“Analisi dell’area mesopotamica, scenari protagonisti attori e prospettive Le prime mosse della nuova amministrazione americana in Mediterraneo L’inviato in zona di crisi”

Il progetto “Lungo le rotte del corallo” di OMeGA

Martedì 24 gennaio 2017 – 1500/1900 – Circolo Uff/li della Marina, sito in l/tevere Flaminio 45

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atti del convegno

PRESIDENTE DI OMeGA

Scusate il leggero ritardo. Sono d’obbligo i ringraziamenti per lo Stato Maggiore della Marina che ha concesso questa sala, la direzione e tutto il personale del circolo che ha reso possibile l’evento con un aiuto manuale e organizzativo non indifferente. Ma ringrazio soprattutto il pubblico, in particolare i giornalisti, che su un portale con offerte anche più allettanti della nostra, che hanno scelto. E quindi grazie per essere qui. Abbiamo organizzato questo convegno per offrire un punto della situazione sulla complicata situazione in Medio Oriente. Non dico nulla sui contenuti della serata, sia perché non ne ho titolo, sia perché lo faranno meglio gli esperti che hanno gentilmente accettato, superando anche diverse difficoltà, di essere presenti qui con noi questa sera. Il dottor Nigro è stato precettato dal suo giornale per un impegno imprevisto e non sarà con noi, e anche dell’onorevole Touadi non ho notizie. Comunque la compagnia resta accettabile.

Vi presento i relatori.

Mario Boffo è ambasciatore e tra gli incarichi più recenti e prestigiosi, è Consigliere alla Rappresentanza permanente d’Italia presso il Comitato Atlantico in Bruxelles, metà degli anni ’90 Capo missione diplomatica nello Yemen e nell’Arabia Saudita.

Germano Dottori che è già con noi, da solo, prende un attimo di respiro perché viene direttamente da una sessione di esami. È docente in International Studies presso l’Università di Malta, è titolare della cattedra di sicurezza internazionale, docente in studi strategici presso la Luiss. Dal gennaio 2001 al aprile del 2006 è stato Consulente del Presidente della Commissione Affari Esteri del Senato della Repubblica. Dal ’96 al 2006 è stato consulente presso la Camera dei Deputati in materia di Affari Esteri e difesa. È segretario generale del Centro Studi Strategici di Politiche Internazionali presso la Luiss. Membro del Comitato di Redazione di  Limes dal novembre 2009 e membro dell’Osservatorio Strategico di Nomisma dal dicembre 2009. È autore di numerose pubblicazioni e articoli. Ci tiene spesso compagnia nei talk show politici in TV.

Alberto Negri, anche lui è qui. Tra l’altro credo che sia pressato da impegni successi al nostro. Giornalista, scrittore, inviato speciale del Sole24Ore. Nel 1980 compì il suo primo viaggio in Iran e ha seguito negli ultimi trent’anni i principali conflitti bellici e politici in Medio Oriente, Balcani, Africa e Asia Centrale. È membro dell’ISPI, Istituto di Studi di Politica Internazionale. Capace di spiegare, oltre che di raccontare, situazioni politiche, sociali ed economiche assai complicate. Efficace nel rendere accessibile a tutti i lettori la politica internazionale, di sfidare la censura e di non sottrarsi al dovere di cronista anche in situazioni a rischio. Per queste caratteristiche è stato insignito nel 2011 del riconoscimento speciale Premio Città di Viareggio.

Dirigerà la tavola rotonda Paolo Casardi, ambasciatore, laurea in Scienze Politiche alla Sapienza nel ’72, in diplomazia dal ’74, in carica a vario livello nelle sedi di Parigi, Milano, Londra, Bruxelles, New York e Santiago. Tra gli incarichi ricoperti, direttore degli affari politici al Segretariato dell’UE, Primo Consigliere alla Missione Italiana all’Onu e membro del team nel Consiglio di Sicurezza. Successivamente, Capo di Gabinetto del Ministro per gli Affari per gli Italiani nel Mondo e ambasciatore in Cile. Rientrato a Roma, è diventato Direttore dell’Unità per le autorizzazioni all’importazione e esportazione di armamenti, come direttore Generale del Ministero e degli Uffici all’estero. Lasciato il servizio attivo, è da quest’anno Vice Presidente del Circolo Studi Diplomatici.

Non parlo della nostra associazione. Gli amici che ci seguono abitualmente o da tempo sanno già chi siamo e conoscono tutti i nostri limiti. Preferisco i 5 minuti che mi rimangono ancora, per informarvi del progetto a cui stiamo lavorando da tempo, che è arrivato ormai al suo compimento e con i temi di questo convegno ha molti punti in comune. La pubblicazione del nostro giornale, Omeganews.info e l’attività congressuale che organizziamo in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti del Lazio, ci soddisfano e ci gratificano già moltissimo. Vorremmo compiere un ulteriore passo. (poi vedrete un’altra slide).

Oltre che parlare dei Paesi mediterranei, vorremmo provare a parlare con i Paesi Mediterranei, con rappresentanti qualificati delle istituzioni e della società. Individuare con essi interessi in comune e necessarie strategie, favorendo l’incontro di imprenditori internazionali e scambiare il know-how, conoscenza ed expertise. Collaborare ad integrarsi senza annullarsi nell’anonimato del mercato globale, offrirsi vicendevolmente vetrina, privilegiando le entità tradizionali e regionali, al di fuori delle ottiche, delle regole sovranazionali estese e ricercando i motivi per una forma di federazione mediterranea. Non so se ci riusciremo, ma ci proveremo. Quest’estate, dal 22 giugno al 3 luglio navigheremo, a bordo di una flottiglia di imbarcazioni da riporto, verso Algeri e Tunisi. Le capitali di due paesi che intrattengono con l’Italia ottime relazioni in ogni campo. Due paesi i cui ambasciatori avevano dato la loro disponibilità ad essere presenti, non sappiamo cosa sia accaduto… ma hanno dimostrato un vivo interesse per il progetto e ci stanno fornendo molto aiuto in campo organizzativo. Se, poi, oltre ai nostri amici algerini e tunisini, ci seguiranno anche imprenditori italiani e sponsor, allora credo che sarà l’alba di un nuovo capitolo per OMeGA. E per finire, speriamo molto nell’aiuto mediatico di quei giornalisti presenti in sala, che crederanno nel nostro progetto. Siamo convinti che a causa della sua inusualità, avrà qualche probabilità di riuscita solo se sostenuto mediaticamente. E voi, specialisti in Esteri, siete coloro che meglio possono capire il significato dei suoi obiettivi. Vi ringraziamo anticipatamente e vi auguriamo un ottimo ascolto. Grazie, Ambasciatore.

PAOLO Casardi

Questa sera ci vogliamo occupare dell’area mesopotamica e abbiamo, per parlarne, dei pannellisti di primissima scelta che vi ha appena presentato l’ammiraglio, e che ringrazio. Naturalmente un cenno particolare sarà fatto alle nuove idee che ci provengono d’oltre oceano, cioè dalla politica americana. Comunque, per dare un po’ di ordine alla conversazione, potremmo anche fare un riferimento deciso a quella che è nota come la teoria dei cerchi concentrici, che serviva anni fa a spiegare l’insolubilità del problema arabo-israeliano ma che si attaglia perfettamente a qualunque ipotesi. O, meglio, a qualunque realtà di instabilità nell’area medio orientale.

Questa teoria vede un primo cerchio, si parla di cerchi concentrici. Il primo cerchio dove sono i contendenti, che paradossalmente è il più facile da risolvere perché i due contendenti nel dipanarsi della loro vicenda, a volte si mettono d’accordo oppure c’è una parte che prevale sull’altra, quindi l’accordo, o per lo meno il fatto di subire questo accordo non è impossibile. Però esiste un secondo cerchio, che è quello dove sono le potenze regionali che non hanno le stesse idee dei contendenti. Quindi le soluzioni che questi trovano spesso alle potenze regionali non piacciono. Quando addirittura, come un po’ nel caso di oggi, non sono proprio le potenze regionali che sono alla base del contenzioso. E questo rende le cose naturalmente un po’ più difficili. Esiste poi un terzo cerchio, che è quello delle potenze globali, non prive di interessi per quello che succede a livello locale. E questo complica ulteriormente le cose. Oltre poi alle potenze globali, ce ne sono altre meno globali che però sono capaci di influire su quella zona, vedi per esempio l’Europa sul Medio Oriente. Perché non si può dire veramente che l’Europa sia una potenza globale, nemmeno purtroppo presa nella sua interezza, ancora oggi non c’è ragione per prenderla nella sua interezza perché la base politica ancora non ce l’abbiamo. Abbiamo alcuni elementi di quello che potrebbe diventare un domani una base politica per l’Unione Europea, ma è certamente in grado di influire sul Medio Oriente anche se non in modo conclusivo. Quindi se calcoliamo, per semplicità, solo questi tre cerchi: il primo dove sono i contendenti, il secondo dove sono le potenze regionali e il terzo dove sono quelle globali, capiamo che ogni situazione di instabilità in Medio Oriente è veramente difficile da risolvere per l’intervento di tanti interlocutori. E volevo pregare i pannellisti, se sono d’accordo, di tenere presente questo schema a seconda dell’area di stabilità che vorranno analizzare. Di tenere presente un po’ quello che succede a livello di contenzioso, a livello di potenze regionali e a livello delle potenze globali. Tanto più che oggi abbiamo questo speciale interesse, che dicevamo con l’Ammiraglio, cioè del sorgere della politica di un nuovo presidente americano e che cosa questo significhi per l’area. L’ammiraglio La Rosa mi ha pregato di dire, a parte questo primo giro di 10 minuti ciascuno che faremo su questo argomento, cioè l’instabilità, di dire in anticipo anche l’argomento del secondo giro e forse anche quello del terzo, se ci sarà tempo.

Come secondo giro vorrei dire che il 2017 è un anno di straordinario impegno internazionale dell’Italia. In che senso? Nel senso che l’Italia presiederà o farà parte di formati internazionali in via simultanea, cosa che non era mai successa prima. Allora, come è potuto succedere questo? Intanto, di cosa parliamo? Parliamo della Presidenza del G7, il gruppo dei paesi che una volta erano chiamati maggiormente industrializzati, adesso si dice quelli che hanno la ricchezza netta più alta. E in effetti questa presidenza ci viene di diritto. Non è una presidenza che ci siamo andati a cercare, ma che vi viene per rotazione. Però, contemporaneamente, l’Italia il primo gennaio ha assunto la Membership del Consiglio di Sicurezza, come membro ovviamente non permanente, dopo un ballottaggio molto combattuto con Olanda e Svezia, e riuscendo a sconfiggere la Svezia e a pareggiare con l’Olanda, cosa che ci permette di rimanere un solo anno. Tenuto conto però che l’abbiamo fortemente voluta questa candidatura, proprio per cercare di fare in modo che l’Italia avesse un ruolo importante per influire su alcune situazioni di instabilità che per noi sono molto gravi, come esempio la situazione in Libia, la cosa dev’essere vista come un successo. Stessa cosa abbiamo fatto anche con OSCE, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa di cui prenderemo la presidenza il 1 gennaio del 2018. E per il 2017 saremo presidenti del Gruppo di Contatto per il Mediterraneo. Quindi torniamo alla zona che c’interessa oggi, dove potremo fare molte cose. Anche se l’OSCE, come voi saprete come giornalisti specializzati, è un’organizzazione che si occupa di misure della costruzione della fiducia e quindi diciamo che è un intervento piuttosto limitato rispetto a un negoziato completo. Però si possono fare molte cose. In più, in tutto ciò c’è la celebrazione dei trattati di Roma, cioè dei trattati del 1957 che compie 62 anni. E intendiamo a Roma, intendono nell’Esecutivo, dargli una grande importanza e approfittare dell’evento per sollevare delle problematiche, insieme all’Unione Europea che più ci interessano. Poi lascerò ai colleghi dire quali sono queste problematiche, a seconda di cosa vorranno menzionare, ma per tutti questi appuntamenti non c’è dubbio che noi avremo sempre la tendenza a sollevare alcuni argomenti che sono fondamentali soprattutto per la nostra sicurezza nazionale, come l’immigrazione, come la necessità di lavorare contro l’instabilità, come il terrorismo, come i rapporti con la Russia che a questo punto, tenuto conto dell’esigenza di vedere anche in chiave europea la questione della difesa con i principali alleati, comincia a costituire una questione di sicurezza nazionale. In più, si può anche citare l’elezione di un italiano al Parlamento Europeo, anche se questa non è stata una decisione del governo ma è comunque un’iniziativa politica italiana. Ecco, una cosa del genere io ho 42 anni di politica internazionale sulle spalle, e non l’avevo mai vista. Cioè che l’Italia fosse contemporaneamente presente a questo livello, cioè di Presidenza, o di membro di comitati molto selettivi come il Consiglio di Sicurezza, tutti insieme nello stesso anno non l’avevo mai visto. Avendo da poco lasciato il ministero dicevo, dove vogliamo arrivare? Cosa vogliamo fare con questo?

Credo che sia stato un atto di volontà dei governi che hanno immediatamente preceduto il presente, per dare proprio all’Italia gli strumenti per influire incisivamente nella realtà internazionale avendone compreso l’importanza, soprattutto per ragioni di sicurezza nazionale. Non dimentichiamo che il primo operatore di sicurezza nazionale è il Ministero degli Esteri. Una saggia politica degli esteri è la migliore arma per garantire la propria sicurezza. Lo ha dimostrato, e voglio buttarmi su un esempio storico, l’Impero Romano d’Oriente, che è vissuto molti secoli in più rispetto a quello d’Occidente lavorando molto più sulla diplomazia che sulle Forze Armate. Con tutto il rispetto per le Forze Armate che oggi costituiscono una delle parti della politica estera, così come cominciano ad esserlo tante altre amministrazioni interne che una volta avevano poco a che fare. Oggi si può dire che anche il Ministero dell’Interno fa parte dell’attività di sicurezza nazionale, tenendo conto di che cosa si occupa e parlando di immigrazione, questo si capisce. Anche il Ministero della Sanità o il Ministero dei Beni Culturali, quando poi parleremo, vedremo che fanno parte tutti di questo nuovo coordinamento per la sicurezza e per la politica estera migliore possibile.

C’è forse un ultimo aspetto che potrebbe essere un terzo giro, se ce la facciamo, che è quello dell’ipotesi di una conferenza generale nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, che potrebbe essere utile soprattutto a una cosa. Abbiamo visto nell’esercizio di questi anni che i negoziati per gli stati affetti da instabilità non hanno dato, e non stanno dando, grandi risultati. Anche il negoziato di oggi di Astan, ha delle pecche che dovrebbero essere risolte probabilmente con il ricorso a uno stadio, a un livello superiore. Cosa vuol dire? Vuol dire che i problemi medio orientali in generale sono talmente interconnessi che è praticamente impossibile risolverli a livello esclusivamente nazionale. Se non si esce un po’ dalle frontiere e non si affrontano questi problemi in modo più olistico, si direbbe oggi, cioè in modo più vasto per quanto riguarda la regione, è un po’ difficile far scattare quel meccanismo di compensazioni che potrebbe portare a qualche risultato. Per esempio, il negoziato siriano, se non si prende un po’ in considerazione la questione curda, in generale; oppure per l’Arabia Saudita, se non si prende in considerazione anche quello che accade nello Yemen, è un po’ difficile pensare che questi problemi andranno a compimento. E lo stesso vale per l’instabilità nello Yemen, in Iraq, in particolare in Libia. Se non c’è una considerazione degli interessi, in pratica ritorniamo alla teoria dei cerchi concentrici; se non c’è una considerazione attenta alle esigenze sia dei contendenti ma anche … a contendenti che non sempre sono statuari, come saprete c’è anche la questione dei contendenti partitari che è molto problematica. Quindi se non si tiene in considerazione gli interessi dei contendenti, gli interessi delle potenze regionali e gli interessi delle potenze globali, noi da questa instabilità non riusciremo a uscirne. E la conferenza generale dovrebbe essere sotto l’egida dell’ONU e poi sugli aspetti tecnici ne potremmo parlare dopo.

