Pil occupazione e tenore di vita – Un caso di scuola: Maghreb e Sicilia

“Fame nel Maghreb, povertà crescente nel Meridione italiano, aiuti europei: globalizzazione e comunicazione omologata all’opera!”

di Angelo De Giuli

La comunicazione economica degli ultimi anni si concentra sempre più su una serie limitata di indicatori e dati statistici, generando la convinzione diffusa che il controllo di questi indicatori sia sufficiente a governare l’economia. L’informazione di settore ci stordisce quotidianamente con numeri riguardanti il Pil, la disoccupazione, i tassi di interesse e lo spread, l’inflazione, gli ordinativi all’industria, variazioni percentuali di import/export, tassi di cambio delle principali valute, gli indici di borsa, e pochissimi altri. Le pagine economiche dei quotidiani ci presentano questi valori in maniera puntuale: oggi il Pil, domani l’export, dopodomani i trend di borsa … ed ogni giorno si attiva l’altalena dei giudizi dell’esperto di turno sulle politiche economiche in corso. Molti di voi lettori avranno notato la mancanza (apparente) di coerenza nelle affermazioni di diversi commentatori là dove un giorno esaltano un ottimo “+0,1% di occupazione mese/mese” ed il giorno dopo mostrano profonda preoccupazione per un “+0,1% delle ore di Cassa Integrazione Guadagni (CIG) stessi mese/mese”. Di rado vi sarà capitato di leggere un articolo o di assistere ad un dibattito televisivo dove si inseriscano in un contesto sistemico tutti gli indicatori menzionati, ragionando con prospettiva storica e valutando l’andamento economico in relazione ad obiettivi “mobili” [1] di breve, medio e lungo periodo.

Un esempio di apparente incoerenza del sistema economico si è presentato il 12 luglio 2020, in occasione della pubblicazione della relazione “2020 – The state of food security and nutrition in the world” (dati del 2019) redatto dalle agenzie internazionali FAO, UNICEF ed altre. [2]

Lo studio certifica che il numero delle persone afflitte da fame e malnutrizione cronica sia aumentato sensibilmente nel 2019, confermando il trend in crescita dal 2015. 

Il rapporto FAO esce in un periodo storico nel quale gli studi televisivi ospitano esperti economici e politici che, pur non negando il problema della fame nel mondo, presentano continuamente dati e tabelle per sostenere proposte di politica economica ancor più protese verso la globalizzazione. Affermano, questi studiosi, che nel periodo 2015-2019 il Pil dei Paesi meno sviluppati e di quelli più poveri ha registrato una crescita continua grazie al rafforzarsi del processo di globalizzazione economica nel mondo. Non solo, con statistiche e grafici alla mano, dimostrano agli spettatori che milioni di persone in quello stesso periodo sono state affrancate dalla fame e dalla povertà perché avevano trovato un’occupazione.

Una contraddizione tra il rapporto FAO ed i dati di crescita economica nella parte del mondo più svantaggiato che a molti ascoltatori appare incomprensibile.

E’ subito evidente che la contraddizione derivi dal metodo di analisi del problema e dal tipo di dati posti a base della discussione. Il rapporto FAO considera in condizione di fame o malnutrizione le persone con una capacità di acquisto inferiore ad 1,90 dollari USA per giorno, essendo questo importo considerato a livello internazionale il reddito giornaliero che consente l’accesso ad una dieta essenziale. Le relazioni delle Nazioni Unite, inoltre, misurano fame e malnutrizione in relazione anche al contenuto calorico e proteico della dieta a cui le persone possono permettersi di accedere. Diverso è l’approccio dei mass media: la globalizzazione ha portato lavoro (quindi reddito) a milioni di persone in territori che hanno registrato significativi incrementi del Pil. Dati senza dubbio reali: però, non ho mai sentito parlare né del salario reale (la capacità di acquisto) a disposizione di questi nuovi lavoratori, né delle condizioni sociali ed ambientali alle quali si è realizzato lo sviluppo economico del loro territorio.

