RCEP: la contromossa politica della Cina all’offensiva economica USA

di Angelo De Giuli

PREMESSA

Il 15 Novembre 2020, con la firma ufficiale dell’accordo RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership) è giunto a conclusione il pluriennale processo diplomatico di integrazione economica tra l’area Asean ed altri Paesi del quadrante Sud dell’Oceano Pacifico. Gli Stati partecipanti sono: Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Filippine, Singapore, Thainlandia, Vietnam (già membri della Association of South-East Asian Nations – Asean), Australia, Cina, Giappone, Nuova Zelanda, Corea del Sud.

Per entrare in vigore ed essere pienamente operativo il RECP dovrà ora essere ratificato dai Parlamenti dei Paesi interessati.

L’evento ha ricevuto attenzione dalla stampa internazionale per pochi giorni, ed è stato commentato giusto per la sua rilevanza commerciale e per la non partecipazione di due importantissime economie che si affacciano all’Oceano Pacifico: India e Stati Uniti d’America. Assenze che inducono a pensare ad una natura dell’accordo ben diverso da quello meramente commerciale. Questo è un aspetto che l’informazione-comunicazione non ha ancora analizzato. E forse non lo farà mai in favore della pubblica opinione … E proprio in questo vuoto analitico che si fa strada l’idea qui espressa che l’accordo RCEP sia funzionale ad una strategia di medio periodo tesa a garantire alla Cina un accesso continuo alla tecnologia occidentale per mezzo di una supremazia economica in grado di condizionare la politica estera delle potenze regionali limitrofe. E’ il primo passo concreto della creazione di un’area politica con il baricentro saldamente poggiato sull’economia dell’Impero Celeste, la cui cinghia di trasmissione ed espansione è la nuova Via della Seta.

Una strategia evidentemente non dichiarata, ma percepibile se si pongono sul tavolo una serie di informazioni e dichiarazioni governative di diversa natura e le si osserva nel loro insieme.

L’ACCORDO

Ma quale è il contenuto, in estrema sintesi, del trattato RCEP? Soprattutto, cosa non include e tralascia?

L’accordo in questione coinvolge principalmente le piccole e medie imprese, e riguarda l’interscambio di beni e servizi. I principali settori merceologici interessati sono riportati nella tabella seguente.

ServiziInvestimentiSaluteAltri
FinanziariTelecomunicazioneProfessionaliCommercio elettronicoTutti i settori (esclusa la Difesa)Appalti PubbliciPreviste norme quadro in ambito sanitario e fitosanitario, a protezione di persone, animali e piante.Libera circolazione delle personeTutela della proprietà intellettuale

Nell’accordo è inserita anche una norma di riferimento che stabilisce le procedure per eliminare ogni sorta di ostacolo burocratico al commercio in generale. 

In sintesi, l’aspetto testuale di maggiore rilevanza consiste nella possibilità per i Paesi partecipanti di procedere automaticamente alla riduzione o eliminazione di dazi relativi sia a singoli prodotti e servizi che ad interi settori merceologici, senza dover ricorrere ogni volta a negoziati bilaterali.

Ma come accennato sopra, ancora più interessanti sono gli ambiti non regolati dall’accordo. Se scarsa attenzione è posta verso il settore agricolo (per il quale poco o nulla cambia rispetto alle pratiche doganali vigenti), nulla è previsto a riguardo gli standard di qualità e garanzie per alcuni prodotti [1].

Osservando l’area RCEP su una carta geografica, spontaneamente si presentano alcune considerazioni di carattere generale.

Un primo fondamentale rilievo è l’ideale confine dell’area RCEP, oltre il quale vi sono le due importanti economie del Pacifico da esso escluse: India e Stati Uniti d’America [2]. Un’area che accomuna 2,2 miliardi di consumatori e rappresenta il 30% dell’economia mondiale, con un tasso di crescita della popolazione tra i più dinamici del pianeta.

Una seconda considerazione riguarda la composizione politica del gruppo di Stati partecipanti al RECP. Questo accordo avvicina economicamente Stati che politicamente si contrappongono, come, ad esempio, la Cina da un lato e Giappone, Vietnam, Corea del Sud ed Australia dall’altro. Non è questo un elemento di secondaria importanza, in quanto l’economia, il commercio e la finanza internazionali (più in generale, la globalizzazione economica) hanno ampiamente dimostrato il loro potere condizionante la politica estera degli Stati. 