Quindi adesso ho detto tutto e passerei per l’esame delle problematiche che vorranno esporci, al primo oratore, che è Alberto Negri.

ALBERTO Negri

Partiamo dalla fine per tornare all’inizio, per vedere cosa è successo negli ultimi 37 anni, che sono quelli di cui mi sono occupato io sul campo. Io ho cominciato nel 1980 andando in Iran a vedere la rivoluzione, avevo 23 anni, e poi ho fatto tutte le guerre di Africa, Balcani, Asia Centrale, Medio Oriente. Quindi le ho viste tutte. Cosa sta succedendo ad Astana oggi. Oggi ad Astana non si decide la pace in Siria. Perché non ci può essere pace in un posto dove c’è in corso la guerra, che tra l’altro è quella al califfato. Una principale, poi altre sotto. Al massimo si può intimare un cessate il fuoco. Oggi, in questa riunione di Astana, si decide una sola cosa: che Assad resta dov’è. Chiaro? Assad resta dov’è per la transizione del potere. E a questo ha piegato il capo anche Erdogan e di questo si tratta. Si tratta del fatto che hanno preso per l’orecchietta il signor Erdogan e gli hanno fatto dire che deve accettare che Assad resti al potere. Perché per 5 anni e mezzo avete sentito da Erdogan, da Obama, dai Primi Ministri europei, da quelli italiani compresi, lo stesso ritornello, che Assad se ne doveva andare. Invece no. Assad resta. Perché? Perché hanno perso la guerra. Chiaro? La conferenza di Astana non è una conferenza di pace. È per stabilire chi ha vinto e chi ha perso, chiaro, sul tavolo, scritto. La Russia e l’Iran hanno vinto, con Assad, la Turchia, le monarchie del Golfo e tutti quelli che sostenevano, come gli Stati Uniti e gli europei, i jihadisti e i gruppi ribelli hanno perso. E il giorno in cui hanno perso è stato la caduta di Aleppo, perché simbolica ma anche perché strategica. Quindi è stata persa la guerra dall’Occidente. Trump, per dirla tutta, che vuole fare l’accordo con Putin, deve accettare anche lui che Assad resti al suo posto. Per accettare che Assad resti al suo posto, vuol dire che deve accettare la vittoria della Russia ma anche dell’Iran, cioè dell’asse sciita con Assad. Che sono i nemici giurati di Israele e dell’Arabia Saudita, cioè dai due maggiori alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente da 70 anni. Quindi per Trump c’è già il primo dilemma. Capire che cosa dovrà fare di fronte a questa situazione. Il resto sono solo chiacchere. Perché è importante capire che cosa sta succedendo? Perché non ci vuole un genio della geopolitica e della strategia per capire che questi hanno perso, perso, perso, lo ripeto tre volte, la guerra. Perché per 5 anni avete letto, scritto e sentito dire che Assad se ne doveva andare. Non certo da me. Perché so come vanno le cose. Perché conosco il campo, so di che cosa sto parlando. Non delle cialtronate che vengono scritte sui giornali o dette alla televisione tutti i giorni. Perché non sanno neanche che cos’è un regime baathista. Perché il regime baathista non sarebbe crollato neanche in Iraq se non l’avessero bombardato gli americani montando la più grande bufala di tutta la storia della comunicazione mondiale degli ultimi 70 anni, che c’aveva le armi di distruzione di massa. Sapete chi lo ha inventato, il signor Clapper, che era quello che dirigeva adesso il NSA, è lui che ha dato le famose foto satellitari a Powell della famosa smoking gun. Basterebbe quella, la smoking gun, per non credere nemmeno a una parola di quello che viene da Washington. Non una parola, ragazzi. Ricordate quanto ci hanno inondato. Io ogni giorno ricevo montagne di rapporti simili. Ero sul campo. Ci portavano a vedere. Qui ci sono gli scoot. Dove sono gli scoot? Non ne hanno sparato uno nella guerra del 2003, l’esercito di Saddam. Forse uno o due. Non sono neanche partite. Non c’avevano più niente. Non c’erano più gli aerei, l’aviazione. Non c’avevano niente. Quindi 2017, Astan, è successo che dopo 37, 38 anni la Russia e l’Iran in qualche modo hanno messo dei punti fermi. La Russia perché nel 1979 con l’Unione Sovietica, ha invaso l’Afghanistan e si è infilata in una di quelle guerre che hanno avuto un effetto disastroso sullo stato di allora. La impegnò fino all’89 con il ritiro del famoso Friendship Bridge. Il 1979 fu anche l’anno della rivoluzione islamica in Iran e della perdita da parte degli Stati Uniti dei loro più importanti alleati della regione, il guardiano del petrolio nella regione. Quindi 1979 è l’anno chiave. E il 1980 è un anno importante anche quello perché il 22 settembre del 1980 l’Iraq di Saddam Hussein sostenuto dalle monarchie del Golfo e dagli stati occidentali attacca l’Iran. Arriveranno a Khorramshahr, riusciranno a penetrare in parte in territorio iraniano, ma per 8 anni di guerra che fecero milioni di morti, gli iraniani resistettero, da soli, e ricacciarono indietro gli iracheni sullo  Shaṭṭ al-ʿArab e il confine non fu spostato neanche di un centimetro. La Repubblica Islamica Iraniana ha beneficiato più di tutti degli errori commessi dagli occidentali. E sono stati errori ripetuti. Guerra di Saddam nel ’79-’80, fatta sull’onda del fatto che gli iraniani avevano preso i 400 ostaggi all’ambasciata americana. Avevano umiliato gli Stati Uniti. E gli Stati Uniti umiliati avevano trovato un modo nelle monarchie del Golfo, che allora versavano 60 miliardi di dollari per fare quella guerra con Saddam Hussein. 60 miliardi di dollari. Tanto è vero che l’Iraq di Saddam, nel 1988, quando finisce il conflitto ha almeno 95/100 miliardi di dollari di debito estero con una popolazione di 22 milioni di abitanti. L’Iran, finisce la guerra con 7 miliardi di debito estero. L’Iran di Khomeini, che è morto nell’89. 7 miliardi di debito estero con una popolazione di 70 milioni, quindi neanche immaginabili. Saddam aveva al collo tutte le banche mondiali. Era indebitato fino al collo con tutte le monarchie del Golfo. Tanto è vero che quando i kuwaitiani, d’accordo con i sauditi, si fanno portabandiera nella riunione dell’OPEC del 1990 per abbassare il prezzo del petrolio sui mercati, Saddam Hussein si inferocisce. Aveva bisogno di un prezzo alto per incassare e ripagare i debiti e sostenere le spese dello stato iracheno. A quel punto comunica agli Americani che forse avrebbe preso i pozzi di Rumaila. La signora americana, che faceva l’ambasciatrice, la signora April Glaspie, tentenna. E poi il 3 agosto Saddam procede nel suo disegno e la Glaspie dopo 15/20 giorni fa un’intervista alla BBC e ammette l’accordo che consentiva a Saddam di espandersi in qualche misura. Dopo di che c’è la guerra del ’91 e successivamente si arriva al 2001 con quell’attacco che è il figlio della politica americana di quei 15-20 anni. Abbattere l’Unione Sovietica usando la guerra in Afghanistan era stata un’operazione fondamentale da cui sono derivati quasi tutti i nostri guai che abbiamo anche adesso. Si trattava di usare mujaidin dell’epoca che sarebbero poi diventati successivamente i jihadisti, allora erano i nostri eroi, i soldi erano quelli dei sauditi, la retrovia era quella pachistana, la direzione era quella americana che stabiliva quale era l’obiettivo. Picchiare duro in Afghanistan e mettere con le spalle al muro l’Unione Sovietica. Nel 2011 cercano di ripetere lo stesso schema. Solo che al posto del Pakistan c’era la Turchia con Erdogan, i soldi sono sempre quelli dei sauditi e delle monarchie del Golfo, la direzione è quella della signora Clinton, accompagnata dall’Olanda e da quattro altri cialtroni come lei, che pensano in pochi mesi di abbattere Assad. La controprova sono i fatti. Il 6 luglio 2011 la signora Clinton manda l’ambasciatore americano Ford ad Hama a passeggiare in mezzo ai ribelli. Ma come, qui l’ambasciatore americano manco passeggia sul lungo Tevere e tu me lo mandi ad Hama a passeggiare in mezzo ai ribelli? Ma lì è un colpo di pistola. Il giorno dopo arriva quello francese per far capire che anche lui aveva contrattato con i turchi e con gli altri la sua fetta di torta nell’eventuale disgregazione della Siria. Con lo stato alawita del 1920, dato a Bashar al-Assad che quando fu sciolto nel 1938-39 protestò dicendo ma come ci hai fatto lo stato e ora ci metti insieme ai sunniti? Ma noi dobbiamo dare un pezzo di Siria ai Turchi per tenerci buono Ataturk, affinché non si allei con il Terzo Reich. E insomma, questo loro hanno tentato di fare nel 2011, di fare la stessa operazione che avevano fatto in Afghanistan, con i jihadisti e tutto il resto. E in più si inserisce l’ISIS. A testimonianza che non capiscono niente di quello che succede lì dentro, perché non conoscono i posti, non conoscono la gente e non conoscono le teste. L’ISIS nasce da che cosa? Nasce, lo sapete tutti ormai, l’avete capito, nasce da spezzoni del partito Baath che si allea con i jihadisti. Ma la storia era cominciata prima. Alla vigilia della caduta di Bagdad, il giorno prima, io ero con il Segretario di Saddam Hussein, il Dottor Hamad che adesso è ancora in carcere poveretto. Hanno liberato tutti gli stronzi della terra tranne lui. Non si capisce perché. Insomma ero con lui. Eravamo in macchina per Bagdad con due kalashnikov sotto al sedile perché da un momento all’altro arrivano gli americani, non ti avvisano, tu sei in macchina con il segretario di Saddam, non è che ti vengano a chiedere scusi lei Negri, cosa fa qua? Sta facendo una gita? No, quelli ti sparano. E loro avevano già stabilito chi avrebbero usato contro gli americani, contro l’occupazione. Tanto è vero che a febbraio avevano fatto sfilare quelli di Ansar al-Sharia con le famose cinture piene di dinamite, i suicidi, per tutta Bagdad. La gente pensava che fosse una finta. Ma che finta? Erano veri. Infatti dissi ma senti Hamad ma questi erano quelli che voi prima impiccavate sull’albero più alto. E ma adesso ci servono anche loro. E chi faceva questa cosa qui? Chi la organizzava? Al-Douri vice presidente, che era il più religioso di tutto l’entourage di Saddam ed era anche membro della famosa setta, Naqshbandiyya, una famosa setta che nasce nel XV secolo in Asia Centrale. è un’importante confraternita, cui adesso si sono affiliati parecchi personaggi del mondo orientale. In Turchia per esempio lo stesso Erdogan viene da quella confraternita. Per questo, quando si alleerà con Gulen, quest’unione suonerà strana, perché Erdogan viene dalla confraternita di questi Naqshbandiyya, guidata da quelli che erano stati presidenti della Turchia. Anche Ozal apparteneva alla stessa confraternita, anche Demirel. Mentre Gulen apparteneva a un’altra confraternita. Uno che predicava dialoghi inter religiosi già negli anni ’20-’30, finito perseguitato, morto e sepolto in una tomba che poi era stata scavata da quelli dei Lupi Grigi, le sue cenere disperse. Quindi due cose completamente differenti. E sarà infatti Izair a costituire il trait d’union tra l’Isis di Bagdadi ed Erdogan. Erdogan è stato l’unico leader medio orientale a trattare direttamente con l’Isis quando furono fatti prigionieri nel agosto 2014 50 diplomatici, impiegati del consolato di Mosul; loro trattarono direttamente con lui. Tutti i giorni questi parlavano al telefonino con Erdogan cercando di mettersi d’accordo. Perché