E’ un confronto che non può portare ad una sintesi condivisa in quanto carente di correlazione tra i vari dati presentati: così buttati nell’agone mediatico, essi sono utili solo per declamare slogan ad effetto propagandistico. La comunicazione, compressa in spazi televisivi limitati e mirata ad un pubblico sempre più refrattario ad esposizioni complesse e, proprio per questo, lunghe, ci ha abituati ad avere fede nella sintesi numerica: i grafici ed i numeri percentuali, le medie ed i trend derivati da insiemi enormi di dati elementari dimostrerebbero in maniera inoppugnabilela buona o la cattiva gestione economica.

I numeri, però, di per sé, non significano molto se non sono accompagnati dalla descrizione dell’ambiente in cui si producono, dall’analisi delle cause e degli effetti dei fattori esogeni sull’ambiente stesso, del metodo con cui sono raccolti i dati ed i criteri del loro trattamento statistico.

Quasi mai la notizia economica contiene tali informazioni, e questo è uno dei motivi per cui emerge una apparente contraddizione tra comunicazioni riguardanti argomenti collegati ed affini: da un lato aumentano gli affamati e contemporaneamente dall’altro aumentano le persone affrancate dall’indigenza.

Un ulteriore elemento logico che spiega le contraddizioni comunicative economiche sta nella natura stessa del dato statistico: è un dato generico, che media i risultati ottenuti su un campione molto numeroso ed estremamente eterogeneo di casi. In pratica esso è un dato medio che da solo dice poco o niente della realtà sottostante. Un esempio per spiegarmi: nel 2019 l’Italia ha registrato un incremento del Pil pari a +0,3% rispetto al 2018 [3], ma ad un livello più raffinato di analisi abbiamo, ad esempio, le seguenti variazioni del Pil:

Italia – Nord Est: +0,5% (popolazione: 11.661.000 circa – estensione: 62.310 km quadrati)

Italia – Nord Ovest: +0,4% (popolazione: 16.114.000 circa – estensione: 57.950 km quadrati)

Italia – Centro: +0,2% (popolazione: 11.987.000 circa – estensione: 58.050 km quadrati)

Italia – Sud (Isole escluse): +0,2% (popolazione: 13.884.000 circa – estensione: 73.220 km quadrati)

E’ evidente la diversa portata informativa di questo dettaglio rispetto all’informazione generale: Pil Italia 2019 +0,3% per 60.239.000 abitanti, con una superficie di 302.000 km quadrati circa. Quel che intendo dire è che non sono i numeri e le percentuali, le statistiche e le tabelle elaborate su vaste aggregazioni di dati e scevri da ogni contestualizzazione storica e socio-politica, a spiegare i profondi meccanismi che generano gli effetti dell’economia globalizzata moderna e, quindi, consentirne una valutazione ragionata.

La relazione 2020 della FAO ed i risultati della globalizzazione quale processo economico positivamente influente sul problema alimentare di molti territori, nei termini in cui sono stati comunicati e dibattuti sui mass media, sono un caso concreto di come l’Omologazione di pensiero sorvoli le condizioni dell’individuo e della sua comunità per portare l’opinione pubblica ad un livello di generalizzazione tale da annichilire la percezione della natura originale del problema: una sorta di anestetico per le coscienze. Sì, perché questo modo di presentare i fatti economici genera la diffusa convinzione che il problema sia solo una astrazione numerica, lontano dalla singola persona, localizzato in luoghi remoti e non ripetibile nella nostra personale realtà. Ma non è esattamente così. Questi indicatori economici nascondono nelle loro medie generalizzanti realtà molto vicine a noi.

Un caso importante è la dinamica della produzione e commercializzazione di prodotti agricoli tra le sponde nord e sud del Mar Mediterraneo, coinvolgendo i Paesi del Maghreb ed i Paesi mediterranei dell’Unione Europea (tra i quali il più interessato è l’Italia, il suo Meridione in particolare e su cui ci soffermeremo nel prosieguo dell’articolo).

