RICORDARE È UN DOVERE, MA RICORDARE TUTTO!

di Fabrizio Maltinti (*)

(22.01.2018)

Quella in corso è la “Settimana della Memoria”, la settimana in cui si commemora la tragedia umana dell’Olocausto, il genocidio perpetrato dalla Germania nazista nei confronti degli ebrei d’Europa.

La persecuzione degli ebrei in Germania iniziò con le “Leggi di Norimberga” del 1935, proseguendo con la “Notte dei cristalli” del 1938 – il pogrom con cui, oltre alla distruzione fisica delle attività commerciali di proprietà di ebrei, iniziò la deportazione di circa 20.000 ebrei nei campi di concentramento di Dachau, Buchenwald e Scahsenhausen, cui fece seguito un progetto di emigrazione forzata degli ebrei in Palestina (politica che fallì anche per l’opposizione degli inglesi di accoglierli in Palestina che, ricordiamo, era un loro “mandato”).

L’inizio della Seconda Guerra mondiale e l’invasione della Polonia segnarono un mutamento radicale della “questione ebraica” in quanto, in Polonia, vivevano oltre 3 milioni di ebrei. Inizialmente, a partire dal 1939, nelle principali città polacche, vennero realizzati dei “ghetti”, quartieri iper-affollati, in cui gli ebrei venivano rinchiusi ed isolati e dove, a causa dell’affollamento e della scarsa qualità delle condizioni di vita, la fame e le malattie provocarono tassi di mortalità elevati. Dopo una serie di progetti di deportazione degli ebrei in Africa (in Madagascar, in particolare) o nell’Est europeo, nel 1941 si arrivò alla cosiddetta “soluzione finale” che prevedeva l’internamento degli ebrei nei campi di concentramento ed il loro sterminio con il gas. Progetto che ebbe inizio nel 1942 con l’inizio degli afflussi nei campi di Belzec, Sobibor e Treblinka e, nell’anno successivo, ad Auschwitz.

Solo il catastrofico peggioramento della situazione bellica ed il collasso della Germania pose una fine a questa tragedia umana che, in pochi anni, causò la morte di un numero di ebrei che oscilla tra i 5 ed i 6 milioni.

Giusto, quindi, mantenere questa “Memoria”, soprattutto perché fatti come questi non debbano ripetersi mai! Tuttavia, purtroppo, questa sacrosanta memoria, con il passare del tempo, si è trasformata in un “alibi”; l’alibi che tutte le Nazioni occidentali – gli USA in testa – hanno concesso, e concedono, agli aberranti comportamenti dei vari Governi israeliani.

Che l’Olocausto sia funzionale ad Israele è dimostrato dal fatto che si iniziò a parlare in maniera diffusa e propagandistica del genocidio del popolo ebraico, non dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, dopo il Processo di Norimberga (che quei fatti mise in luce) ma solo dopo il 1967, anno in cui, con la guerra lampo cosiddetta “dei sei giorni”, Israele invase parti dell’Egitto (la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza), della Giordania (la Cisgiordania e Gerusalemme), della Siria (le alture del Golan) e l’intero territorio della Palestina, distruggendo, al contempo, le capacità militari difensive degli Stati citati. Secondo il Diritto Internazionale, si trattava di una proditoria aggressione di Stati sovrani che, tuttavia, fu tollerata e giustificata in nome del fatto che “Israele ha il diritto di difendersi”.

Da allora, e fino ai giorni nostri, la propaganda dell’Olocausto è sempre stata rinverdita attraverso la “Memoria”, tanto è vero che lo stesso Rabbi Arnold Jacob Wolf – un Rabbino riformista statunitense – ebbe a dichiarare “A me sembra che l’Olocausto venga venduto, più che insegnato”.

Per questo, i governi israeliani succedutisi hanno largamente profittato di questa forma di consenso “a prescindere”, soprattutto nella repressione violenta del Popolo palestinese.

Per fare un esempio paradigmatico, solo nel corso della campagna militare denominata “Operazione Piombo Fuso”, lanciata dall’esercito israeliano con l’intento dichiarato di “colpire duramente l’amministrazione di Hamas nella Striscia di Gaza”, condotta dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009, in poco più di venti giorni furono fatte circa 1500 vittime, tra cui 417 bambini, 120 donne, 120 anziani, 14 soccorritori e 4 giornalisti. Inoltre, sono stati bombardate 67 scuole, 37 ospedali e 27 moschee. Il tutto senza che vi sia stata la minima conseguenza per Israele ed i suoi governanti. Morti e distruzioni che, sebbene non con i medesimi numeri, sono continuati, e continuano, fino ai giorni nostri.

Senza tacere che, da oltre 10 anni, Israele ha imposto un embargo sulla Striscia di Gaza che ha reso le condizioni di vita della popolazione palestinese assolutamente pessime; a Gaza, oggi, i due milioni di cittadini vivono senza luce e soltanto grazie agli aiuti umanitari internazionali.

Ogni bene, anche quelli di prima necessità, passa sotto il controllo delle forze israeliane, che però, con la giustificazione di evitare che entrino nel territorio palestinese oggetti utilizzabili per costruire armi, privano la popolazione di oggetti essenziali per la vita comune, a partire dai materiali edili.

La Striscia di Gaza rappresenta il simbolo di una tragedia dove ci sono responsabilità di tutti: di Israele, di Hamas, del Governo palestinese e della Comunità Internazionale che non vuole (o non può) vedere.