la storia era, noi vi lasciamo prendere un bel pezzo di Siria, un bel pezzo di Iraq, però voi ci lasciate Mosul e Aleppo. Mosul perché Erdogan ha sempre pensato, i Turchi in genere, che gliel’avessero portata via perché apparteneva, avrebbe dovuto appartenere, alla Turchia moderna. E Aleppo perché era diventata un bel boccone. Perché Aleppo è praticamente l’asse industriale dei terzisti di Gaziantep. Tutte le fabbriche tessili, delle scarpe, meccaniche ecc di Aleppo sono tutti terzisti di Gaziantep. Certe industrie italiane lavoravano a Gaziantep. Che poi anche i loro terzisti erano quelli di Aleppo che costavano di meno e Aleppo era un po’ fiorita, tanto è vero che girava la lira turca ad Aleppo. Passavi ormai il confine tranquillamente. Quindi questi signori hanno cercato di fare il bottino e noi occidentali con loro. Perché la signora Clinton li ha incoraggiati, l’Olanda li ha incoraggiati, e poi che cosa è successo? È successo quello che non è successo in Iraq. In Iraq, se gli Americani non fossero intervenuti, Saddam sarebbe rimasto lì ancora per un po’. Assad nel 2013 non ha avuto il coraggio di bombardarlo perché la signora Clinton stava uscendo di scena, perché voleva presentarsi alle elezioni allora i generali americani hanno chiamato Obama e gli hanno detto “guarda che se tu bombardi Damasco, regali tutto questo ai jihadisti. Te la senti di fare questa cosetta qui?” E il cavalier Tentenna, perché Obama è sempre stato un cavalier Tentenna, ha detto “bah, lasciamo stare, poi abbiamo il Congresso contro”. Ve lo ricordate. Prima ha preso la batosta Cameron alla Camera dei Comuni e poi lo schiaffone lo stavano dando anche ad Obama perché le pubbliche opinioni inglesi e americane avevano mangiato la foglia. Questi ci infilano in un altro conflitto che va a finire come quello dell’Afghanistan e quello dell’Iraq. Da qui non ne usciamo fuori, ma non solo non ne usciamo fuori ma causa ancora problemi più gravi. Infatti causa problemi ancora più gravi. Perché, guarda un po’, da quel coacervo in qui, Assad ha giocato abilmente, perché non ci sono angeli e demoni in questa situazione. Siamo di fronte solo a dei demoni, ci sono solo i diavoli. Il diavolo Assad è solamente un po’ meglio dell’altro diavolo. Il diavolo Assad ha usato questi qua, li ha manovrati pure lui. Come tutti questi regimi hanno manovrato in tutti questi anni gli islamisti. Perché che cosa hanno fatto i generali algerini quando c’è stato il colpo di stato? Eh. Il colpo di stato? Vi ricordate quando il FIS vinse il primo turno elettorale nel dicembre 1990 con forte assenteismo per l’altro, e subito un mese e mezzo dopo il 22 gennaio mi pare, c’è il colpo di stato dei generali. Ero lì. Mi ricordo perfettamente. Intervistai l’ultimo dei capi del FIS che era rimasto in libertà. Tornai in albergo che non era più rimasto il telefono. Dovetti chiamare il Ministro degli Esteri, quello lì che ha sposato un’italiana, per chiedergli che ci ridessero i telefoni. Ma cosa fecero i generali algerini? I generali algerini non sono mammolette. Quelli hanno combattuto la guerra con un milione di morti contro i francesi. E quando è stato il momento, all’indomani della guerra coloniale hanno fatto fuori circa 200 mila di quelli che avevano collaborato con i francesi medesimi. Così, hanno preso gli islamisti, li hanno messi nelle carceri per 4 5 mesi, fino a maggio giugno, poi hanno eletto un nuovo presidente, Boudiaf, ve lo ricordate? E poi improvvisamente hanno tirato fuori gli islamisti dal carcere ed è cominciata la carneficina. In qui tu non hai più capito chi ammazza chi. Chi uccide chi? Vedevi la gente sgozzata in mezzo ai fossi e dicevi chi li ha ammazzati? Gli islamisti? Forse no, forse la polizia vestita da islamisti. Punivano i villaggi che avevano votato con il FIS cioè che avevano votato contro il FLN, contro il Fronte di Liberazione Nazionale. È lo stesso ha fatto Bajar, è andato a punire tutti coloro che sostenevano gli islamisti. E adesso andranno a punire tutti questi che hanno sostenuto gli islamisti. A cominciare da questi qua di Barada, il problema delle dighe vicino a Damasco. Perché è così che funziona ragazzi. Funziona con tanto sangue questa macchina che hanno messo in piedi questi disgraziati che noi abbiamo sostenuto in tutti questi decenni. È una macchina del sangue. È una macchina del sangue. Sono 37 anni che vedo il sangue. Non vedo altre cose. Sangue. Poi c’è il petrolio. Ogni goccia di petrolio è una goccia di sangue. Certo che lo è. Perché è a questo che siamo arrivati oggi. Al dunque di questa situazione. E qual è il dunque di questa situazione? Che adesso sarete chiamati in qualche modo a ripulire i danni che abbiamo fatto e che sono stati fatti dai nostri alleati. Avremo il coraggio di farlo? Avranno il coraggio gli americani di cambiare mai, a me non interessa chi c’è alla Casa Bianca che si chiami Trump, Obama o chiunque altro, m’interessa solo se ha il coraggio di cambiare di tanto così la sua politica. Non credo. Perché non mi ha dato questi segnali. Anzi, il segnale che ha dato è di pigliarsela con l’Iran. Sul sito della Casa Bianca è venuto subito fuori una specie di avviso che annuncia la nascita dell’asse del male Corea del Nord/Iran. Manca l’Iraq perché se lo sono già giocati, quello era l’asse del male di Bush. Gli Stati Uniti hanno mai avuto l’intenzione di fare la pace con l’Iran? Io dico di no. Perché hanno fatto finta di fare un accordo. Perché Khamenei dice “bah se Trump vuole annullare l’accordo lo annulli pure, perché l’accordo non c’è, non funziona, perché l’accordo è lettera morta”. Non c’è una banca internazionale, e se qualcuno lavora con l’Iran lo sa, che è poca roba, non le gradi commesse da miliardi, perché non è stato implementato quell’accordo. Tutte le banche internazionali hanno paura che il Dipartimento del Tesoro recapiti un avviso dicendo loro che stanno violando delle regole e che non possono più collaborare con loro. E tutto questo è il problema delle famose garanzie sovrane. L’altro giorno un giornale si è sbagliato e ha detto che Padoan stava per andare in Iran per negoziare le garanzie sovrane. Ma non ci sono le basi. Non ci sono le basi. Tutti quegli accordi di cui abbiamo parlato sono dei memorandum non sono contratti definiti, purtroppo. Purtroppo, dico, anche per noi italiani perché noi siamo lì con una decina di contratti interessanti che potremmo portare a casa ma non abbiamo i grandi crediti dalle banche. Sì facciamo la cosa da 30,40,50 milioni di euro ma non quella da un miliardo. La stessa Total francese che ha fatto l’accordo, sempre come prima, fa sempre lei l’accordo come prima, perché loro hanno sempre dato un sacco di tangenti dai tempi di de Margerie, tanto è vero che Medi è in galera per questo, per le tangenti alla Total, a Margerie quello che è morto sulla pista. Che poi non si chiamava Margerie. Era figlio adottato. Ma questo è il mondo, è così. In realtà quell’accordo con l’Iran non esiste, non c’è. Poca roba. Ha funzionato per poco. Restituito quattro soldini, ma non è che hanno veramente liberato l’Iran per fare affari con l’Europa e l’Occidente. Non è così che si sono comportati. Per questo io credo che neanche questo Trump abbia il coraggio poi alla fine… figuriamoci se poi alla fine va in rotta di collisione con l’Israele. L’Israele vuole vedere morti gli iraniani. I sauditi vogliono vedere morti gli iraniani. E Trump va contro Israele dopo aver promesso che gli sposta l’ambasciata, o lo farà, troverà della scuse tecniche, ha detto di sì agli insediamenti e tutte queste cose qua. Difficile che vada contro Israele. Quelli gli hanno dato il voto quelli dell’AIPAC. C’è il Kushner Jared che è uno dei finanziatori della scuola ortodossa, per cui difficile che vada contro Israele. Ha rimproverato molto i sauditi Trump. Però difficile che vada contro i sauditi quando gli spiegheranno che vendono 100 miliardi di armi ogni 8 anni, come ha fatto Obama. E sono soldini! E i soldini sono importanti per l’“America First”. Prima si portano a casa i soldi e poi si pensa al resto. È questa la filosofia di Trump. Non è molto diversa. E soprattutto fare accordi dove lui guadagna. È questo l’America First. Non è una cosa molto sofisticata. Così sofisticata. Però se vuole mettersi d’accordo con Putin deve scendere a dei compromessi sul Medio Oriente. Ma scenderà? Boh, spero, me lo auguro. Devo ancora vederla io un’amministrazione americana che abbia il coraggio di prendere certe decisione. Voglio vederla. E soprattutto voglio vedere se arriva alla fine. Perché questo è il bilancio di 37 anni. Se arriva alla fine, se lo fa lo fanno secco. Lo fanno secco, questo è chiaro! Perché questa è la storia. Noi, noi cosa dobbiamo fare? Dobbiamo cercare di tagliare la corda subito da questo punto di vista. Qual è il bilancio per l’Italia dopo 15 anni di questa vicenda? Nel 2001 siamo stati tra i primi a mandare gli alpini in Afghanistan e contingenti su contingenti, ci abbiamo ancora adesso più di 800 uomini a Herat che ci costano una barcata di soldi. Scusate ma cosa mi servono 800 uomini in Afghanistan? Cosa sto difendendo in Afghanistan? Gli affaracci del signor Obama e della signora Clinton? Ne ho bisogno qui caso mai. Questo è evidente. Non è che ci voglia uno stratega. La partecipazione alle missioni internazionali ci ha portato dei vantaggi? Quando hanno bombardato la Libia, manco ci hanno fatto una telefonata. Ragazzi volevano bombardare i terminali dell’Enel, non l’ho detto io, l’ha detto ex ministro degli Esteri Frattini, l’ha detto l’ex Capo di Stato Maggiore Camporini. Ci avevano infilato nella lista dei bersagli da colpire. Questi sono i nostri amici eh. Caspita, i nemici cosa ci fanno allora? Se questi sono i nostri amici. La verità è che non ci sono più amici o nemici, ci sono solo concorrenti e Trump rientra in questo tipo di storie. Ci sono concorrenti, che sono concorrenti commerciali, economici, strategici ecc ma concorrenti. E infatti, noi dobbiamo anche un po’ galleggiare. Io li capisco i governi italiani poveretti, che cosa devono fare. Non è che domani mattina possono dare uno schiaffone agli Stati Uniti o ribellarsi agli inglesi o cose di questo genere. Perché ti prendono e ti mandano un segnale. Prendono uno dei tuoi ragazzi e te lo fanno trovare in un fosso. Non so se l’avete capito che te lo fanno trovare in un fosso. Punto. Tu hai avuto da ridire all’ambasciatore e ora gli Egiziani ti hanno fatto trovare questo, siamo stati noi. Chiedi agli inglesi? Chi lo pagava questo ragazzo? Io non dico che fosse un agente degli inglesi, ma è evidente che dava informazioni agli inglesi, la sua università che poi gli riversa i servizi universitari come lo fanno da 100 anni, da che mondo è mondo. Hanno sempre lavorato così. Quindi adesso gli egiziani dicono, molla, te l’ho detto che siamo stati noi, vai a chiedere a quelli là perché. Eh vai a chiedere perché. Vai a chiederti perché ti bombardano in Libia, vai a chiederti perché ti mettono l’autobomba vicino all’ambasciata. Il giorno dopo che l’hai riaperta già c’è il colpo di stato. Siamo i più informati di tutti sulla Libia. Boh.