Dalle informazioni contenute nel report FAO/UNICEF 2020 si evince un progressivo incremento del numero di persone sofferenti per fame e malnutrizione, contando un totale di 690 milioni di persone nel mondo (8,9% della popolazione mondiale), con un incremento di 10 milioni rispetto al 2018 e di 60 milioni nel periodo 2015-2019 [2]. Il Nord Africa registra, nello stesso periodo, un aumento di 1,8 milioni di persone malnutrite negli ultimi 5 anni, passando da 13,8 milioni nel 2015 a 15,6 milioni nel 2019, +13% circa. [4]

Nello stesso periodo il Pil del Maghreb aumenta con percentuali che l’Italia può solo immaginare [5]: +4,1% nel 2019 ed una media superiore al 3% annuo dal 2015 al 2018, nonostante le scarse performances della Libia dovute alla nota situazione di instabilità politica e militare. Con queste percentuali di crescita ci si aspetterebbe anche un aumento dell’occupazione, così come insegnano le scuole economiche di riferimento in questi ultimi tre decenni [6]. Un’aspettativa che andrà delusa: la disoccupazione nell’area nord africana cresce, seppur di poco, come mostra in modo chiaro il grafico al link di cui alla nota [7].

Aumento del reddito prodotto (PIL), stagnazione o riduzione dell’occupazione, crescita dei livelli di malnutrizione: una incoerente dinamica che in forma similare si ripropone anche nel Mezzogiorno d’Italia.

Il grafico qui sotto riportato mostra come l’Italia tra il 2015 ed il 2019 abbia goduto di una crescita continua, seppur di valori inferiori al 2% annuo.

La disoccupazione nel periodo risulta in miglioramento costante, come evidenzia il seguente grafico.

Fonte: Istat Dicembre 2019

Sembrerebbe il classico caso di scuola ben riuscito (cresce il Pil e cresce l’occupazione), ma c’è una terza dimensione che crea qualche perplessità: le statistiche sulla povertà in Italia [8], che mostrano una marginale crescita delle persone in difficoltà, ed è sicuramente in disaccordo logico con i dati della disoccupazione. Da notare che il Meridione e le Isole maggiori sono le aree italiane con i valori di povertà più elevati.

L’Italia peninsulare ed i Paesi del Nord Africa: territori che condividono uno stesso mare, il Mediterraneo, inseriti in contesti politico-economici assai differenti, presentano la medesima apparente contraddizione logica.

Apparente, appunto. Perché una motivazione, un senso ci sono, ben nascosti tra le pieghe di una informazione tanto sensazionale quanto generica, frutto dell’Omologazione di pensiero, di cultura e di conoscenza, che tutto semplifica e nulla spiega. Con un po’ di pazienza, il gioco economico che produce questi dati incoerenti si paleserà in tutta la sua perversione.

La notizia-denunzia dell’aumento della fame nel mondo porta spontaneamente a chiedersi in primis se non sia possibile aumentare la produzione alimentare là dove il cibo più necessita. Ebbene, focalizzando l’attenzione sul bacino mediterraneo si riscontra un aumento della produzione agricola negli stati maghrebini, pur essendo essa soggetta ad avverse condizioni climatiche [9]. Nonostante la continua crescita della produzione agricola nell’ultimo decennio, il Maghreb è ancora lontano dal raggiungere l’autosufficienza alimentare, dovendo per ciò dipendere da forti importazioni dall’estero; eppure, l’export di prodotti agricoli ed animali verso le economie sviluppate vola.

Nel mare magnum dell’informazione on line l’evoluzione produttiva e commerciale di un ristretto numero di categorie di prodotti ha attirato la mia attenzione: cereali, frutta, ortaggi, olive e agrumi. Sono doni della Natura comuni a tutte le coste bagnate dal Mar Mediterraneo, coltivati con differenti tecniche adattatesi nel tempo ai vari luoghi, così che la fatica dell’uomo li plasma, da secoli, in prodotti sempre simili ma con peculiari caratteristiche diverse, creandone un gran numero di varietà ciascuna delle quali intimamente legata ad un particolare ed unico territorio. O perlomeno così è stato, fino a quando non si è trasformata la motivazione del commercio internazionale.