Recentemente le Nazioni Unite hanno stilato un report sulla situazione della vita all’interno dell’enclave palestinese, secondo cui i parametri sociali ed economici della vita dei palestinesi si stanno inesorabilmente deteriorando. Gli stipendi sono ridotti al minimo, le condizioni igieniche sempre peggiori, l’elettricità c’è solo per pochissime ore al giorno e le fonti di acqua potabile si andranno ad esaurire in pochissimo tempo.

Inoltre, Amnesty International, nel suo “Rapporto annuale 2016-2017”, oltre ad evidenziare la citata restrizione al movimento dei cittadini di Gaza, mette in luce come le Autorità israeliane hanno detenuto e continuato a trattenere migliaia di palestinesi; la maggior parte in penitenziari situati in territorio israeliano e, in numerose occasioni alle famiglie dei prigionieri, soprattutto quelli di Gaza, non è stato permesso di entrare in Israele per visitare i loro familiari in carcere.

Le autorità israeliane, per di più, hanno continuato ad arrestare centinaia di minori palestinesi in Cisgiordania e Gerusalemme Est ed a detenerli in condizioni disumane.

Agenti dell’esercito, della polizia e dell’agenzia israeliana per la sicurezza, risulterebbe abbiano maltrattato e/o torturato detenuti palestinesi – compresi minori – ma, nonostante le oltre 1.000 querele in tal senso, le autorità non hanno ancora avviato alcuna indagine penale.

Ma non si tratta solo di questo. In Cisgiordania (inclusa Gerusalemme Est), le Autorità israeliane, oltre a continuare la costruzione di alloggi nei “territori occupati” (in barba alla Risoluzione approvata dal Consiglio di Sicurezza delle NU, che chiede al governo di Israele di “interrompere ogni attività” nei propri insediamenti nei cosiddetti “territori occupati” palestinesi e a Gerusalemme est, definendo l’occupazione “senza validità legale” e rischiosa per il processo di pace), hanno demolito almeno 1.089 abitazioni di palestinesi e altri edifici, sgomberando con la forza oltre 1.593 persone.

Tutto ciò viene, malgrado le inchieste ed i rapporti di molte Agenzie umanitarie dell’ONU, di fatto ignorato dalla Comunità Internazionale, in nome delle sofferenze patite dal Popolo ebraico a causa dell’Olocausto.

Laddove ciò non bastasse, qualsiasi critica a questa palese violazione dei diritti umani e del diritto internazionale, viene bollata come “antisemita”, se non “negazionista” dell’Olocausto stesso. A tal punto che una Risoluzione dell’Onu del 26 gennaio 2007 condannava il negazionismo e chiedeva agli Stati membri di condannare “qualunque negazione dell’Olocausto”. In alcuni paesi (Francia, Italia, Germania, Polonia, Austria, Svizzera, Belgio o Paesi Bassi), la negazione dell’Olocausto è configurata come reato, mentre in altri (Israele, Portogallo e Spagna) è punita la negazione di qualsiasi genocidio. Norme anti-negazioniste sono anche state introdotte negli ordinamento di Nuova Zelanda, Svezia, Australia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lituania e Romania.

La paranoia ideologica sull’Olocausto è arrivata al punto di stabilire che l’Olocausto del Popolo ebraico perpetrato dalla Germania è “unico” e che asserire che nel corso della storia vi siano stati altri genocidi, equivarrebbe a negare il solo, vero Olocausto.

Il vero paradosso è che, come ci spiega Norman G. Finkelstein1 nel suo libro “L’industria dell’Olocausto2, la Memoria del passato Olocausto, da atto di accusa e paradigma del crimine contro il genere umano, è divenuta, nel tempo e con la mirata manipolazione ideologica, atto giustificativo di altrettanto aberranti crimini contro l’umanità e, quindi, sufficiente a respingere, nel presente, qualsiasi critica ai comportamenti dello Stato di Israele.

Fabrizio Maltinti

(*) Inizia con questo articolo la collaborazione di Fabrizio Maltinti.

Ufficiale della M.M. a riposo, laureato in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali, appassionato e studioso di conflitti e dinamiche internazionali, in particolare nell’area del Vicino e Medio Oriente.

Ha prestato servizio per oltre quarant’anni con la Brigata San Marco, con la quale ha servito nei vari teatri operativi (Beirut, Libano 1982-1984; Mogadiscio, Somalia 1992-1994; Sarajevo, BH 1995-1996; Pristina, Kosovo 1999 e 2004; Naqura, Libano 2006). Nel periodo 1995-2001 ha servito presso i Comandi Nato di Napoli (1995-1999) e Mons, Belgio (1999-2001) dove, tra l’altro, durante la crisi Kosovara, ha svolto anche l’incarico di Portavoce NATO nel corso di svariate live press conferences ed é stato impiegato come docente di “Pianificazione strategica” presso la Scuola NATO di Oberammergau (Germania).

Maltinti vanta anche importanti esperienze di impiego internazionale (2009/12, Tolone, presso la Marina Francese) e di insegnamento di alto livello (insegnante alla Scuola Anfibia della Forza da Sbarco e presso l’Istituto Superiore di Studi Marittimi di Venezia, 2001/09; Università del Salento di Lecce quale insegnante al Master “Cooperazione internazionale in materia dei diritti umani e sostegno alla pace, PEACEKEEPING”, 2007).

Nel 2017 ha pubblicato il saggio “L’eredità del Profeta da Maometto all’ISIS…. le colpe dell’Occidente”.

1 Nato a Brooklin, N.Y. nel 1953, Finkelstein è uno storico e politologo statunitense, oltre che uno scrittore e Professore Universitario, di religione ebraica e figlio di due sopravvissuti al ghetto di Varsavia ed al campo di Aushwitz.

2 L’Industria dell’Olocausto (The Holocaust industry), BUR, Milano, 2004

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