(altro oratore: <dall’altra parte cascano anche gli aerei>)

Cascano gli aerei, cioè il Paese è naturalmente un vaso di coccio. Non è che lo scopriamo oggi. Abbiamo perso la guerra. Queste missioni internazionali a noi sono servite per rimettere a livello competitivo le nostre forze armate. Per giustificare di mettere a livello le forze armate. Infatti il militare 30,40 anni fa sa cosa vuol dire, con che mezzi andavamo in giro. Adesso abbiamo delle forze armate decentemente competitive, nei limiti che ci possono dare i nostri bilanci, anche economici e finanziari e anche nei limiti che ci concedono i cosiddetti nostri amici alleati. Non ci vorrebbero mai vedere più grossi di tanto così ragazzi. Quindi quando tu sei piccolo così devi essere più svelto degli altri. Siate svelti.

Casardi

Grazie mille. Grazie Alberto. Diamo la parola a Germano Dottori sulle stesse tematiche.

GERMANO Dottori

Vorrei riprendere alcuni dei suoi spunti, fermo restando che il quadro è difficilmente smontabile perché ne condivido in larghissima misura quello che ho sentito. Salvo però avere una lettura diversa su due elementi del quadro complessivo. Perché un conto è considerare il Medio Oriente, il nord Africa come un sistema a se stante, indipendente dal resto del mondo come se fosse avulso da un sistema più ampio in cui veramente dopo però le maggiori potenze del pianeta si confrontano per stabilire chi detta le regole del gioco, chi ha più possibilità di espandere la propria influenza e chi invece deve accontentarsi di un ruolo minore. Io penso invece che il Medio Oriente sia uno degli scacchieri. Uno dei più importanti per una serie di ragioni. Anche simboliche, non solo economiche e materiale. Ma uno e non l’unico. Quindi tendo a ricostruire l’approccio americano in Medio Oriente dell’amministrazione che ha appena ceduto il passo a quella che dirige Trump, in un modo un po’ diverso. Io non credo affatto che Obama sia stato un presidente tentennante. Non credo affatto che sia stato un incapace. Credo piuttosto che abbia perseguito gli interessi nazionali degli Stati Uniti in modo assai cinico, molto realistico, ammantandolo però di una vernice etica quanto più possibile vicina alle aspettative che la grande opinioni pubblica in termini internazionali aveva nei confronti suoi e dell’America dopo gli anni di Bush e anche utilizzando degli strumenti che in qualsiasi momento con la loro opacità avrebbero garantito agli Stati Uniti la delay ability di quello che facevano. I più grandi successi di Obama sono stati ottenuti senza che l’America si esponesse in prima persona. Voi leggerete in questi giorni tanti bilanci di quello che ha fatto Obama, ma nessuno vi dirà mai probabilmente che l’obiettivo strategico maggiore che Obama ha colto è quello di arrestare il processo di integrazione europea e soprattutto arrestare lo sviluppo e la crescita dell’euro come divisa complementare o alternativa a quella degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti poggiano una parte considerevole della loro forza politica e anche militare sul fatto di possedere, unici al mondo, una moneta con cui si può comprare tutto. Se sei il presidente degli Stati Uniti, se sei il Congresso degli Stati Uniti, tu sai che l’America può comprare tutto nel mondo semplicemente stampando carta moneta. è per questo che mi fanno sorridere anche amici molto quotati che stimo tantissimo che mi dicono, “in fondo gli Stati Uniti hanno un problema perché sono grandi debitori nei confronti della Cina”. Secondo me il problema ce l’ha la Cina. Perché se non viene a patti con gli americani, gli americani a un certo punto il debito glielo restituiscono. Stampano un pacco di dollari, totalmente svalutati e se li prendono. L’America è in grado di fare quello che un tempo, nel Medioevo, potevano fare i feudatari, i grandi signori. Prendevano a prestito dai loro sudditi delle monete in metallo nobili, d’oro o di argento, all’atto di restituirle limavano una parte del metallo prezioso e si trattenevano la differenza. Una cosa che si chiama signoraggio. E tra parentesi, rimanga fra di noi, Reagan, di cui io sono un grandissimo ammiratore, ha vinto la Guerra Fredda con un grande piano di riarmo che è stato in larghissima misura finanziato dal risparmiatore tedesco e giapponese. Hanno dato una marea di capitali di risparmio agli inizi degli anni ’80 agli Americani e poi a un certo punto quando hanno cominciato a venire a maturazione i titoli che i tedeschi e i giapponesi avevano comprato, Reagan convocò dei summit internazionali, prima a tre poi a cinque, e comunicò bellamente con grande serenità, che la competitività degli Stati Uniti stava diminuendo, che il dollaro era quotato troppo alto, e che a un certo punto avrebbero dovuto accettare una svalutazione del 50% del biglietto verde. Il restante 50% se lo sono tenuto loro. Reagan secondo me è stato un genio perché poi lui in questo modo ha vinto la guerra Fredda quindi ha fatto una cosa sul cui valore credo nessuno possa avere dubbi. Capite la simmetria del confronto. Da un lato l’Unione Sovietica che per tenere botta, stare alla pari, faceva morire di fame la propria gente e dall’altro lato gli Stati Uniti che hanno ottenuto e accelerato la corsa al riarmo utilizzando i soldi degli altri. E in parte appropriandosene. Tornando a quello che ha fatto l’amministrazione Obama. Ha fatto delle cose del tutto funzionali agli interessi degli Stati Uniti, secondo me, e decisamente contrarie agli interessi degli europei, russi e cinesi. L’America ha deciso che non era più il caso di fare delle grandi operazioni di polizia ai confini dell’Euroasia, perché in tasca non gliene veniva niente, e i beneficiari non erano loro ma piuttosto quelli che loro consideravano competitori e rivali. E a un certo punto hanno cominciato anche a determinare delle realtà sul terreno con il Leading from Behind. E poi, la guerra di Libia. È vero che non ci hanno telefonato, ma è pur vero che quando è cominciata la guerra in Libia, per la prima volta il presidente degli Stati Uniti non stava a casa sua, non ha neanche parlato alla popolazione, è partito per un viaggio all’estero, mentre si sono distinti per la loro presenza i francesi e gli inglesi. Per di più, a significare ancora meglio che gli Stati Uniti più di tanto in questa cosa non ci stavano, è stata la circostanza che il comando chiamato a gestire l’operazione per la parte americana non era EUCOM, che sta in Europa, ed è praticamente l’ossatura. Hanno coinvolto l’AFRICON, che è un piccolo comando. Nel 2011 vi erano un centinaio di persone, per di più con una forte componente civile, quindi assolutamente non all’altezza di gestire un’operazione complessa come la defenestrazione di un regime straniero e magari la sua sostituzione con qualche cosa di diverso. Tutto questo per fare poi cosa? Tu privi gli Europei di una guida? E gli europei cosa fanno? Riprendono a fare quello che hanno fatto per gli ultimi 5/6 secoli. Farsi i dispetti reciprocamente. Ed è quello che è accaduto. È quello che Trump tutto sommato continuerà a fare. Solo però con l’onestà. Perché dal mio punto di vista quando tu metti sul tavolo quello che vuoi fare e lo dici, sei più onesto di uno che invece ti racconta un’altra storia, che intraprende una strada per altri obiettivi perché ancora non dichiara le azioni. Quando il presidente degli Stati Uniti dice che il suo obiettivo, come Presidente, è l’America First, la difesa degli Stati Uniti, è chiaro che non si preoccuperà dei tuoi. Ma questo, secondo me, era scontato già con Obama. È scontato dalla fine della Guerra Fredda. Quello che però ci ha detto, “Signore e Signori la mia non è una politica di valori, io non voglio esportare la democrazia nel resto del mondo, io non voglio promuovere il Regime Change, né in Medio Oriente né altrove. Voglio perseguire gli interessi nazionali degli Stati Uniti” e in più ha aggiunto il passaggio più importante del suo discorso di inaugurazione: “Noi riconosciamo anche agli altri paesi il diritto di fare delle politiche che abbiano come prima priorità gli interessi nazionali dei rispettivi popoli”. Allora che cosa succede? Se tu ti sposti dal piano dei valori al piano degli interessi, puoi negoziare tutto. Gli interessi sono sempre negoziabili. E del resto Trump è un grande negoziatore. È l’autore di un best seller a livello mondiale nel campo del business che si intitola The Art of Deal, l’arte dell’accordo, quindi dobbiamo aspettarci da lui questo, mentre il presidente Obama aveva fatto un discorso diverso: indebolimento dell’Europa e, fatto non meno importante, riconciliazione tra gli Stati Uniti e l’islam politico. Il che è logico, perché, nella sua costruzione, l’islam politico al potere significa che i terroristi jihadisti non hanno più la terra su cui camminare, o l’acqua in cui il pesce jihadista può muoversi e respirare. Ma significa anche che l’America trova un modo per rimanere una potenza dominante o comunque con un ruolo centrale nel sistema politico con il beneplacito di un miliardo e mezzo di persone. Questo secondo me è stato Obama. Quindi una persona, dal mio punto di vista capace, ma opaca e non amichevole nei nostri confronti. Per quanto riguarda la guerra di Libia, io ho un’opinione diversa da quella corrente. Io sono assolutamente convinto che è stata una guerra combattuta non tanto per rovesciare Gheddafi quanto per far saltare l’accordo che l’Italia aveva stretto con la Libia e che era stato rettificato a grande maggioranza dal nostro Parlamento che tutti ritenevano fosse un’anomalia incompatibile con i nostri obblighi dell’Alleanza Atlantica. Ecco perché non ci hanno fatto una telefonata. Era una guerra contro di noi. In parte anche contro la Germania, ma soprattutto contro di noi. Punto. Il nostro Governo, poi, colto di sorpresa, ha premuto tanto per entrare nella cosa. In realtà, per inciso, è stato colto di sorpresa il Governo; il Quirinale lo sapeva, e questa è un’informazione che ho avuto per via confidenziale: il Quirinale lo sapeva, il governo no. Perché poi ci sono dei procedimenti nel nostro paese terribilmente ricorrenti. E li vediamo anche al giorno d’oggi. L’Italiano, molto diverso dall’inglese o dal francese, quando ha un problema con il nemico politico interno usa lo straniero. E questa rappresenta anche una delle nostra maggiori vulnerabilità. Comunque, noi cosa abbiamo cercato di fare la cosa migliore. Ci siamo accorti che anche i Turchi si erano innervositi, perché erano fuori da questo contesto e abbiamo chiesto che la guerra passasse sotto la direzione della NATO, perché noi dentro la NATO ci siamo mentre invece da quel terzetto eravamo esclusi. In più abbiamo messo a disposizione degli asset nazionali che ci hanno permesso quanto meno di essere informati su quello che accadeva e di non essere buttati fuori una volta che Gheddafi fosse stato sconfitto. Quindi tutto sommato la vedo in quella maniera. Anche la storia dell’intervento della guerra civile in Siria. Che cosa è successo? È successo che gli apprendisti stregoni hanno pensato, e qui concordo totalmente con Alberto, per mancanza di cognizione dei fatti sul terreno, che anche in Siria esistesse una fratellanza mussulmana solida e capace di esprimere un’insurrezione strutturale. Invece la fratellanza mussulmana Assad l’aveva distrutta. E dopo poco, Obama si è reso conto che in Siria, se fosse caduto Assad, avrebbero vinto islamisti, diciamo, non conciliabili con il progetto complessivo di pace tra l’America e l’islam politico. Allora, hanno tirato i remi in barca. La prova che le cose stavano così l’abbiamo avuta due volte. Due volte! La prima: dopo il bombardamento chimico di Ghuta. Certo che Obama si è inventato il ricorso al Congresso. Voleva guadagnare tempo e non voleva bombardare. In più ha fatto dire al suo Segretario di Stato, guardate che se anche facciamo i bombardamenti saranno i più leggeri possibili. Il che è una cosa strana quando si va a fare la guerra. Perché è accaduto questo? Perché non era obiettivo dell’amministrazione americana neanche quello di impelagarsi in un altro conflitto e fornire forza al disegno di restaurazione dell’Arabia Saudita. Punto. Questo è il discorso. La struttura sostanziale delle alleanze e quella formale hanno iniziato da diverso tempo a essere divergenti. L’America è formalmente legata all’Arabia Saudita ma a tutti i livelli, soprattutto dell’Establishment americano, è forte la convinzione che in realtà i Master Mind dell’11 settembre siano stati proprio i sauditi. Molti considerano apertamente l’Arabia Saudita un nemico degli Stati Uniti. È un po’ più complicato di come viene comunemente raccontato anche se la mia ricostruzione è più semplice rispetto a quella di Alberto che è un conoscitore raffinato di dettagli come veramente pochi se ne vedono.

La seconda, mi permetto solo questo per chiudere questo capitolo della storia, la seconda volta è capitato quando Assad stava crollando. Vi ricordate quando abbiamo avuto il grande afflusso dei profughi siriani attraverso i Balcani. Ma quelli lì erano gli amici di Assad che stavano abbandonando la Siria perché il regime stava crollando. E allora che cosa è accaduto? È accaduto che sono intervenuti i russi e Obama non appena sono arrivati gli aerei russi a al-Tahira ha ritirato i patriot dalla Turchia. Quindi l’intervento russo è stato, non dico sollecitato, ma tollerato e accettato con favore, perché Obama è un grande realista e bisogna capire che gli interessi nazionali sono davvero qualcosa che detta legge nello svolgimento e nello sviluppo della politica estera delle grandi nazioni. Naturalmente l’America si è riservata il diritto di prendere tutte le misure necessarie affinché i russi togliessero le castagne dal fuoco ma raccogliessero anche il biasimo internazionale per averlo fatto. Così si fanno le cose per bene.

Casardi

Grazie mille Germano. Veramente interessante. Soprattutto, sia tu che Alberto avete dato un grande calcio alla famosa frase di Fukuyama secondo cui con la fine delle ideologie sarebbe anche finita la storia. Forse finiva la storia delle ideologia ma cominciava la storia degli interessi nazionali. E su questo torneremo più tardi anche per parlare dei nostri. Ma adesso volevo lasciare all’ambasciatore Boffo la stessa opportunità di esprimersi sulla questione dell’instabilità, data la sua esperienza di lunga frequentazione dell’Arabia Saudita, che costituisce uno dei protagonisti, soprattutto a livello regionale.

Boffo

Naturalmente intervenire dopo i due precedenti oratori non è facile perché hanno detto tutto, e anche un po’ il contrario di tutto, ma hanno coperto l’argomento quasi in maniera esaustiva direi. Farò commenti un po’ sciolti, partendo proprio dalla considerazione che ha fatto Paolo all’inizio, la teoria dei tre cerchi su Israele e Palestina. È una teoria valida, conosciuta, fondata che però mi fa un po’ paura. Perché in realtà io sono profondamente convinto che la crisi tra Israele e Palestina non si è mai risolta perché non si è mai voluta risolvere. Perché per una pluralità di ragioni, alcune di queste sono state accennate anche dai precedenti oratori, la crisi tra Israele e Palestina serve a un sacco di gente. Serve agli americani, serve alle lobby israeliane d’America, serve a Israele stessa che senza questo problema diventerebbe uno staterello come Lussemburgo, quindi con poca influenza e serve anche a tanti regimi arabi che si servono del martirio dei palestinesi per poter giustificare le loro politiche e così via. Se poi attacchiamo la teoria dei tre cerchi anche all’Afghanistan, Iraq e così via significa che ci infiliamo in un’altra situazione che è diventata un po’ strutturale, al di là di tutte le cose di dettaglio che sono state dette. Dopo la caduta dei due blocchi e delle loro conseguenze, per motivi specifici, che possiamo andare di caso in caso a comprendere e valutare, questo caos internazionale, fatto di guerre che finisce una e ne comincia un’altra, poi quell’altra riprende ecc.ecc. mi sembra che sia diventato un elemento strutturale di un certo governo, di una certa governance del mondo che prima, io non sono assolutamente nostalgico di altri tempi, soggiacevano a certe regole scritte, o non scritte che fossero. Dopo la fine dei blocchi queste regole sono saltate e gli effetti si sono cominciati a vedere esattamente nei termini in cui sono stati descritti da chi mi ha preceduto. Allora che cosa succede? Succede che quando non ci sono regole… ci sono le ideologie che sono sempre servite ad ammantare di nobile oppure di politico tutta una serie di cose. L’elemento fondamentale sempre, alla fin fine è l’interesse nazionale soprattutto delle grandi potenze. Interesse che veniva un tempo perseguito in un’ottica di fare ciò che si può per evitare guai peggiori, per esempio la guerra nucleare, che non sarebbe mai scoppiata naturalmente. Invece adesso lo si fa in una specie di far west planetario in cui non ci sono né regole né riferimenti, ideologici o falso ideologici o comunque di ideologie al servizio di politiche più concrete. Un nostro predecessore che sicuramente Paolo ha letto, Daniele Varè (l’hai letto il libro di Varè?). È uno che ha fatto la carriera diplomatica tra la fine dell’800 e la seconda guerra mondiale e di trasformazioni ne ha viste. Ha scritto un libro che si chiama Il Diplomatico Sorridente, in cui racconta alcune cose anche liete e alcune cose molto profonde. Racconta di quando gli stati agivano ognuno per il proprio interesse dichiarato, aperto ed esplicito e le cose andavano meglio perché alla fin fine si trovava una direttrice. Invece adesso che dobbiamo lottare per grandi principi, la democrazia, la libertà ecc non si capisce più niente. E diceva a un certo punto, parlando di una certa questione sulla Lituania, che questa situazione della Lituania è stata bloccata perché si è opposto Willson e commenta: “ma che gliene frega a Willson della Lituania? Parliamo degli anni ’30, oggi le cose sono diverse”. Comunque, in questo caos generale in cui tutti cercano di perseguire gli interessi nazionali, vediamo che molti lo fanno molto maldestramente, consapevolmente o inconsapevolmente maldestramente ma lo fanno molto maldestramente. Altri lo fanno con più precisione. Nel caos che si è aperto, ci sono stati paesi che a me sembra brancolino nell’indecisione. Non so se Obama è o non è tentennante ma se dobbiamo valutare quello che è successo negli ultimi 15-20 anni, uno si chiede quali sono, se ci sono stati degli interessi da perseguire, se ci sono stati degli interessi delle nazioni o dei grandi trafficanti di armi, di cocaina ecc. voglio dire che al di sotto degli stati ci sono degli elementi, alcuni rispettabili, altri meno, ma che comunque premono, influiscono, fanno lobby, per cui tante volte la politica non è necessariamente dettata da quella che nella diplomazia classica chiamiamo interesse nazionale ma da una congerie di cose. Questo provoca anche un po’ di disordine. La Francia è andata a bombardare perché voleva togliere l’influenza all’Italia, bene, è vero ma poi alla fin fine la Francia era sicura di cosa ne avrebbe tratto? non mi sembra che ci sia un piano, una strategia che valuti nel periodo breve cosa conviene fare e perché e per come. E mi dispiace dirlo, ma i maldestri sono gli occidentali. Vediamo che altri stati, a un certo punto, hanno cominciato, anche con la nostra compiacenza, a fare una politica tradizionale. Chi sono questi stati? La Russia, che a un certo punto aveva in Siria questa posizione tradizionale, di influenza di posizionamento strategico, ed è intervenuta in modo pesante, esplicito, chiaro in modo tradizionale, bello o brutto che sia. E anche la Turchia ha cambiato quando ha capito, ma anche la Turchia sta intervenendo con strumenti classici. Un paese che invece si trova a metà è proprio l’Arabia Saudita, perché ha cominciato l’approccio alla Siria per di perseguire l’interesse nazionale, che è quello di ostacolare l’Iran. Quindi quando è scoppiato in Siria ha trovato l’occasione per premere sull’Iran in Siria visto che non era riuscita in Iraq dove comunque poi si è instaurato un governo sciita. Quindi era un interesse. Ma come lo ha perseguito? Maldestramente. Non partecipano ad Astana. Né loro né il Qatar. Questo è un messaggio chiarissimo. È un po’ come un non comprendere certe realtà, come essere attaccati a certe idee in maniera primitiva. È chiaro che la prima cosa da pensare è che l’Occidente, in questo gioco di azioni, rischia alla lunga di soccombere, di trovarsi più indebolito. Poi ci sono anche altre problematiche. C’è chi dice che la cultura occidentale è un po’ in declino. Quando c’era l’imperialismo, che è una cosa bruttissima ovviamente, ma quando c’era l’imperialismo europeo, c’era la coscienza degli europei di essere ciò che erano, di avere una missione civilizzatrice. Era falso, ideologico, ecc, ma era un senso d’identità. Tutto questo viene meno per mille motivi, ed è uno dei motivi secondo me di questo navigare nel buio. E quindi siamo in una situazione caotica dappertutto, caotica sul piano medio orientale allargato, se la consideriamo sul piano planetario. Anche le decisioni di Trump, sia che si tratti “can che abbia non morde”, sia che morderà un poco o morderà tanto, ha comunque sparigliato i giochi. E, anche si trattasse di un bluff, basterebbe a sparigliare i giochi. Ha gettato un ulteriore masso su questa situazione. Che cosa farà l’America? Perseguirà i propri interessi lo abbiamo capito, ma come? Partecipando o no? Proiettandosi all’estero con la guerra o con la pace, oppure no? È tutto da vedere. Il diavolo oppure la logica. Puoi fare dieci mila cose, ma dipende da come le fai. C’è un grande politico che tutti voi conoscete, indipendentemente dalle passioni politiche di ciascuno, credo avrebbe meritato l’ammirazione di tutti per un unico saggio che ha scritto. Anzi non per un unico saggio per un unico titolo del saggio. Ed è Lenin, che a un certo punto ha scritto un saggio che si intitola Che fare? Il problema di ogni cosa è che a un certo punto, parliamo, parliamo, parliamo, facciamo le guerre, ma che cosa vogliamo fare? Un tempo, anche nel dopo guerra immediato, il mondo aveva una governance che ha tenuto l’economia, ha garantito una serie di equità internazionale. Adesso non c’è più questa cosa. Che cosa fare? Il problema è che ognuno, ammesso che ci stia pensando, sta pensando individualmente, e questo mi sembra che sia stato proprio tu ad indicare questo fatto. Non si pensa più a livello internazionale in modo collettivo. Un esperimento come Bretton Woods o come fondazione dell’ONU o come creazione del G8 non c’è più. Ognuno pensa a modo suo. Questo non aiuta, anche perché proprio in quei consensi che per esempio per l’Europa avrebbero potuto determinare un attore internazionale, grande e potente, economicamente e militarmente, che per cultura e per storia avrebbe potuto essere un elemento moderatore, l’Europa purtroppo stenta per tanti motivi. Ma dobbiamo porci il problema del che fare? Allora dobbiamo porci delle domande, e bisogna che i governi se le pongano sulla base della conoscenza del terreno con acutezza mentale e anche con un minimo di onestà. Non tanto per ragioni etiche ma la mancanza di onesta, del pensare al collettivo oltre che a se stesso alla fine danneggia tutto. Perciò l’umanità esiste, perché esiste un senso di conservazione della specie individuale ma anche collettivo. Bisogna capire la necessit di stabilire politiche che vadano al di là del proprio interesse immediato, che associ l’interesse nazionale a quel secondo livello di interesse individuale che consiste nell’assicurare anche la tranquillità degli altri. Se io assicuro il mio interesse in un certo modo posso incorrere nel terrorismo, se me lo assicuro in modo diverso, il terrorismo posso forse evitarlo.