Queste coltivazioni nei secoli hanno sempre servito prima i bisogni locali e, nella eventuale parte eccedente, anche le esigenze delle comunità limitrofe tramite un commercio di “necessità”. Si vendeva altrove prodotti che ivi mancavano o che scarseggiavano, e lo stesso valeva per l’importazione. La Storia ha riservato fortune alterne alle rive mediterranee, e negli ultimi due secoli la sponda sud patisce a causa di situazioni politiche e sociali non idonee a consentire la piena espressione del suo potenziale economico ed umano.

L’Unione Europea è intervenuta in aiuto dei Paesi Maghrebini con accordi di vario tipo tesi a favorirne la piena determinazione politica, sociale ed economica. Nel corso dei decenni ultimi, lo sviluppo dei rapporti commerciali ha assunto un ruolo primario nel novero degli aiuti comunitari, articolati in un complesso quadro normativo disegnato dagli accordi FTA (Free Trade Agreement), EPA (Economic Partnership Agreement), accordi unilaterali e bilaterali.

Di tutto l’insieme dei trattati ed accordi, quelli pienamente operativi sono i bilaterali, che negli anni hanno superato ed assorbito i precedenti accordi unilaterali [10]. 

Gli effetti produttivi di tali iniziative sono stati certamente positivi, anche perché essi hanno creato nell’area le necessarie condizioni per agevolare i flussi di Investimenti Diretti Esteri e dei finanziamenti, anche a fondo perduto, della Unione Europea. Ciò che evidentemente non ha operato e tuttora non opera in maniera efficiente è il meccanismo di trasmissione della ricchezza aggiuntiva prodotta (ed il maggior volume di prodotti agricoli sottostante) verso il territorio maghrebino e la sua popolazione. Nei Paesi nord africani il Pil cresce a ritmi sostenuti ma il salario medio è in costante diminuzione [11].

Questa informazione rappresenta la prima coerenza con i dati sulla fame e malnutrizione nel Nord Africa tratti dal rapporto FAO. Ed in Sicilia, ad esempio, la Banca d’Italia registra nello stesso periodo la riduzione del potere d’acquisto, o reddito reale, dei lavoratori dipendenti [12], fatto strettamente correlato con l’aumento della povertà nell’isola italiana. Una correlazione comune a due aree caratterizzate da contesti molto diversi.

Un altro parallelismo tra le due sponde del Mediterraneo, in particolare tra la Sicilia il Marocco e la Tunisia, è che anche la nostra isola maggiore è destinataria di finanziamenti agevolati della UE per l’agricoltura (Programma di Sviluppo Rurale PSR Sicilia 2014 – 2020, in attuazione del Fondo Europeo Agricolo di Sviluppo Rurale – FEASR), con una dotazione di €. 2.212.747.000 per il quinquennio, la più consistente provvista tra quelle destinate alle regioni italiane [13].

Anche nel caso della Sicilia gli effetti di questi interventi europei si esauriscono sul lato della produzione, non incidendo essi sul reddito della popolazione siciliana.

Le iniziative della UE sull’area mediterranea sono numerose e consistenti, con notevole impegno di denaro pubblico anche a fondo perduto, e tutte con l’obiettivo di migliorare le condizioni economiche della popolazione; iniziative che però hanno raggiunto un risultato insoddisfacente dato l’aumento della produzione totale accompagnato dall’alimentarsi di una alterazione della concorrenza tra le sponde nord e sud del Mediterraneo (tra poco ne parleremo) e della riduzione del potere d’acquisto dei lavoratori nell’area, con un impatto generale negativo sulle condizioni economiche delle popolazioni rivierasche.

Una situazione che ha generato un senso di frustrazione diffuso ed un clima di sfiducia, se non a volte di ostilità, nelle politiche comunitarie, così come testimoniato dalla stampa locale siciliana quando dava conto delle proteste degli agricoltori isolani negli ultimi 3-4 anni. Fonte principale del malcontento è il fatto che l’eliminazione delle barriere tariffarie da parte della Unione Europea, normata tramite accordi con i Paesi nord africani, mette in concorrenza diretta l’agricoltura siciliana con quella maghrebina, dove i costi di produzione (soprattutto quello del lavoro, meno tutelato sotto il profilo economico e dei diritti dei lavoratori se confrontato con gli standard europei) sono inferiori del 40 – 60% e gli obblighi fitosanitari assai meno vincolanti. Alla nota [14] propongo una selezione di articoli, a mio parere assai significativi, che danno una misura del livello di irritazione raggiunta dal settore agricolo siciliano verso l’Unione Europea, il Marocco e la Tunisia.