Un terzo elemento rilevante per una più ampia ponderazione del RCEP risiede nella constatazione che esso riguarda l’area geografica con il più alto tasso di sviluppo economico e con le maggiori potenzialità di crescita futura rispetto al resto del mondo. Queste potenzialità economiche future scaturiscono dal comprendere nello stesso trattato Paesi in Via di Sviluppo e Paesi ad economie avanzate, con elevata stabilità politica. Si integrano così Paesi con risorse naturali e fattori produttivi abbondanti ed a basso costo, con Paesi dai mercati saturi (Giappone e Corea) o in procinto di saturarsi (Cina), ma detentori di tecnologie avanzate, ingenti capitali ed elevato reddito pro-capite, che hanno le necessità sia di conquistare nuovi mercati sia di accaparrarsi materie prime e risorse produttive a costi più convenienti.

La situazione ideale per un’ottima integrazione tra economie secondo i paradigmi teorici della globalizzazione ed omologazione: la progressiva ripartizione dell’area tra economie specializzate nella fornitura di materie prime e manodopera a bassa remunerazione, nella produzione di beni e servizi con tecnologie mature, ed economie più evolute e complesse specializzate nel produrre tecnologia avanzata, prodotti e servizi innovativi a maggior valore aggiunto, capaci di mantenere un elevato reddito pro capite per i loro cittadini. Un’operazione, questo accordo RCEP, che si potrebbe definire il normale sviluppo di un processo economico che si evolve ad un più avanzato livello di globalizzazione.

OBIETTIVO: SVILUPPO DEL MERCATO INTERNO E INCREMENTO DEL REDDITO PRO CAPITE CINESE

Ma anche il contesto storico ed economico nell’ambito del quale questi Paesi procedono ad una maggiore integrazione economica suggerisce una certa cautela nel liquidare l’evento come un semplice fatto commerciale.

Negli ultimi due anni i principali Stati dell’area sono stati protagonisti di vicende e cambiamenti di politica estera che hanno alterato i posizionamenti geopolitici relativi. USA, Cina, Giappone, Corea del Sud, India, Australia e Vietnam: questi i Paesi che si ritrovano a confrontarsi in modo sempre più aspro a ridosso dell’area economicamente più vitale del globo e snodo del traffico commerciale di maggior importanza a livello planetario (ossia, la rotta di rifornimento delle maggiori economie occidentali di prodotti, semilavorati e materie prime). Dunque è necessario ripercorrere alcune dichiarazioni topiche dei due ultimi anni per cercare di comprendere la logica di un accordo di integrazione commerciale tra Paesi che si relazionano sul piano internazionale con sospetto e aggressività crescenti. La firma del RCEP è un atto che, a mio giudizio, segue e completa fattivamente una serie di dichiarazioni del governo cinese rilasciate in varie occasioni nel corso dell’ultimo anno, da leggersi anche in funzione delle indiscrezioni inerenti la politica commerciale della nuova amministrazione americana, che non lasciano intravvedere significativi cambiamenti nelle relazioni USA – Cina almeno nel medio periodo.

Il 20 Novembre 2020 il Presidente Xi Jinping annunciò la “sconfitta della povertà assoluta” in tutte le provincie della Cina. Una vittoria discutibile se si considera il livello di reddito soglia stabilito dalla Cina per distinguere il povero assoluto dal povero relativo: 1,52 USD giornalieri verso 1,90 USD indicati dalla Banca Mondiale [3]. E’ rilevante, invece, l’indicazione strategica comunicata nella stessa occasione: “… la Cina vuole essere autosufficiente con la circolazione interna: i cicli di produzione, distribuzione e consumi potranno contare su 1,4 miliardi di abitanti riducendo la dipendenza dalle esportazioni”. Tradotto in parole semplici, la ricchezza derivante dalle esportazioni non sarà più destinata al solo accumulo di capitale nelle attività produttive orientate all’esportazione stessa, ma avrà come fine ultimo l’incremento del reddito pro capite dei cittadini cinesi, essendo quest’ultimo il mezzo per sostenere e sviluppare la “circolazione interna” della ricchezza. Il mercato interno sarà il motore dell’economia cinese dei prossimi decenni.