Casardi

Volevo farti una domanda su quello che stai dicendo. L’Arabia Saudita e la Turchia si erano un po’ erte ognuno a paladine della parte mussulmana sunnita e sono rivali. Però in Siria hanno un po’ perso tutte e due. Ma chi tu pensi dei due, della Turchia e dell’Arabia Saudita, riscuota maggiore successo tra gli islamici. Se questo fatto di porsi come paladini potesse avere successo, quale delle due è candidata, in futuro, a riscuotere questo successo? Chi ha maggiori consensi nel mondo islamico tra Turchia e Arabia Saudita?

Boffo

Intanto ti ringrazio per aver riportato il discorso su temi più specifici. Sono due esperimenti islamici diversi. La Turchia è stato un grande stato, l’impero ottomano è stato uno stato laico, islamico ma laico, è alleato della NATO ecc. e adesso si è orientato più vero un radicalismo meno laico, più religioso, più fondamentalista, potremmo dire, però è comunque l’erede di uno stato vero che ha partecipato alla storia europea. L’Arabia Saudita è uno stato, ma venuto fuori più recentemente e in modo anche condizionato degli eventi internazionali dei due dopo guerra. Io non credo che l’Arabia Saudita possa essere un riferimento per i sunniti, per un motivo molto semplice. Perché loro interpretano l’Islam secondo Wahabita che è estremamente radicale, estremamente severa e rigorosa. Ora se la modernità va avanti in qualche modo, avremmo sempre certamente fondamentalisti che possono diventare terroristi ma io non credo che l’islam intero possa identificarsi. Non è un caso che l’Arabia Saudita per promuovere questo suo modello nei decenni non ha fatto altro che finanziare tutti, buoni e cattivi. L’Arabia è in difficoltà economica, la caduta del prezzo del petrolio che ha contribuito a fomentare in chiave anti iraniana e anti russa, e la guerra nello Yemen che le costa miliardi di dollari, li sta indebolendo. Hanno avuto, abbiamo letto sui giornali, problemi di bilancio, stanno tagliando spese e salari ecc. hanno elaborato una cosa saggia se riescono a mandarla avanti, che è il piano per il 2030. Cioè vendere una quota parte di Aramco che è l’industria estrattrice di petrolio e metterla sul mercato e realizzare un fondo sovrano di 2000 miliardi di dollari, con il quale sperano di finanziare un economia più diversificata. Ma attenzione, finanziare un’economia più diversificata significa aprirsi ancora di più. Se lo vuoi fare veramente. E aprirsi di più comporta una retrocessione rispetto a certi criteri sociali così severi e rigidi. Se il piano 2030 funziona, dovranno diventare un po’ meno radicali. E di questo forse sono convinti anche le gerarchie religiose. Perché quando il piano è stato pubblicizzato nessuna voce si è levata da parte delle gerarchie religiose, benché è chiarissimo che aprirsi al mondo, in maniera seria e non solo con il petrolio, e aprirsi a un’economia diversificata, significa ammettere una serie di libertà civili. Imporre due tasse, tagliare tutti i benefici di cui questa popolazione ha fruito gratis finora, significa garantire anche un minimo di cittadinanza. Non più sudditi, ti pago tutto e comando io. Non a caso hanno fatto votare anche le donne. A noi faceva ridere ma per loro è stato un progresso grandissimo. Quindi io non credo che l’Arabia Saudita possa essere un modello. La speranza, quello che sostenevo da ambasciatore, è che l’Arabia Saudita, pur in modo maldestro, sta facendo dei piccoli passi e va sostenuta in questo e va anche fatto capire che non è più il momento in cui possiamo tollerare che un alleato nominale ci faccia la guerra in casa. Quindi l’Arabia Saudita è in difficoltà in questo momento. Non conosco a fondo la situazione turca. Ma di modello turco si è cominciato a parlare quando è cominciata la cosiddetta primavera araba, però il modello turco è nato in Turchia, basato su radici storiche turche. Cosa vuol dire modello turco? Quello di Ataturk? Quello che sarà domani? Un paese fondamentalista quello di adesso? È difficile dirlo. Anche perché in politica esterna Erdogan sta facendo questi andirivieni continui. Quindi quale è il modello islamico a cui dovrebbe riferirsi? Io credo che il mondo mussulmano sia altrettanto in confusione quanto il nostro. Noi ci accorgiamo meno perché vediamo i mussulmani come tutti uguali o quasi. Ma in realtà al loro interno ci sono differenza grandissime e conflitti anche ideologici. In questo momento il problema non è cercare un modello, ma cercare un minimo di saggezza nelle cose. E’ sempre ridicolo parlare di buon senso quando si parla di altissimi temi di politica. Il buon senso strategico dovrebbe sorreggere le cose.

L’Europa dovrebbe capire anche lei a un certo punto cosa vuole essere. Se no anche noi siamo vicini al disastro. È vero che i paesi europei stanno facendo tutto quello che hanno sempre fatto nella storia, battersi fra di loro e farsi concorrenza fra di loro. Però questo ha portato a guerre sanguinose. Non vorrei riaprire questo capitolo. Spero di no. Ma non sarebbe neanche interesse dei paesi europei, né di chi perdesse né di chi vincesse. I governi devono superare con la cautele necessarie questo ragionamento di tutelare troppo gli interessi nazionali. Ma anche l’Europa, attenzione, l’Europa sta crescendo in un modo che a me personalmente non piace. Non è più l’Europa che è stata fondata. L’Europa sta crescendo in un modo che non garantisce concordie, integrazione, libertà, equità, ma in un modo in cui nega e addirittura compromette tutti questi valori. Quindi su queste cose credo che i governi dovrebbero riflettere e dovrebbero trovare in Europa e fuori un nuovo spirito di governance comune e internazionale. Lo so che è difficile. Se non è ancora stato fatto forse è perché non c’è stata la condizione. Ma credo che se tutti noi avessimo questo obiettivo, anche chi lavora nella politica estera, chi la commenta, chi poi la opera, ciascuno nel suo settore di competenza nelle diplomazie internazionali. Ma è il pensiero diplomatico degli stati che sono meno potenti di prima, devono riflettere su come creare una nuova governance internazionale, che assicuri il minimo possibile di disagio e il massimo possibile del commercio internazionale, dell’equità dei popoli. Più di questo non saprei dire.

Casardi

Grazie mille, Mario, della tua interessante esposizione. E mi pare che dobbiamo adesso pensare ancora un pochino di più alla questione degli interessi nazionali giacché abbiamo appena detto… infatti era quello che mi accingevo a fare. Di interessi nazionali parleremo nella seconda parte della nostra esposizione. E adesso siamo fermati un po’ di più sulla questione instabilità in questa zona mesopotamica. Quindi vogliamo procedere a qualche domanda?

Pubblico 1

Mi ha molto incuriosito questa cosa che ha detto di Obama, il suo obiettivo strategico era quello di indebolire l’Europa. Ma in che modo è riuscito a farlo, quali sono state le modalità e in che consiste il suo interesse nazionale, cioè cui prodest? Perché doveva indebolire l’Europa? Forse non sono troppo dentro alle cose internazionali per capirlo. Grazie

Casardi

Se può gentilmente presentarsi, se rappresenta un giornale o cosa

Pubblico 1

Paola Cortese del Giornale Radio Rai.

Voce fuori campo

Mi sembra che fosse una domanda per Dottori. Vogliamo farne alcune così rispondiamo insieme?

Dottori

Sì meglio.

Pubblico 2

Silvana Paruolo, scrivo per il regionale dei Comuni e altre testate. Obama inizialmente era rivolto verso l’Asia, aveva fatto questo tentativo di TTP, il transatlantico e il Pacifico. Mi sembra che Trump li abbia accantonati entrambi. Anche perché le popolazioni hanno reagito in maniera un po’ esagitata, benché secondo delle regole giuste, perché se non le facciamo noi occidentali, le farà chi è meno rispettoso dei diritti umani. Ma la domanda è questa. Trump, con la Cina, dicendo no al trattato con i paesi del Pacifico apre una possibilità alla Cina di affermarsi ancora di più con i propri partner asiatici. Obama era più rivolto verso l’Asia. Obama nei confronti dell’UE ha tentato con l’Iran di portare un po’ di pace nel Medio Oriente ma non mi sembra esserci riuscito. Ma dall’altra parte Trump si sta allineando con Israele. Quindi io non vedo chiaro in tutta onestà, quale ruolo, secondo voi, deve svolgere l’Unione Europea e perché era così disorganica.

Pubblico 3

Semplicemente un chiarimento sulla teoria dei 3 cerchi.