Trascurando al momento gli aspetti meramente commerciali e riflettendo a livello macroeconomico, una seconda domanda scaturisce prepotente da quanto sopra scritto: dove si riversa l’incremento del Pil mediterraneo dell’ultimo decennio? Dove si è sedimentata tutta questa ricchezza?

Una traccia per comprendere questa confusa realtà la offre un articolo molto interessante, del giugno 2019, pubblicato dalla testata Morocco World News [15], nel quale il giornalista lamenta proprio il fatto che la crescita del PIL marocchino non sortisce effetto alcuno sull’occupazione. In breve l’analista, volgendo lo sguardo all’industria aerospaziale e automobilistica, rileva che grandi aziende straniere usufruiscono dei finanziamenti internazionali, stanziati per favorire l’occupazione, e li destinano alla costruzione di impianti robotizzati di assemblaggio dei componenti prodotti in Paesi dalle economie avanzate, per poi rivendere l’output di tali stabilimenti al di fuori del Marocco. Sottolinea soprattutto che nel 2019 questi investimenti hanno creato 4.000 nuovi posti di lavoro nell’industria e 114.000 nei servizi, a fronte della perdita di 152.000 posti di lavoro nei settori agricolo e ittico.

Tra i vari obiettivi degli accordi bilaterali UE – Marocco vi è quello di incrementare la produttività dell’agricoltura marocchina, il che si traduce in pratica nella concentrazione di terre in aziende sempre più grandi e aumentarne il livello di meccanizzazione per ottenere maggiori economie di scala, con conseguente espulsione dal mercato delle imprese marginali (le più piccole, con maggior incidenza sui ricavi dei costi di adeguamento alla modernità) ed il licenziamento di braccianti sostituiti nei campi dalle macchine.

Dunque, nonostante la dinamicità dell’economia marocchina sollecitata dalle politiche di intervento attuate, rimane la delusione per il fatto che la maggior produzione non porti maggior occupazione e reddito per la popolazione, nonostante gli enormi sforzi profusi sia dal governo marocchino, con il Plan Maroc Vert attivato fin dal 2008, sia dalla Unione Europea.

Gli investimenti diretti esteri aumentano la produzione agricola, la quale, grazie alla riduzione e eliminazione delle tariffe doganali, è molto competitiva in termini di prezzi rispetto alle produzioni europee e statunitensi, ed appunto in questi mercati più sviluppati trova un facile approdo. Ed il punto cruciale sta in questo dettaglio. L’eliminazione di questi dazi non è andata a vantaggio né dei lavoratori agricoli marocchini (che non vedono aumentare il loro potere d’acquisto), né dei consumatori europei (per i quali i prezzi a scaffale dei prodotti alimentari di media qualità registrano un costante aumento), né degli agricoltori delle aree rivierasche mediterranee europee (che non hanno la possibilità di abbassare i costi di produzione ai livelli di Marocco e Tunisia).

L’unico settore che trae vantaggio (enorme!) dallo sviluppo agricolo del Marocco (e del Maghreb in generale) è quello distributivo (grossisti importatori e grande distribuzione europei ed americani). L’export di prodotti alimentari richiede notevoli volumi di produzione, per i quali solo la grande distribuzione garantisce adeguati canali di sbocco al consumo in modo massivo, rapido e profittevole.

Un complesso sistema finanziario, produttivo e commerciale che in questo particolare ambito di riflessione pone in evidenza due facce, ben nascoste e strettamente collegate, della poliedrica Omologazione.

La prima, ben all’ombra della seconda, custodisce scolpito sulla sua granitica superficie l’indirizzo della destinazione finale del frutto dei fondi pubblici investiti. Eccola.