Una direttiva economica coerente con quanto affermato da Xi Jinping a fine ottobre, in occasione del Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista, durante la definizione delle riforme economiche da attuare entro il 2035: rimodulare la struttura produttiva verso prodotti ad alto valore aggiunto, da destinarsi all’ampio mercato interno sul quale il governo agirà per aumentarne la capacità di acquisto, come detto pocanzi [4]. Le grandi aziende, ora dedicate all’esportazione di prodotti di media o bassa qualità, saranno supportate dallo Stato cinese non solo ad orientare al mercato interno la loro produzione, ma anche a migliorarne la qualità in termini di manifattura e tecnologia incorporata.

E così la “fabbrica del mondo” reagisce alle turbolenze economiche mondiali con una strategia assai precisa, che si tradurrà, entro il 2035, in un minor flusso verso l’estero di prodotti, materie prime, semilavorati e componenti, e contemporaneamente in una spinta all’innovazione tecnologica finalizzata ad elevare il livello qualitativo dei prodotti (aumentandone i margini di valore aggiunto) destinati ai consumatori nazionali.

Un quarto pilastro della prossima trasformazione economico-sociale cinese è da ravvisarsi nella dichiarazione di Xi Jinping all’Assemblea Generale dell’Onu, a settembre 2020, allorché dichiarò l’obiettivo del suo Paese di voler raggiungere la “carbon neutrality” entro il 2060. A parte i dubbi e le speculazioni politiche circa la formula lessicale (cosa si intende per “neutralità” rispetto alle emissioni inquinanti derivanti dall’impiego di fonti energetiche di origine fossile?), è evidente l’indirizzo strategico del governo cinese nel settore energia: raggiungere l’indipendenza energetica eliminando la necessità di importare materie prime quali carbone, petrolio e gas [5]. Una rivoluzione “green” che vede le aziende cinesi in una posizione competitiva di sicuro vantaggio, essendo già ora leaders mondiali nella produzione di pannelli solari e componentistica per impianti di produzione di energia rinnovabile.

La svolta “verde” è anche funzionale ad una nuova immagine della Cina nel mondo: un Paese che si rinnova con una inedita sensibilità verso le tematiche ambientali e climatiche, attento alla salute dei suoi cittadini. Un marchio di qualità per i suoi prodotti, ma questo è un tema che meriterebbe una riflessione specifica.

RISVOLTI STRATEGICI

Certamente il nuovo corso della strategia estera dell’Impero Celeste è anche la prima risposta al mutato clima nelle relazioni internazionali cinesi, condizionate sia dal contenzioso commerciale con gli USA (e di riflesso con i i loro alleati) sia dalle conseguenze della pandemia virale sulle economie più avanzate. Le tensioni commerciali tra Cina e mondo occidentale hanno evidenziato un pericolo mortale per l’economia cinese: il ritorno nei Paesi di origine di numerose aziende e produzioni, soprattutto di quelle ad elevato contenuto tecnologico. Un “rimpatrio” che alimenta il sospetto di un blocco del trasferimento tecnologico e di conoscenza dai Paesi Sviluppati (USA e UE in primis) verso la Cina.

E’ appunto in questo contesto internazionale, in forte trasformazione verso non ben prevedibili nuovi equilibri, che l’accordo RCEP può essere considerato di valenza politica prima ancora che economica. Il crescere di intensità della competizione per la supremazia mondiale tra Cina e USA comporta la conquista del primato nelle tecnologie d’avanguardia, l’indipendenza energetica, una forte e sicura organizzazione degli approvvigionamenti, l’egemonia politico-militare.

Lo RCEP, per come è stato concepito ad oggi, risponde egregiamente alle esigenze strategiche della Cina facendo leva sulla sua forza economica in risposta all’offensiva politica, commerciale e militare degli USA.

Infatti, se gli USA cercano di contenere la crescita economica cinese con l’applicazione di dazi diretti ed indiretti (minacciando gli alleati di ritorsioni qualora non si allineassero alle politiche commerciali di Washington) e la crescente presenza militare cinese nel Mare Cinese Meridionale con la ricostituzione della Prima Flotta [6] (destinata appunto a presidiare le acque antistanti le coste cinesi a protezione degli alleati asiatici), la Cina tenta con lo RCEP di incrementare la dipendenza economico-commerciale da essa dei Paesi dell’area Sud Pacifico, soprattutto degli attuali alleati degli Stati Uniti: Giappone, Corea del Sud, Australia, Vietnam. E, considerando le grandezze relative delle economie che vanno integrandosi con questo accordo, è del tutto verosimile prevedere che queste dipendenze economiche si trasformino ben presto in condizionamenti significativi della politica, sia estera che interna, dei Paesi cardine nella strategia USA di contenimento delle ambizioni cinesi.