Dottori

Comincio io a spiegare, perché Obama avrebbe dovuto intenzionalmente indebolire l’Europa. Beh, faccia un po’ lei. Lei si trova ad essere il presidente di un paese la cui prosperità e potenza poggia sul fatto di possedere la divisa centrale degli scambi internazionale. Si possono stampare dollari e con i dollari stampati comprare qualsiasi commodity lei desideri. L’euro nasce come progetto teso a sfidare questa supremazia e nel momento in cui Obama arriva alla Casa Bianca, l’euro viaggia verso quota 22-25% della denominazione della ricchezza mondiale. Si preoccuperebbe o agevolerebbe questo processo? Io mi preoccuperei. Inoltre, c’è stato un fattore scatenante che ha contribuito ad accelerare l’azione di Obama contro l’Unione. Ed è stato il fatto che per uscire dalla recessione e avere più facilità di vincere la riconferma nel 2012, a un certo punto Obama avrebbe desiderato vedere i Tedeschi ispirare un politica monetaria e fiscale espansiva anche in Europa. E si è reso conto che dalla Germania e dall’Europa non poteva invece avere. A quel punto, lui ha compreso che l’Europa è un centro di imputazione di interessi che possono essere in contrasto con quelli degli Stati Uniti. Aggiunga un terzo fattore. La Germania stava considerando l’idea di raggiungere con la Russia un tale grado di sinergia e armonia politica e strategica da proporre, o mettere per lo meno sul tavolo, l’idea di dar vita a un trattato di partnership strategica, che avrebbe svuotato dall’interno l’obbligazione del trattato dell’Atlantico. Questo è più che sufficiente per spiegare perché gli Stati Uniti si sono mossi. Cercate di capire. Non esiste in natura un progetto teso a fare degli stati europei un’unione che si proponga alla maniera di Prodi, come una nuova potenza mondiale, che non trovi sulla sua strada gli Stati Uniti. Non è possibile. E Obama è stato in questo, devo dire, anche molto trasparente e molto onesto. Perché se vedete, nella sua comunicazione politica, anche da presidente lui non si è mai presentato come il capo dell’Occidente. Mai. Perché l’Occidente come categoria geo politica è una categoria che appartiene ad alcuni periodi della storia. Nel caso della nostra esperienza attuale, è una cosa che si circoscrive al periodo che comincia con l’Entente cordiale agli inizi del ‘900 cui poi si associa l’America e finisce con il crollo del muro di Berlino. Punto. C’è un occidente e un altro occidente che inizialmente è rappresentato dagli imperi centrali e poi diventa l’Unione Sovietica in un’altra fase. Ma adesso non c’è. Nel primo mandato, Obama ha visitato una o due volte l’Europa, non di più. È andato una o due volte a un vertice dell’Alleanza Atlantica. Ed è proprio in questo modo che lui ha escogitato un sistema per indebolire l’Europa senza darlo a vedere. Semplicemente ritirando il servizio, la funzione di leadership. Senza la leadership americana gli europei si rivelano per quello che sono. Francesi, Tedeschi, Inglesi. Abbiamo scoperto che in Europa esistono nazioni che non hanno più stati da tre secoli, gli scozzesi sono stati lì lì per vincere il referendum per l’indipendenza, perché hanno un senso di appartenenza nazionale straordinario. E allora, noi Italiani siamo, secondo me, pregiudicati nella compressione di ciò che succede in Europa da una serie di difetti cognitivi e collettivi. Noi pensiamo che i Francesi, gli Inglesi, i Tedeschi, gli Spagnoli, ecc. siano come noi, soltanto con differenze linguistiche. Non è così. L’italiano è una persona che ha un’identità nazionale debole. Se voi chiedete all’italiano medio quali sono i suoi riferimenti identitari vedrete che in media un certo numero di persone inserisce l’Italia, ma troverete una grande quantità di persone che inserisce anche la città, la regione, l’Europa, il mondo. Quanti Italiani dicono sono cittadino del mondo? Quanti francesi dicono sono cittadino del mondo? Quanti inglesi dicono sono cittadino del mondo? L’Europa alla fine si inceppa, non casualmente dopo la fine della Guerra Fredda, ma perché c’è la riunificazione tedesca che crea uno squilibrio di potere all’interno. Noi non abbiamo da 20 anni più a che fare con la Germania ovest, abbiamo a che fare con la Germania unita. E la Germania unita ha conquistato un posto predominante, e devo dire anche suo malgrado, perché non è che abbia fatto molto per crescere di statura, è venuto diciamo per inerzia, per la loro grande forza economica e per il peso democratico che ha il paese. Ma si sono travati nella posizione di determinare l’assetto regolatorio. Noi siamo entrati in un Europa che ha regole standard che sono in larghissima misura determinate dalle esigenze della Germania. L’Europa calza alla Germania come un guanto alla sua mano. Questo però per noi italiani è stata una iattura. Quando c’è stata la possibilità di smantellare in qualche modo le partecipazioni statali, ci siamo dimenticati che la gran parte dell’industria del nostro paese, quella che offre da lavorare ai tecnici specializzati, ai laureati che diciamo sono più qualificati. Era tutta in quel paniere lì e l’abbiamo perduta, pezzo dopo pezzo, salvo l’industria dei materiali degli armamenti che comunque può essere ancora partecipata dallo stato per una serie di regimi di eccezione che sono stati stabiliti in nome della sicurezza all’epoca in cui sono stati fatti i trattati. Questo è il problema. E che i tedeschi si sentano tedeschi e non europei ve lo prova un fatto. Da quando sentite dire che non vogliono trasferimenti di ricchezza, né occulti né palesi, per cui non vogliono salvare i greci, non vogliono sovvenzionare gli italiani e gli spagnoli. Signori invece queste cose, negli stati nazionali si fanno. Noi italiani, il sud lo sovvenzioniamo, e ci mancherebbe altro. Le regioni in ritardo di sviluppo vengono aiutate da quelle che sono forti. Ma questo è possibile quando tu ti riconosci in una comunità di destini. E tale è la nazione. L’Europa non è una nazione, e mi dispiace, non lo sarà. È un peccato perché ovviamente la nostra scorciatoia al recupero dell’influenza che abbiamo perduto dopo il ’45 è impercorribile o meglio non ci porta da nessuna parte. La reazione anti europea molto diffusa nel nostro continente deriva dal fatto che dietro l’Europa la gente vede soprattutto il risorgere del predominio tedesco e per arginare il predominio tedesco si sono fatte due guerre mondiali. E quindi più andiamo avanti su questa strada, secondo me, e peggio facciamo. Meglio è un attimino calmarci, magari riportare l’integrazione un pochettino indietro, magari valorizzare le interdipendenze economiche, anziché pensare a un’integrazione sovranazionale di natura politica che costringerebbe noi italiani a mettere soldati e risorse, per esempio per fare delle operazioni che non sono di nostro interesse o di cui nulla ci frega. Se permettete. Su Trump volevo dire qualche cosa. Attenzione che il trattato del Pacifico che è saltato, come anche il TTIP per l’Europa, rispondevano a delle operazioni di carattere strategico più che di convenienza economica e avevano molti problemi anche nel Congresso americano. La finalità era quella di isolare cinesi e russi e in effetti il risultato di questa strategia è stato quello di accentuare la convergenza tra russi e cinesi. L’obiettivo strategico di Trump è quello di separare Russia e Cina. E di tirare la Russia dalla nostra parte sia per permetterle di fare delle operazioni di pulizia in una certa area del mondo in cui l’America non vuole più rimettere piede, sia perché tutto sommato Trump non teme affatto la Russia, è un uomo d’affari, e conscio del fatto che la Federazione Russa ha un PIL che è pari a quello dell’Italia, e non la considera una minaccia alla sicurezza mondiale. Al limite, più i russi occupano spazi vuoti e più si indeboliscono esattamente come ai suoi tempi si era indebolita l’Unione Sovietica. Io penso che la vera differenza tra Trump e Obama è in questo: entrambi hanno veicolato una politica che viene adesso improntata verso un relativo ritiro dagli affari mondiali, un ridimensionamento dell’impronta militare americana all’esterno. Ma mentre Obama ha giudicato non ostile, persino funzionale agli interessi degli Stati Uniti, il caos che ne sarebbe derivato, Trump, da uomo d’affari quale è, pragmatico, vuole che il ritiro degli Stati Uniti dagli affari mondiali e la riduzione dei costi di presenza esterna avvengano senza che si determini disordine collettivo. Questa è la sfida di Trump e penso anche che per la natura che hanno alcune declinazioni di questo progetto nella regione Euro Mediterranea, a noi Trump convenga alla grande. Al contrario dell’alternativa che era rappresentata dalla Hilary Clinton che avrebbe verosimilmente premuto il pedale dell’acceleratore sul lato dell’instabilità e della sua accentuazione.

Boffo

Sempre sull’Europa molto rapidamente. Fermo restando certamente la prevalenza tedesca. A me sembra che l’Europa si sia prestata più che a perseguire l’integrazione politica economica ecc, ad essere un serbatoio di logiche che poi diventano regolamenti, regole e così via che afferiscono non tanto a una comunità di stati ma a una congerie di interessi, chiamiamoli meta statali. Ormai gli stati sono più deboli di prima perché si sono stabiliti poteri internazionali, multi nazionali, non parlo solo delle grandissime multinazionali, ma anche dei cosiddetti mercati, queste grandi nebulose finanziarie che non si sa chi sono e dove vanno e che hanno determinato questa ideologia iper liberista. Ho l’impressione che l’Europa sia diventata il serbatoio di tutte queste influenze che esistono anche in Europa. Non è che questi cattivoni esistono solo fuori, sono all’interno anche nei nostri paesi e si riferiscono a un mondo globalizzato che fa funzionare un’economia molto diversa rispetto a quella che abbiamo conosciuto fino a poco fa. Quindi quest’Europa trasforma questa ideologia in norme che poi causano una serie di dissapori e di problemi. Anche questo è un problema. Come risolverlo, non lo so, perché il mondo sta mutando e siamo di fronte a una mutazione storica importante, quella che vede il passaggio da un mondo fatto di stati e lo stato era il massimo. Non esisteva nulla al di sopra dello stato, fermo restando che con la politica internazionale c’erano rapporti tra poteri che superano lo stato e si collegano a livello internazionale, ma al servizio di pochi. Questo naturalmente lo leggiamo su tutti i giornali. L’Europa mi sembra proprio che sia su quella strada per molti aspetti.

Casardi

Grazie Mario. Torniamo all’Europa. Quello che ha causato il maggior dissesto dell’Europa, è stato l’allargamento, causato, in parte, proprio dalla Germania come diceva Germano, e non so se questo nome vuole dire qualche cosa… e nello stesso tempo anche dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna. In che modo? Quando nell’89 abbiamo proceduto all’allargamento, lo abbiamo fatto anche sotto la spinta molto consistente, molto forte e determinata della Germania stessa, che voleva inglobare la Germania dell’Est. Una volta ottenuto, quel Paese non fu naturalmente disponibile a negoziare qualunque altra cosa. Per la Germania era essenziale procedere rapidamente all’inglobamento della Germania dell’est. E la Gran Bretagna e gli Stati Uniti spingevano il resto dei paesi europei ad adottare i paesi satelliti dell’Unione Sovietica che non avevamo mai fatto parte del suo territorio ma che erano ridotti a satelliti, come la Bulgaria, la Romania, la Polonia ecc. perché fossero inglobati al più presto nell’UE per dare loro un inquadramento anche economico, un’assistenza, un’identità talmente forte che non fosse più possibile per l’ex Unione Sovietica, la Russia, di recuperarli nella sua sfera di influenza. Adesso la questione dell’allargamento delle zone di influenza sono i temi che caratterizzeranno la revisione, il momento della ripartenza dell’Unione Europea, se ce la farà a ripartire. Perché gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno facilitato questo processo? Secondo la logica dipinta da Germano era quella di non attribuire troppa importanza all’indebolimento dell’Unione Europea in quanto tale, e invece assolvere all’altro scopo che era quello di dare una nuova identità agli ex paesi satelliti dell’Unione Sovietica per ricostituire un equilibrio mondiale diverso e favorevole ovviamente agli Stati Uniti. Ecco allora, volevo dire due parole sui tre cerchi. Come dicevamo inizialmente, è una teoria che non si attaglia a tutto il mondo, ma in Medio Oriente si può attribuire a qualunque tipo di conflitto. Vede nel primo cerchio la presenza dei contendenti. Il secondo è quello delle potenze regionali come l’Arabia Saudita, la Turchia, l’Egitto, Israele e, se vogliamo, anche la Siria. Ma stiamo parlando di paesi un po’ più agguerriti anche dal punto di vista militare ed economico. Poi c’è quello delle potenze globali, il terzo cerchio; in sostanza le potenze veramente globali sono gli Stati Uniti e la Russia a cui è rimasta questa denominazione anche se economicamente ha una resistenza che non è poi senza limiti. C’è la Cina, che oggi si è affacciata decisamente nel Medio Oriente, addirittura svolgendo manovre navali offensive ed esercitazioni con la Russia. La Cina è arrivata pochi anni fa nel Mediterraneo per visite e ci è tornata l’anno scorso per fare esercitazioni. Quindi ci metterei anche la Cina. In Siria, come stavamo dicendo, la Russia è scesa a livello delle potenze regionali ed ha aiutato i contendenti che erano, in quel caso, la Siria di Assad. Quindi c’è stato un buco tra i cerchi che è quello che ha permesso di risolvere, direi temporaneamente, la situazione in Siria. Semplicemente questo. I tre cerchi possono essere osmotici, cioè si può passare da uno all’altro oppure no, ma certamente complicano la situazione vicendevolmente perché gli interessi di un cerchio che possono essere risolti da un accordo interno, possono poi non essere compatibili con gli interessi degli altri due. Quindi è quello che rende un po’ irresolubili le situazioni. A questo magari arriveremo dopo quando parleremo della possibilità di una conferenza generale.

Adesso vorrei tornare agli interessi nazionali, cioè, vivendo in un mondo che sta recuperando l’interesse come sua ideologia e non più basato su altre cose, vorrei parlare un momento degli interessi italiani per vedere se i miei colleghi pannellisti hanno qualche suggerimento da dare al governo in quest’apertura di anno che ci vede così presenti sulla scena internazionale e soprattutto avendo delle armi a disposizione, per evidenziare il pensiero italiano, pur non essendo noi una potenza globale. Però è anche vero che abbiamo interessi in tutto il mondo, quindi siamo un paese per lo meno a vocazione globale pur non essendo una potenza globale.

Allora dico in due parole gli interessi basici che andranno certamente in discussione nel G7, nel Consiglio di Sicurezza, nell’Unione Europea quando organizzeremo la celebrazione del 60esimo dell’OSCE, del comitato mediterraneo dell’OSCE. In sostanza, la ricerca della pace fa certamente parte della nostra tendenza di fondo perché siamo un paese senza risorse, gran parte del nostro PIL, per esempio l’acquisizione delle materie prime è basata sull’apertura delle frontiere e della pace, e l’acquisizione della nostra energia. Poi anche gran parte del nostro commercio internazionale (perché noi importiamo queste materie prime, le trasformiamo e le ri-esportiamo) è basato sulla libertà delle frontiere, sulla pace, sulla libertà di navigazione e gran parte di questi trasporti sono marittimi quindi abbiamo bisogno di garantirli. E la ricerca dalla pace, soprattutto nelle zone a noi limitrofe, è una realtà nostra costante e credo che la ragione principale per cui siamo entrati in consiglio di Sicurezza sia soprattutto la Pace in Libia.

Dopo di che c’è la questione dell’immigrazione che è stata trattata da questo governo e da governi precedenti. Come sapete, abbiamo dato la base per un progetto europeo che si chiama Migration Compact e anche quello italiano si chiamava Migration Compact e l’idea sarebbe ora di farla diventare un’iniziativa globale attraverso il lancio da parte del Consiglio di Sicurezza all’ONU in Assemblea Generale dove si tratterebbe di discutere lo stesso problema, con lo stesso schema cercando di allargarne i clienti.

Poi c’è la questione del terrorismo che credo sarà trattata in tutti questi formati a partire dal G7. C’è la questione delle relazioni con la Russia, c’è chi dice che noi dovremmo re-invitare la Russia al G7 facendolo diventare G8. C’è la questione della difesa europea. Sto parlando solo dei principali interessi nazionali in questi formati, ma voi potrete aggiungerne altri. Anche lì si parla delle relazioni con la Russia e di un nuovo atteggiamento americano ma la difesa europea comunque ci interessa. In che modo? Ci interessa perché si parte dall’allargamento, probabilmente ci vorrà un’Europa a varie velocità per permettere la costituzione di una difesa europea. Già si fa comunque parecchio nell’ambito della difesa europea sul piano industriale ma non sul piano operativo. Ecco, io ho fatto dei brevi accenni vorrei sapere se ci sono suggerimenti per il governo che dovrebbero poi essere trasformati in idea rapidamente perché appunto la regata è cominciata. Siamo al 24 gennaio e quindi siamo membri di tutte queste cose e l’anno non è lunghissimo. Allora chi vuole iniziare?

Boffo

Dunque, allora sarebbe bello se questo 2017 fosse l’anno in grado di cambiare le sorti dell’Italia. Purtroppo non credo che sarà così. Purtroppo l’Italia è un paese… il mondo ha bisogno dell’Italia, l’Europa ha bisogno dell’Italia, il Medio Oriente ha bisogno dell’Italia però l’Italia non mi sembra in grado da sola di affermare i propri interessi nazionali. E lo vediamo anche dagli ultimi accadimenti, siamo sempre entrati o associandoci o al traino o subendo iniziative come per esempio quella in Libia. Allora che deve fare l’Italia? Certamente deve perseguire le cose che ha detto Paolo, che sono quelle più urgenti ed immediate e, più in generale, deve dare un contributo alla stabilità del mondo perché essendo un paese di navigazione ha bisogno di un mondo sabbie. Non siamo gli unici. Ci si offre l’occasione di presentare in questi contesti le varie tematiche che fino ad ora abbiamo dovuto affrontare da soli o solo in Europa è di presentarle in una scala più ampia. Dovremmo trovare modi originali di porli. È chiaro che se tu dici ah povera Italia che deve subire tutti questi immigrati mentre gli altri se ne fregano. Gli altri continueranno a fregarsene perché l’altruismo non esiste. Bisognerebbe inserire questa e tante altre questioni in un modo tale da fare capire con l’arte del negoziato, forse di Trump, forse si potrebbe chiedere a lui, come far capire che una cosa che interessa a me in realtà interessa anche agli altri. Per esempio, queste correnti migratorie, se le deve subire un solo paese, alla fin fine ci saranno tali e tante di quelle difficoltà, almeno potenzialmente, speriamo di no, che si riverserebbero sicuramente sugli altri. Allora bisogna affrontare i temi nei loro dettagli, ma è questo che un paese come l’Italia può fare. Non potendo attuare da sola politiche a se favorevoli, deve cercare di convincere gli altri. Le nostre strutture di politica internazionale, il nostro ministero degli esteri nonostante le problematiche, la mancanza di risorse, svolge da sempre una grande opera in queste cose. Bisogna che anche la politica comprenda questo. Che esca da affermazioni rivolte alla stampa oppure demagogiche. Bisogna che la politica nazionale si metta a un tavolino, collabori con gli addetti ai lavori e si metta nella posizione di interagire con gli altri paesi nei contesti che abbiamo descritto in maniera il più possibile costruttiva. Far capire che il problema veramente non è solo nostro, perché è un problema planetario, di navigazione e anche altro. Questo dovrebbe fare, però più in là di questo ora come ora non riesco ad andare. Se ti aspettavi suggerimenti magici forse ho disatteso le tue aspettative.