Il governo del Marocco e la UE hanno profuso denaro pubblico nell’agricoltura marocchina con l’obiettivo di aumentarne occupazione, produzione e di incrementare il reddito dei vari operatori del settore, conseguendo però un risultato parziale e largamente insufficiente. L’intervento non solo è improduttivo per la popolazione marocchina, ma ha portato anche ad una alterazione della concorrenza tra le sponde nord e sud del Mediterraneo, inducendo la UE ad intervenire con ulteriori finanziamenti a sostegno anche degli agricoltori europei (la nostra Sicilia ne è un esempio lampante, come descritto in precedenza). Una situazione negativa per una moltitudine di persone e ottimale per i “principi della distribuzione”, i quali comprano in Marocco a costi locali e rivendono in Europa a prezzi pari a quelli praticati dalle imprese europee. Un enorme profitto derivante dallo sviluppo dei volumi agricoli marocchino conseguito con l’investimento di capitali provenienti dalle casse pubbliche (e solo in minima parte dai loro borsellini!), ossia dalle tasche dei contribuenti maghrebini ed europei. Uno schema spesso riproposto in vari ambiti: costi pubblici e profitti privati!

La seconda faccia, per la quale tanto pubblico è il suo agire quanto riservata la sua finalità, afferisce alla comunicazione al grande pubblico. 

Posto che il principio cardine della globalizzazione, dichiarato nell’atto costitutivo del World Trade Agreement [16], è generare il massimo vantaggio per i cittadini tramite l’agevolazione del commercio mondiale, il libero scambio è il totem della politica economica del sistema internazionale contemporaneo. Equivale ciò a dire che il “consumatore” è la priorità mentre il “produttore” è al suo servizio: un rapporto tra i due attori della domanda ed offerta di tipo funzionale e gerarchico, non alla pari, come la dottrina capitalistica invece teorizza. Due categorie nell’arena, dove i consumatori possono percepire l’opportunità di grandi vantaggi ed i produttori devono fornire i grandi vantaggi intravisti dai consumatori.

Percepire e fornire: i due verbi artefici del successo dell’Omologazione.

Il “consumatore” deve rimanere soggetto ad un’alta aspettativa di un miglior tenore di vita, alimentata dalla convinzione che il commercio globale gli mette sempre e comunque a disposizione, qui e subito, il meglio che il mercato può produrre. Il “produttore” deve rifornire il mercato a condizioni sempre migliori per incontrare la preferenza del … consumatore? No! Del “distributore”!

E’ questo il dettaglio che la comunicazione deve tenere nascosto tra le mille notizie economiche frammentate, in ossequiosa obbedienza al volere dei “plutocrati del mercato globale”. Sì, perché se nella teoria del libero mercato di stampo capitalistico la domanda e l’offerta si incontrano grazie all’azione mediatrice dell’ideale “banditore d’asta” di Walras o, successivamente, di una Borsa delle Merci, i quali sono per ipotesi teorica neutrali, ossia non esercitano alcuna preferenza tra chi domanda e chi offre, nella realtà così non è. 

Per chi ancora crede alla favola della trasparenza del libero mercato sarà un brutto colpo, ma se ne faccia una ragione … perché nel mondo contemporaneo globalizzato, il “banditore d’asta” è il “distributore”. 

E nell’economia contemporanea, dove l’informazione del prodotto si affievolisce lungo le distanze geografiche ed annega nel caos di internet, il distributore è colui che da un lato seleziona i produttori e dall’altro informa il consumatore (pensiamo al supermercato che pubblicizza “… il nostro articolo, prodotto da agricoltori da noi selezionaticon rigidi criteri … “: il venditore ha un nome, il produttore no!).

Il distributore offre al consumatore ciò che lui ha selezionato in base alla sua convenienza, comunicando al consumatore la qualità che esso desidera senza che lo stesso abbia la possibilità di verificare (chi può verificare effettivamente come sono trattati i braccianti che producono le olive in Tunisia o in Sicilia, quando l’etichetta ti dice “provenienza delle olive: Paesi UE ed extra UE”?).

