violente, ma non riescono a penetrare nel terreno roccioso per arricchire le falde acquifere. Nonostante ciò, Israele ha dedicato queste larghe lande all’agricoltura, sostenendola con l’irrigazione goccia a goccia fin dalla metà degli anni sessanta del XX secolo.

Le regioni più fertili si trovano nella zona costiera del Mediterraneo, dalla Striscia di Gaza fino al Libano, e nella Valle di Jezreel, nella parte centrale dell’area giordana. L’acqua di superficie costituisce solo il 35% delle risorse disponibili, mentre le falde acquifere ne costituiscono il 56%; la restante parte è costituita da acqua depurata. L’intera regione è sottoposta ad un rischio idrico pressante: nessuno dei Paesi, fatta eccezione per il Libano, supera i 500m3 all’anno pro capite di acqua, soglia che delimita i livelli della scarsità assoluta di acqua. Le riserve sono tra l’altro suddivise in modo iniquo e ciò alimenta i rancori già radicati nel territorio.

 

Paese

Totale risorse rinnovabili (m3annui pro capite)

Giordania

164

Israele

261

Libano

1110

Palestina

215

Siria

865

 

La condizione è aggravata anche dai livelli qualitativi dell’acqua: il corso inferiore del Giordano, all’uscita del Lago Tiberiade, è inutilizzabile a causa dell’elevata concentrazione della salinità e dei nitrati. La prima è stata contrastata con la costruzione di un canale che conduce l’eccesso di acqua salata direttamente alla foce del Giordano: ciò ha permesso la rimozione di 70.000 tonnellate di sale, assieme a 20 milioni di metri cubi d’acqua, all’anno. Un miglioramento lo si è ottenuto anche intervenendo direttamente sulle tecniche d’irrigazione e di coltivazione, con il miglioramento degli impianti di trattamento delle acque reflue, la costruzione di un’efficace rete di drenaggio. Ciò si è verificato però quasi esclusivamente nei territori israeliani, la cui ricchezza economica ha permesso la messa in atto di simili preventive opere idrauliche. La carenza idrica della Giordania sembra essere ancora più preoccupante: il flusso dei suoi fiumi, lo Zabqa, il Wadi Shueib, il Wadi karak, il Wadi Kufrinja e Wadi Arabo[1], è nettamente diminuito a causa del sovra pompaggio delle falde acquifere. Il processo, a lungo termine, ha completamente trasformato l’equilibrio idrologico della regione, ponendo la Giordania nell’allarme idrico più preoccupante dell’area medio orientale. Gli ettari dedicati all’irrigazione raggiungono quota 150.000, dei quali il 32% in Giordania, il 31% in Israele, il 30% in Siria ed un minimo 5% e 2% in Palestina e Libano. Gli Stati hanno costruito dighe e sbarramenti al fine di accumulare acqua per la coltivazione.

Adele Lerario

 

Cartina di Adriano Cirillo e Guido Cormino.



[1] Wadi è il nome arabo dei fiumi stagionali.