Allora le tematiche sono quelle che hai detto. Certamente per noi, come interesse nazionale, dovrebbe esserci anche lo stabilimento di regole economiche in grado anche di proteggerci. Pare che si stiano comprando l’Italia da tutti i lati. Non mi sembra interesse nazionale che tutti questi grandi gioielli di famiglia, questi grandi gruppi economici, tecnologici, o finanziari strategici vadano a finire in mani straniere. Non è interesse né del cittadino, né della nazione, né dello stato. Quindi dovremmo batterci per ottenere regole… questo liberismo spietato che permette tutto il contrario di tutto, alla fine chi danneggia? Danneggia i più deboli. Noi avremmo dovuto farlo in passato ma dobbiamo anche adesso chiedere che tutta questa iper libertà commerciale internazionale abbia dei paletti. Perché se no veramente ci riduciamo come nel ‘500 quando l’Italia era terreno di scontro e di conquista degli altri paesi europei. Allora lo era militarmente, adesso lo sarà economicamente.

DOTTORI

Allora anche sotto questo profilo ci serve Trump perché mi pare che il senso della politica commerciale americana e della sua amministrazione sia un po’ quella. Sottoporre a dei limiti, dei vincoli ecc il governo di certi flussi. Dobbiamo capire che se il nostro sentimento nazionale è debole, questo non implica anche un debole sentimento nazionale degli altri. Se un imprenditore italiano tenta la scalata in un altro paese d’Europa, in Francia persino in Belgio abbiamo visto cosa è successo a De Benedetti quanto tentò di scalare la Societé General du Belgique. A un certo punto si scopre che incredibilmente, sarà che i soldi non puzzano, ma una bandiera ce l’hanno. Allora c’è questo, molta ritrosia da parte dei paesi che hanno un grande progetto di potenza, accettare passivamente la colonizzazione del proprio sistema economico e l’ingresso in settori ad alta valenza strategica di capitali stranieri che poi sono in grado di fare delle scelte aziendali. Nel momento in cui una tua grande impresa viene presa da un paese che ti è concorrente, devi anche mettere in preventivo che se c’è da fare una scelta su dei tagli per esempio all’occupazione, prima di tagliare i posti nel paese che ospita la casa madre si tagliano quelli di tutti gli altri. Magari l’imprenditore italiano non lo fa, fa diversamente perché non ha questa cosa nel suo DNA di considerare l’appartenenza nazionale come un qualche cosa che fa la differenza. Ma vi assicuro che altrove l’appartenenza nazionale fa la differenza. Uno dei grandi problemi del nostro paese è che si trova sotto attacco. E guardate che è sistemico perché di tanto in tanto vedrete che partono gli avvertimenti a livello europeo, il debito è insostenibile, dovete liquidare assett ecc, a parte il fatto che se anche liquidassimo tutto ciò che abbiamo neanche l’uno per cento del debito pubblico andremo a ripagare. Ma qual è l’idea? Sotto la pressione esterna tu svendi. E gli altri entrano in casa tua. Qual è una delle cose più ricche e importanti che ci restano? Il risparmio. Noi siamo produttori di risparmio, forse i più grandi produttori di risparmio in Europa. Ecco l’interesse straniero per le nostre banche. Perché se si assume la titolarità, il controllo delle nostre banche, si comincia a poter disporre diversamente del risparmio prodotto dalla nazione italiana, e magari con i soldi dei risparmiatori italiani una banca sotto controllo straniero da in prestito soldi a concorrenti del nostro paese per fare l’acquisizione di un’impresa italiana. Dopo di che i nostri ingegneri, i nostri massimi esperti di management e quant’altro, il posto di lavoro in Italia non lo trovano più e devono andarsene a Parigi, Londra, Francoforte. Che è quello che sta accadendo. Cioè noi non dobbiamo essere gli scemi del villaggio, dobbiamo capire che stiamo giocando a un gioco in cui le regole non sono precisamente quelle che immaginiamo noi. E anche quando le regole ci sono, non è detto che coloro che partecipano al sistema, abbiano la medesima propensione a rispettarle che abbiamo noi. Lo abbiamo visto quando siamo stati costretti a smantellare il sistema delle shells. Poi comunque Monti ci ha messo in qualche modo una pezza, ma i francesi in questa cosa non si sono piegati. Noi si. E allora, tutto questo per dire che bisogna partire da lontano nel senso che a me pare che ci sia sul terreno, e la politica sta cominciando a percepirlo dal basso, una grande domanda di recupero della sovranità. Quindi dobbiamo anche noi cominciare a percepirla più seriamente, tenendo ben presente che nessuno meglio di noi potrà fare i nostri interessi nazionali. Non saranno i francesi, non saranno i tedeschi . da qui dobbiamo partire. Anche quando accettiamo l’idea che il perseguimento dei nostri interessi nazionali, non essendo noi onnipotenti o una grande potenza, richieda ai nostri politici l’elaborazione di strategie, di ricerca di alleanze e partnership. Ma c’è la logica dello scambio. Dobbiamo cercare di recuperare sovranità per difendere il paese dalla minaccia che a mio avviso è quella più grave, il rischio della deindustrializzazione. Negli anni della crisi, l’Italia ha perso il 18 per cento della sua capacità produttiva manifatturiera. Dobbiamo recuperare il controllo del nostro territorio e delle nostre coste, altrimenti il nostro paese continuerà ad essere la porta d’accesso di immigranti che nessuno vorrà a nord del nostro paese. Rischiamo di essere buttati fuori da Schengen, e non perché gli altri sono egoisti, ma perché il sistema di valori altrove è diverso. Mentre noi, un po’ perché abbiamo il Papa, non abbiamo un atteggiamento così ostile al migrante. Se voi andate in Francia, Germania trovate una situazione diversa. Guardate quanto sta costando alla Merkel l’avere imbarcato quelle centinaia di migliaia di persone scappate dalla Siria attraverso la Turchia. E stiamo parlando di gente qualificata. Sapete quanti hanno trovato lavoro? 38 mila. Neanche il 10% a due anni dal loro arrivo. Quindi l’altro punto su cui dobbiamo lavorare è la formulazione di politiche, ricerca di alleanze che ci permettano di sviluppare una politica di contrasto serio ai flussi migratori. Mi pare che il ministro dell’Interno che abbiamo, in questo senso si stia movendo già molto diversamente dal suo predecessore e credo non sia estraneo il fatto che il nostro ministro dell’interno è un uomo molto vicino agli Stati Uniti e abbia capito in che direzione soffia il vento e credo che dall’amministrazione americana arriveranno dei segnali per il Mediterraneo abbastanza seri. Invece di avere un uomo alla Casa Bianca che continuerà a dire che l’immigrazione è una bella cosa salvo poi quando i politici americani hanno visitato la Grecia e certi posti del nostro paese hanno detto che il problema è decisamente poco governabile se non addirittura completamente fuori controllo. Noi abbiamo un uomo negli Stati Uniti che invece è fermamente convinto che il controllo dei flussi è essenziale. Per noi, è in gioco la coesione nazionale. Avere un fenomeno fuori controllo significa che la gente comincia a temere, ad avere poca fiducia nelle istituzione, a difendersi da sola e comincia ad alimentare una xenofobia molto radicale. Diventa un problema di destra all’Alba Dorata. Non so se mi sono spiegato. Abbiamo bisogno di sfruttare le posizioni in campo per fare un lavoro. Poi il discorso della prevenzione anti terroristica. Io credo che la nostra politica estera negli ultimi anni è stata disegnata, con grandissima attenzione, proprio in funzione della prevenzione del compimento di attentati terroristici. Ed ha funzionato egregiamente. Abbiamo fatto una politica di contrasto allo stato islamico che ha evitato di antagonizzare la Turchia. Abbiamo mandato forze armate per aiutare i peshmerga. Quando in Libia abbiamo un po’ troppo sterzato a favore dell’Egitto qualcuno ci ha buttato giù il consolato generale a Al Cairo, il messaggio è arrivato, noi abbiamo perfezionato la posizione, siamo andati a sostenere il cambio di Serraj che è arrivato a Tripoli con la benedizione americana, protetto da navi e personale militare italiano e inglese.

Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia è il terzetto del caso Regeni. Italiano, dottorando a Cambridge, frequentatore dell’università americana a Al Cairo. Americani ed inglesi hanno capito alla perfezione a chi fosse indirizzato il messaggio. Tanto è vero che a differenza di tanti altri casi che hanno riguardato l’Italia, vedi i Marò, la stampa anglosassone ha coperto alla grande il caso di Regeni. Siccome noi non abbiamo capito, o abbiamo finto di non capire, dopo pochi giorni al-Sisi ha concesso un’intervista a Repubblica e alla Stampa, in cui spiegava che ritenevano che l’Italia si dovesse interessare meno della Libia, perché fa degli errori. Come altro ce lo devono dire? È stato chiaro no? Ora però cosa succede? È cambiato lo scenario? È in rapido mutamente. E prima dell’arrivo di Trump ha condizionato aspettative e percezioni. Allora abbiamo Astana. È un tentativo di raggiungere un’intesa preventiva tra i vincitori prima che Trump possa dire la sua. Perché poi dirà la sua. Deve scegliere chi sostenere nella vicenda, cosa fare dei curdi. In Libia verrà rivista la posizione degli USA che è stata pro Tripoli con l’idea di fare un governo inclusivo in cui però l’islam politico avesse un peso molto forte. Io penso che gli Americani cambieranno questo tipo di politica anche sull’onda di un avvicinamento tra sostenitore e avversari dell’islam politico. Se c’è pace tra Egitto e Turchia possono andare d’accordo. Magari mettersi d’accordo per una forma unitaria, una forma con la quale si possa avere a che fare. Per l’Italia adeguarsi alle scelte USA sarà facile, se non nell’immediato in una fase successiva. Noi dalla Libia siamo stati cacciati già due volte. E tutte e due le volte siamo tornati. È la prossimità geografica che detta la forza della nostra influenza in quel paese e prima o poi riusciremo in qualche modo a recuperare. Però il rischio.. da qualche tempo ci dicono che il rischio dell’attentato c’è anche da noi. Perché? Per un fatto. La nostra politica di prevenzione dell’attentato è stata orientata in senso filo turco. Ora la Turchia è in guerra con lo stato islamico anche perché ha fatto l’accordo con i russi per gestire la sconfitta in Siria. Io mi spiego in questa maniera l’attentato al mercatino natalizio di Berlino. La Germania, molto filo turca in questi anni, ha scoperto di essere stata bersaglio perché la politica di amicizia con la Turchia è diventata una politica di amicizia con il grande traditore. Per cui, anche qui dovremmo essere molto attenti e vigili. Non credo che noi avremo una grande influenza su Trump all’inizio, ma a noi serve una soluzione per la stabilizzazione della situazione nel mediterraneo in cui però l’islam politico non sia totalmente umiliato, altrimenti sono guai.

Magari è chiaro che il compromesso si troverà a un punto molto diverso rispetto a quello immaginato dall’amministrazione Obama. Sarà un punto molto più vicino a quello di Sisi che di Erdogan. Dovremmo auspicare che gli americani riescano a convincere i russi che è necessario farlo per la stabilità.

Sulla Russia, per via della sua debolezza in Europa, l’Italia sta meglio se americani e russi vanno d’accordo per poter spendere con la Germania la forza dei nostri rapporti bilaterali con gli uni e con gli altri. Quindi Trump ci serve tantissimo e se poi questo comporterà meno dispiegamento di forze ai confini meglio.

Casardi

Grazie mille Germano. Ora due tre domande su questi aspetti. Domanda o indicazione per il governo italiano che, durante l’anno in corso, potrà esprimersi come mai prima.

Pubblico

Io sono veramente colpita dagli eccessi di nazionalismo dell’intervento di Dottori. Credo che l’Italia non debba spingere verso maggior nazionalismo, di mura ce ne sono già troppe. Bisognerebbe invece forse tentare di far applicare quell’accordo che ci è stato a livello europeo e che non viene applicato sulle immigrazioni, quindi la ripartizione, il rimpatrio, tutte quelle cose lì. Ma bisognerebbe spingere verso un’Europa sociale che faccia da baluardo a quest’anti UE, Bisognerebbe cambiare l’Europa qual’è, e bisognerebbe, secondo me, spingere verso una maggiore integrazione, non minore integrazione. Il fatto della difesa che è un problema che non ci riguarda, io ho lavorato due anni all’UEO come funzionaria internazionale negli anni ’80 e sono d’accordo che siamo sbrindellati, ma è un problema vero quello della difesa dei paesi membri dell’Unione Europea in futuro, se Trump si tira fuori dalla NATO, se vuole rompere l’alleanza atlantica, oggi sembrerebbe di no, ma domani non lo so. Quindi piuttosto che avere 25 eserciti, 25 cose navali, se si riuscisse a economizzare, utilizzando le risorse in maniera più intelligente, a spingere verso un’innovazione industriale, l’indotto, non armi, ma l’innovazione tecnologica avanzata, credo che la risposta non sia il nazionalismo, ecco.

Dottori

Solo una domanda, signora, mi permette solo una domanda? A livello di percezione, per capire eh. Da madre, lei sarebbe contenta di avere suo figlio in un eventuale esercito europeo mandato a morire per esempio in Polinesia francese, perché la Polinesia francese è sotto un qualche spettro di possibile attacco di qualcosa inimmaginabile? Oppure, comprenderebbe meglio se fosse per una necessità del nostro paese, cui lei più direttamente appartiene? Questo vorrei capire. Perché a livello, diciamo sociale e nazionale, questo fa una grande differenza. La gente può morire per l’Italia, non può morire per un paese straniero tanto facilmente.

Io vorrei che la gente non morisse né per l’Italia né per altri, però secondo me il problema è mal posto. Io personalmente non ho obiezioni contro un esercito europeo, piuttosto che francese, tedesco ecc ecc. Ma spingerei soprattutto su una razionalizzazione della spesa degli armamenti, quindi costruire insieme una cooperazione industriale. Più che eserciti per far guerra, piuttosto che difesa in termini militari, parlerei di difesa in termini di industria, ma non di armamenti. Di innovazione tecnologica che possa favorire anche un miglior progresso socio-economico, che abbia delle ripercussioni sulla salute, che abbia delle ripercussioni sul benessere. Quindi porrei i problemi della difesa non solo in termini militari, non mi scandalizza un esercito europeo, ma bisognerebbe stabilire per fare cosa, io vorrei che la gente non morisse a favore né dei francesi né della Polinesia né dell’Italia. Ma farei una politica di pace nel senso di sviluppo. Piuttosto che muri, una cooperazione diversa da quella che esiste oggi. Spingerei verso un Africa Compact migliore di quello che è, cioè investimenti per creare posti di lavoro e sviluppo in quei paesi, non solo sfruttarli. Cambierei un po’ tutta la logica. Quindi, partirei da una maggiore cooperazione industriale e per non avere un indotto, invece di comprare, produciamo. E produciamo anche cose di qualità analoghe a quelle degli americani, perché no. O dei cinesi o dei russi. Una migliore cooperazione internazionale. Tornerei piuttosto che alla politica della casa in ordine, che è stata predominante in questi ultimi decenni, a una logica di cooperazione internazionale e non di muri e nazionalismi.