La comunicazione di massa è appunto la più efficacie arma dell’arsenale a disposizione dell’Omologazione: ti satura di informazioni opportunamente suddivise per argomento e scandite nel tempo, senza porle in relazione di alcun tipo, così che formalmente non nasconde niente ma in realtà non dice tutto.

E’ dunque grazie alla frammentazione delle informazioni che è possibile omologare comportamenti di massa ed opinioni pubbliche in modo tale da permettere che in Maghreb continuino ad aumentare le persone che soffrono i morsi della fame, che nelle aree mediterranee aumenti la popolazione in povertà, mentre in televisione si esaltano i miracolosi risultati della globalizzazione … ed i “principi della distribuzione”, indisturbati, gonfiano sempre più i loro portafogli. Dunque la contraddizione dell’informazione all’origine di questo articolo, come già anticipato, è solo apparente. L’aumento della fame nel Maghreb, l’aumento del PIL in tutta l’area mediterranea e l’aumento della povertà nel meridione italiano, tutto insieme ha una spiegazione economica, coerente con i principi fondamentali dell’Omologazione e con gli interessi ben chiari della sua plutocrazia.

E mentre monta il risentimento degli agricoltori siciliani verso i colleghi maghrebini e le istituzioni europee, mentre i già poveri emigrano verso sempre più ostili terre che a loro volta si vedono avviate inesorabilmente sulla via di una povertà crescente, la Comunicazione economica continua nel suo ruolo di “anestesista delle coscienze”, proponendo loro sempre più massicce dosi di ottimistiche aspettative in un meraviglioso futuro economico per annullare la sensibilità di una realtà attuale che corre verso un globalizzato declino sociale.

Ma l’ultima serie di ingenue domande che mi tormentano la mente, ma alle quali non riesco trovare informazioni per cercare una risposta è: ma non è possibile dirottare i maggiori volumi alimentari maghrebini verso la popolazione che lì necessita di cibo? L’Unione Europea come può consentire che i suoi denari pubblici non smuovano di uno zero virgola la situazione alimentare in Nord Africa? L’Europa ha proprio bisogno anche di queste derrate africane per sfamarsi? Tra venti anni saremo ancora a contare numeri vergognosi di persone che muoiono di fame? Ma noi europei, non abbiamo nessun vile interesse a che il Maghreb risolva questa piaga? Perché persistere nel porre in contrapposizione gli agricoltori siciliani e maghrebini, senza tentare di unire in armonia gli sforzi delle due sponde di uno stesso mare?

Politica, Etica, per cortesia … se esistete, battete un colpo!

Angelo De giuli

NOTE

[1] Gli obiettivi (primari, secondari, strategici o intermedi) devono essere aggiornati in funzione delle situazioni contingenti che la Storia propone. Le variazioni degli indicatori statistici, nel loro insieme di relazioni, consentono una valida valutazione delle scelte economiche e finanziarie solo se rapportate alle variabili esogene del sistema economico. 

[2] Un sommario del contenuto della relazione è disponibile a questo link: https://www.unicef.it/doc/9983/rapporto-sicurezza-alimentare-2020-malnutrizione-globale-in-aumento.htm, mentre la relazione FAO completa può essere visionata all’indirizzo http://www.fao.org/3/ca9692en/CA9692EN.pdf

[3] https://www.istat.it/it/archivio/245005

[4] http://www.fao.org/3/ca9692en/CA9692EN.pdf si veda la tabella a pag 28.

[5] https://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2020/02/03/news/africa_c_e_crescita_economica_stabile_nonostante_la_crisi_globale_nel_2019_del_3_4_del_3_9_nel_2020_fino_al_4_1_nel_2021-247477095/

[6] Le politiche economiche contemporanee che annoverano tra i loro obiettivi la riduzione dei livelli di disoccupazione vincolano tale obiettivo alla crescita del Pil, condizione questa ritenuta imprescindibile per creare occupazione. La logica sottostante è: più domanda comporta un aumento della produzione, quindi maggior occupazione. Infatti le azioni economiche si incentrano su agevolazioni al consumo (detrazioni e bonus) e sussidi ed agevolazioni fiscali alla produzione.