Proprio dalle dichiarazioni riportate si può comprendere la portata dell’evento RCEP: essere la “fabbrica del mondo” significa legare il proprio livello di reddito alle incertezze dei flussi di esportazione, che per molti aspetti non sono direttamente gestibili dal governo di Pechino. L’esperienza della pandemia in corso ha segnato l’economia cinese, condizionata dal blocco dei consumi e delle produzioni in gran parte dei Paesi Sviluppati, ossia dei suoi principali mercati di esportazione. Ma la partecipazione al RCEP di Paesi in Via di Sviluppo (con abbondanza di manodopera a basso costo, ampi mercati con redditi pro capite in crescita e, soprattutto, legislazioni “leggere” in ambito ambientale e di tutela dei lavoratori) è la condizione ottimale per la Cina: le produzioni a minor valore aggiunto e/o le più impattanti sull’ambiente, ora realizzate internamente, potranno essere trasferite in gran parte nei Paesi limitrofi, direttamente sostenute dal sistema finanziario cinese proprio grazie alla maggior libertà di circolazione dei capitali prevista dal recente accordo e dunque con indirizzo e controllo di Pechino sui flussi produttivi (in fin dei conti, finanziare significa possedere, gestire e controllare). La scarsità o abbondanza di un prodotto sui mercati mondiali rimarrebbero discrezionalità della politica cinese, considerando che l’enorme capacità di assorbimento del suo mercato interno potrebbe fungere da “valvola regolatrice” delle destinazioni finali delle produzioni.

Se questa delocalizzazione da un lato consentirà alla Cina di ridurre l’impatto ambientale delle produzioni più inquinanti, dall’altro libererà risorse da reimpiegare nei settori “green”, come ad esempio la produzione di energia da fonti rinnovabili e sviluppo delle tecnologie innovative per gli impianti ad essa dedicati. Anche questi investimenti avranno come principale mercato di sbocco quello interno, considerando soprattutto il tasso di crescita della futura domanda di energia elettrica e la vastità delle provincie interne cinesi che ancora offrono ampi margini di sviluppo produttivo e dei consumi pro capite.

Sarà anche la crescente domanda mondiale, soprattutto nelle economie dell’area RCEP, di componenti e impianti del settore “green” che consentiranno alla Cina di consolidare le sue quote di mercato nei Paesi Sviluppati limitrofi, dove la riconversione dal nucleare e dalle fonti fossili sarà più imponente. Grazie al RCEP i dazi non saranno più un ostacolo e gli scambi di tecnologie tra Cina, Corea del Sud e Giappone naturalmente coinvolgeranno tutti i settori. Grazie al RCEP proprio i flussi di prodotti più innovativi e gli investimenti in settori ad alta tecnologia saranno il coronamento del successo della strategia geopolitica di Pechino.

Il reindirizzo del surplus commerciale verso gli investimenti interni in comparti a maggior contenuto tecnologico comporterà un generalizzato aumento del reddito e del potere di acquisto della popolazione cinese, con effetti sulla qualità della domanda (consumi) e relativa quantità. 

Per qualità della domanda si intende il consumo di prodotti e servizi contenenti tecnologie e conoscenze di alto livello, di manifattura eccellente, percepiti dai consumatori come derivanti da processi produttivi ecosostenibili. In pratica, il miglioramento dello standard produttivo aumenterà la concorrenza dei prodotti cinesi sul mercato interno verso i prodotti importati. 

Dunque ecco un ulteriore elemento di rafforzamento della filiera interna secondo l’indicazione del Presidente Xi Jinping di dare priorità alla circolazione interna.

La vastità del mercato cinese sarà una calamita irresistibile per gli operatori stranieri attivi nei settori hi tech: l’assenza di dazi di fatto li “obbligherà” ad investire direttamente in Cina o nelle economie che da essa dipenderanno, dando luogo così al trasferimento di quelle conoscenze e competenze che gli USA stanno in tutti i modi cercando di rallentare o impedire.

Stando alle condizioni di mercato attuali, l’opportunità per economie mature e dai mercati saturi di accedere ad una platea enorme di nuovi consumatori avrà una priorità maggiore rispetto a quella di assecondare i desiderata dell’alleato americano.

EFFETTI INTERNAZIONALI DEL RCEP

Un accordo, lo RCEP, che ora può ben essere definito politico piuttosto che economico; sarà lo strumento che consentirà alla Cina non solo di ridurre significativamente gli effetti negativi sul suo sviluppo economico derivanti dalla guerra commerciale scatenata dagli USA, ma anche di allentare i rapporti tra gli USA ed i Paesi asiatici loro alleati (Giappone, Corea del Sud ed altri minori), condizionandone le politiche proprio grazie all’accresciuta importanza del suo mercato per la tenuta economica di questi ultimi.

Il fattore determinante il successo della strategia cinese, a parità di assetti politico-economici dei contendenti, sta nella relazione tra politica ed economia, nei rapporti di forza tra la globalizzazione ed i governi. Ciò che spingerà i Paesi ora stretti alleati degli USA ad avvicinarsi sempre più all’area di influenza cinese sarà il dominio dell’economia sulla politica, là dove le ragioni del profitto delle multinazionali condizioneranno le politiche estere dei governi verso atteggiamenti più concilianti nei confronti delle “esigenze” cinesi. Una apertura economica, lo RCEP, che invece agevolerà alquanto la strategia espansiva di Pechino proprio in virtù di un’impostazione opposta dei rapporti tra politica ed economia, dove quest’ultima è uno strumento a disposizione della politica per il conseguimento degli obiettivi dello Stato, e non di quelli delle multinazionali.

CONCLUSIONI

Uno scenario di notevole impatto sugli equilibri mondiali che potrebbe avere buone opportunità di concretizzarsi sebbene non sia facile comprenderne le conseguenze, soprattutto in questo momento storico in cui gli USA sono impegnati a fronteggiare le sfide rappresentate dalla crisi pandemica e dalla crisi politico-istituzionale apertasi dopo le ultime elezioni presidenziali. 

Non è un caso, infatti, se la Cina ha accelerato i tempi per portare sul tavolo della Commissione Europea la classica “offerta a cui non si può dire di no”. Questo accordo Cina-UE, anch’esso dalla asimmetrica valenza (politico per la Cina, economico per la UE), giunge a definirsi proprio pochi giorni prima dell’insediamento ufficiale del nuovo inquilino della Casa Bianca, ossia poco prima che gli USA ritornino nel pieno della loro attività politica …. Ma questo accordo, il CAI – Comprehensive Agreement on Investment, ha ed avrà significato e conseguenze di ben altra importanza.

Ciò che accomuna lo RCEP e il CAI, e che dovrebbe farci riflettere tutti quanti, è la capacità della Cina di usare la leva economica per far “dimenticare” ciò che fino a solo un anno fa per il mondo occidentale era intollerabile: diritti umani non sempre rispettati, pratiche concorrenziali scorrette, sfruttamento del lavoro minorile, politica estera aggressiva (verso Taiwan, i contenziosi territoriali con Giappone ed India), la repressione delle libertà ad Hong Kong, ed altri dettagli simili.

Purtroppo il mondo occidentale misura questi accordi solo con il metro del PIL; ma il civile Occidente come reagirà quando si troverà a dover operare scelte politiche di compromesso rispetto ai suoi valori fondativi per non subire contraccolpi o ricatti economici? Sempre ammesso che l’Occidente si ponga il problema di scegliere …. 

Angelo De Giuli

Note

[1] https://www.ilpost.it/2020/11/16/firmato-trattato-commerciale-asia-rcep/

[2] https://www.ilsole24ore.com/art/la-cina-firma-14-paesi-piu-grande-patto-commerciale-pianeta-ADWqHU2?refresh_ce=1

[3] https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/04/la-cina-ha-sconfitto-la-poverta-assoluta-xi-jinping-annuncia-la-nuova-era-di-pechino/6026885/

[4] https://www.linkiesta.it/2020/10/cina-pechino-xi-jinping-mercato-domanda-produzione-fabbrica-tecnologia-economia/

[5] https://www.linkiesta.it/2020/11/cina-energie-rinnovabili-strategia-geopolitica-materie-fossili-corsa-energetica-cine-e-energia-elettrica/

[6] https://www.repubblica.it/esteri/2020/12/04/news/usa-cina_la_us_navy_crea_una_nuova_flotta_per_l_oceano_indiano-276984706/