[7] https://tradingeconomics.com/middle-east-and-north-africa/unemployment-total-percent-of-total-labor-force-wb-data.html Il grafico mostra come non vi sia corrispondenza tra la crescita del Pil e quella dell’occupazione, nello stesso periodo 2015 – 2019.

[8] https://www.istat.it/it/files/2019/06/La-povert%C3%A0-in-Italia-2018.pdf , si veda il grafico a pagina 7. Si considera il report del 2018 in quanto l’anno successivo vi è stata l’attivazione del reddito di cittadinanza, che ha inciso sul risultato ma ha introdotto un elemento di disomogeneità nel confronto storico.

[9] A questi link è possibile visionare gli sviluppi della produzione agricola in Nord Africa. 

Marocco: https://tradingeconomics.com/morocco/gdp-from-agriculture

Algeria: https://tradingeconomics.com/algeria/gdp-from-agriculture

Tunisia: https://tradingeconomics.com/tunisia/gdp-from-agriculture

Egitto: https://tradingeconomics.com/egypt/gdp-from-agriculture

[10] Gli iniziali accordi unilaterali prevedevano l’abbattimento dei dazi doganali in favore di uno Stato, così che potesse avere facile accesso al mercato europeo. Successivamente questi accordi sono stati rinegoziati in chiave di reciprocità, aprendo essi a loro volta i propri mercati ai prodotti europei, in un rapporto appunto bilaterale.

[11] https://www.ilo.org/africa/information-resources/publications/WCMS_728363/lang–en/index.htm

A pag 9 del documento pdf ivi proposto vi è un eloquente grafico dell’andamento delle retribuzioni reali in Africa, con serie storica dal 2007 al 2017. Per il Maghreb vale quanto riferito a pag. 8 dello stesso documento: “Taking Africa as a whole, they [wages] have fallen by 5 per cent between 2014 and 2017, with a sharper decline of 8 per cent in northern Africa”

[12] https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/economie-regionali/2020/2020-0019/2019-sicilia.pdf

A pag. 31 è evidenziato l’andamento negativo del reddito netto familiare in Sicilia dal 2015.

[13] http://www.irpais.it/programma-di-sviluppo-rurale-psr-sicilia/

[14] Questi due articoli, https://siciliarurale.eu/la-sicilia-contraria-ad-altri-accordi-con-i-paesi-del-nord-africa-in-pericolo-lortofrutta-nostrana_1367/ e https://www.ragusanews.com/2016/03/10/economia/lo-splendido-accordo-ue-marocco-mette-in-ginocchio-la-sicilia/63617 riportano l’ostilità verso gli accordi bilaterali UE- Marocco/Tunisia, mentre il terzo, https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/02/11/il-pomodoro-di-pachino-schiacciato-dai-trattati-ue-gli-agricoltori-raccoglierlo-non-conviene-la-politica-ci-prende-per-i-fondelli/4137680/  fornisce un taglio diverso e preoccupato degli effetti sulle produzioni tipiche siciliane di questi accordi commerciali.

[15] https://www.moroccoworldnews.com/2019/06/275140/acceleration-growth-unemployment-morocco-industries/  

[16] “Secondo l’atto istitutivo del Wto, l’Organizzazione fornisce un quadro istituzionale comune per i negoziati commerciali tra i suoi membri, al fine di permettere a questi ultimi di condurre le proprie relazioni commerciali con l’obiettivo di accrescere il tenore di vita dei propri cittadini, assicurare la piena occupazione e un volume crescente di reddito, espandere il commercio di beni e servizi salvaguardando un uso ottimale delle risorse mondiali compatibile con la tutela dell’ambiente. Esso riconosce inoltre la necessità di garantire che i paesi in via di sviluppo si assicurino una quota nella crescita del commercio internazionale commisurata alle proprie esigenze di sviluppo economico.” Testo tratto da: http://www.treccani.it/enciclopedia/world-trade-organization-organizzazione-mondiale-del-commercio_%28Atlante-Geopolitico%29/