Casardi

Ci sono altre domane? Allora, prego

Pubblico

Io volevo fare una domanda, anzi due domande, scusate. Una di scenario, cioè col crollo dei prezzi del petrolio e diciamo la sostituzione del petrolio come fonte primaria di energia. Quindi si va verso le rinnovabili. Questi scenari che tipo di problemi proporranno per l’area mesopotamica, per la penisola arabica? E poi invece per quanto riguarda quello che è stato appena detto volevo chiedere a Dottori come mai sembra la Francia presentarsi sempre come rivale numero uno dal punto di vista economico, cioè siamo sempre soggetti a scalate francesi, c’è un motivo? Grazie

Casardi

Grazie mille, allora per rispondere alla signora che mi fa piacere abbia fatto parte del personale dell’UEO perché io ho avuto l’onore di fare il direttore degli affari politici dell’UEO dal ’91 al ’94. Probabilmente era dopo la signora. Quindi avendo lavorato in quel contesto ovviamente avrò assorbito anche la filosofia di fondo. Nel senso che è l’unione politica che può giustificare un esercito comunque. Senza unione politica l’esercito comunque è semplicemente escluso perché travalica i livelli di accordo che si possono raggiungere in tal senso. Nessuno manda appunto a morire i propri figli fuori da una politica nazionale. Perché questa politica nazionale diventi europea ci vuole l’unione politica. Senza unione politica un vero esercito europeo, nel senso che si autogoverni sotto le direttive di un ministro della difesa europeo e di un presidente del consiglio europeo, per il momento non ce l’abbiamo. Viceversa abbiamo quella cooperazione industriale cui lei faceva riferimento. Che tutto sommato non funziona male, potrebbe funzionare meglio, però non si può nemmeno chiamare un abbozzo. È una consistente politica di cooperazione industriale che può essere migliorata. L’intenzione italiana è comunque quella di studiare tutte le possibilità per rafforzare la difesa europea, ma questo va un po’ nella direzione delle cose che stanno succedendo a partire dalla posizione del presidente americano che vuole una maggiore partecipazione dell’Europa alle spese per la difesa. Storia vecchia per altro perché da sempre gli americani si lamentano che gli europei spendono troppo poco per la difesa. Adesso a maggior ragione con un presidente americano molto difeso, molto deciso a non transigere su questo aspetto, ci obbligherà a dar un’occhiata ai nostri bilanci che sono talmente ridotti che come sapete impediscono addirittura il normale addestramento. Che non vuol dire imbracciare un fucile, l’addestramento vuol dire anche manovrare delle costose e anche molto delicate macchine elettroniche che poi qualora non ben manovrate non giustificano la spesa. Visto anche il livello dell’Italia con gli altri paesi alleati. Però è una cosa che certamente farà parte delle discussioni future. Per quanto riguarda gli emigrati e il nazionalismo, beh non c’è dubbio che in tutta Europa sta succedendo questo, quindi noi non siamo né più cattivi né più buoni degli altri, stiamo cercando una politica che soddisfi la maggior parte delle forze n parlamento proprio sotto questi aspetti dell’immigrazione. Però rivendichiamo anche alcune cose, per esempio l’idea del Migration Compact, per quanto vecchia è stata veicolata dal governo precedente almeno formalmente è stata accettata dal resto d’Europa e adesso l’Italia ha già dichiarato che proverà a veicolarla a livello mondiale attraverso il consiglio di sicurezza. Ma questo riguarda l’assemblea generale e sarà trattata dall’Italia in assemblea generale dell’ONU, che vuol dire che se viene poi votata favorevolmente, i paesi, tramite questo voto, si impegnano a sostenere anche le spese necessarie a quei paesi che sono per il momento “vettori” di emigrati. Quindi, soprattutto paesi africani, ma saranno fondi anche per il medio oriente, per restare in Mesopotamia, dato che il Migration Compact europeo si indirizza ad almeno due paesi della Mesopotamia, cioè la Giordania e l’Iraq, quindi c’è anche questa parte che riguarda il Medio Oriente. Non è escluso poi che nell’assemblea generale sorgano anche altre idee. Perché non solo il Medio Oriente ha questo problema o l’Africa di emigrazione. Ma c’è una forte emigrazione in Asia verso paesi diversi. Per esempio l’Australia ha un problema simile a quello dell’Italia, avendo tante coste le arriva una grande quantità di rifugiati. Voglio dire che probabilmente sarà valutata la questione anche a livello mondiale.

La signora ha chiesto perché la Francia vuole comprare tutte le cose italiane

Dottori

Allora beh intanto una premessa fondamentale. Per guardare alla realtà internazionale, si possono inforcare due paia di occhiali differenti. Ci sono due grosse tradizioni di pensiero che avete poco fa potuto vedere a confronto. Ci sono persone che guardano alla politica internazionale attraverso il prisma di ciò che già dovrebbe essere. La prospettiva della perfettibilità delle cose rientra nel campo dell’idealismo politico. C’è una grandissima scuola che parte da Kant e che non a caso ha scritto un saggio per la pace perpetua in cui si spiega in che modo si potrebbe arrivare a una situazione in cui il principio del conflitto sparisce dalla storia. Sparisce dalla storia perché vengono sviluppate delle interdipendenze. Sparisce dalla storia perché le istituzioni interne ai singoli paesi cambiano natura. Kant parla della fine delle monarchie e dell’avvento delle repubbliche. Ma le repubbliche stanno in questo discorso un po’ come la democrazia nel nostro linguaggio corrente. La pace attraverso il diritto, cioè l’imposizione di un diritto che viene attivamente condiviso da tutto il mondo e viene fatto rispettare in qualche modo dall’equivalente di un corpo di polizia mondiale. Questo è il mondo dell’idealismo politico. Vi appartengono politologi di grandissimo spessore, esattamente come la suola opposta, che a queste cose non crede minimamente. E dà una concezione, se vogliamo pessimistica, della natura dell’uomo e delle relazioni internazionali. Per cui c’è un differenza fondamentale tra l’ordinamento interno degli stati e il sistema internazionale, dove l’ordinamento interno degli stati è il mondo del monopolio della forza detenuto dallo stato che fa anche le leggi e le fa applicare e non c’è conflitto interno. Punto. Mentre dove lo stato non riconosce entità sovrannazionali superiori alle quali si debba piegare c’è la possibilità di una competizione in cui il più forte in qualche modo prevale sugli altri e detta le regole del gioco. Anche questa scuola di pensiero ha i suoi caposaldi, per la verità è più antica, perché probabilmente il primo esponente è Tucidide. Se voi leggete la guerra del Peloponneso è un capolavoro che sembra essere stato scritto oggi. Per altro con un linguaggio straordinariamente secco e semplice privo di fronzoli. Un libro di cui consiglio la lettura sempre e ovunque. Ma chi abbraccia una teoria difficilmente comprende la logica della teoria dell’altro e per questo io non ho argomenti da contrapporre quando mi viene detto: io sono contro i muri. Anch’io sono per il bene universale, ma a differenza della signora, siccome sono un realista, non credo che esista in natura. Tutto qua. E mi preoccupo di gestire la situazione per avere il male minore. Come il Principe di Machiavelli che riesce a dimostrare che al politico occorre una moralità superiore. La capacità di fare il male per fare il bene. Queste sono due possibilità alternative. Quindi è per questo che c’è un punto in cui non ci si riesce a incontrare quando si descrivono le cose. È come le si vede, come le si percepisce. Certo, nello specifico posso dire che non mi meraviglio che nella UEO ci fosse cooperazione negli anni ’80. Ma negli anni ’80 noi avevamo un nemico comune, un nemico comunque che ci univa. Oggi il nemico comune non c’è più. Per quanto si faccia di tutto per inventarlo, per cui andiamo sciolti ognuno cercando di fare per sé. Non riesco a immaginare, sempre sulla base di una logica realista, perché un contribuente francese o un contribuente britannico dovrebbero mettere in comune su scala europea il loro deterrente nucleare e il frutto dei sacrifici che fanno quando pagano le tasse, mettere questo a disposizione di altri che non fanno invece questi sacrifici.

Vengo al punto successivo. Sono convinto che proprio per effetto della decomposizione del quadro che abbiamo ereditato, diciamo dalla fine della guerra fredda, noi non andiamo né verso un’epoca di pace, né un’epoca di stabilità. Andiamo in un’epoca in cui i conflitti si moltiplicano e nel momento in cui un paese come gli USA, un paese che detiene, da solo, metà della spesa mondiale, decide di rimanere a casa, questo significa che tutti noi altri per gestire le situazioni di nostro interesse, dovremo far da soli. Vi rivelerò una cosa che per altro è abbastanza di dominio pubblico. Noi pensavamo quando Barack Obama è venuto in Italia a conoscere Renzi e ad affidare all’Italia il compito di stabilizzare la Libia che il presidente americano ci stesse semplicemente dicendo di andare insieme in Libia. A un certo punto arriva il segretario alla difesa americano in visita nel nostro paese, va al ministero della difesa e trova allo stato maggiore i nostri militari che somministrano una lunghissima caterva di slide, un grosso power point in cui viene spiegato quello che si sarebbe potuto fare. Il segretario alla difesa americano guarda inebetito questo programma e a un certo punto dice chiaramente: “voi non avete capito, noi lì non ci vogliamo andare. Questa è una cosa vostra”. E a quel punto tu fai i conti con una situazione. Lei le vede le immagini della Libia? Guardi quanti carri armati ci stanno. Sa l’Italia quanti carri armati ha? Funzionanti? Perché gli italiani queste cose non le sanno. Provi. Una cifra ipotetica. Quanti carri armati lei pensa che l’Italia abbia. Mi ascolti, queste sono le cose. Guardi, nei conflitti si spara, non è che la gente che lei vuole andare a mettere d’accordo smette di sparare solo perché lei si interpone. Non funziona così

Sto dicendo che l’unione europea dovrebbe avere una politica estera comune che aiuti a mantenere [fine della risposta non comprensibile].

Allora, benissimo, benissimo. Come fa ad averla quando l’Unione Europea è fatta di stati in cui, per esempio in Libia, Francia, Gran Bretagna e Italia hanno differenti interessi? Cioè chi è che si deve sacrificare? Eni? Total? Chi? Poi l’elettore francese che ha visto il sacrificio di Total perché è stato deciso a livello europeo che Eni è meglio, cosa va a dire al suo presidente?

È ovvio, io credo che sia nella logica dei fatti, il livello di integrazione sta già diminuendo sensibilmente. Cioè noi abbiamo la messa in discussione dell’euro e la messa in discussione dello spazio unico europeo. Di questo si parla.

Grillo ha un atteggiamento molto favorevole nei confronti dell’immigrazione, per cui su un versante è chiusura, su un altro è apertura. Questo va un pochino decodificato, non è così semplice. Venendo alla Francia, le due cose sono abbastanza imparentate, la Francia è un paese che ha una grande cultura strategica, ha una scuola di guerra economica ed è progettata per agire come sistema. Nel nome dell’interesse nazionale, i francesi fanno tante cose e non si accede ai livelli superiori del management aziendale e dell’amministrazione pubblica se non si è fatto l’ENA. Praticamente momento per momento in Francia sia il settore privato sia il settore pubblico sono gestiti da persone che si conoscono dalla loro gioventù e che sono in grado di agire a sistema. Se la Francia stabilisce che c’è un obiettivo strategico da perseguire in Italia, si muove. Quello che noi non facciamo. Perché si muove l’imprenditore italiano, lo stato fa quello che può. Non c’è proprio. Vede, è una cosa aneddotica che mi fa piacere di ricordare e di mettere in comune perché fa parte della mia gioventù. Io ho convissuto per cinque anni con una donna francese. All’atto in cui ha deciso di stabilirsi in Italia mi dice: “debbo trovarmi un lavoro qui”. Io rispondo: “bene, muoviti, gira, fai”. “No, vado all’ambasciata di Francia. Noi al consolato abbiamo un servizio di collocamento per i francesi all’estero”. C’è andata con tutto il curriculum, tre mesi non è successo niente, poi sono arrivate a pioggia le offerte di lavoro procurate dall’ambasciata di Francia, che durante tutti questi anni passati insieme a casa recapitava la pubblicità elettorale, per esempio. Erano gli anni in cui si votava per Chirac che vinse quelle elezioni. Ricevevamo la pubblicità elettorale di Chirac, di Balladur, a casa. Ma questo perché? Perché un francese anche quando sta all’estero resta francese e lo stato francese se ne occupa. Perché è un asset. Non è un elettore di cui ricordarsi quando bisogna vincere o perdere un referendum. È un’altra cosa, è uno strumento di penetrazione strategica e di condizionamento strategico. Ecco perché noi abbiamo un problema. In Germania paese tanto diverso in cui il conflitto di classe non esiste, ma non esiste dalle leggi di Bismarck Lassalle, dove c’è la compartecipazione agli utili di impresa, i sindacati sono i primi soggetti che lavorano, perché le imprese siano più forti. Noi abbiamo la tradizione sindacale della conflittualità di classe. I greci non ne parliamo. Ma come cacchio facciamo a stare insieme con regole che vanno bene per loro quando noi abbiamo un’altra realtà? È chiaro che da noi dopo si paga un prezzo.

Casardi

Dobbiamo andare all’argomento successivo. Volevo solo dire a chiusura di questa parte che riguarda la costruzione dello stato e anche dei sentimenti nazionalisti in senso buono o cattivo che sia. L’Italia, quantomeno gli italiani all’estero, li ha sempre visti come una risorsa. Una volta perché lo era inconfutabilmente perché si potevano misurare le rimesse degli emigrati. Recentemente non si può misurare, ma certamente c’è un forte contributo alla crescita economica e nazionale perché gli italiani all’estero non solo comprano cibo e moda come tutti, ma molte imprese italiane all’estero sono gestite da italiani all’estero, cioè da gente che risiede ed è nata fuori e comprano in gran parte materiali italiani. Non dimentichiamo che l’Italia è patria della meccanica. Potrei stare mezzora a raccontarvi il perché, ma quando ero ambasciatore in Cile c’erano circa 150 imprese italiane che importavano molto materiale. Le prima 150 imprese che importavano forti materiali dall’Italia erano composte da cileni o da italiani residenti in Cile, ma gli italiani erano un terzo. Quindi di queste 150 imprese, 50 erano di italiani residenti all’estero. Quindi continua questa tradizione di contributo alla crescita economica nazionale. Al ministero degli esteri, al ministero della difesa lo sappiamo, la storia è l’Italia fin dal momento, lo sa bene il direttore della rivista marittima che esalta questi aspetti, che fin dalla costituzione dello stato italiano abbiamo fatto l’impossibile anche per occuparci di loro in momenti di difficoltà, quali possano essere stati la compromissione dei loro interessi in America Latina, in Africa.

Questi sono aspetti specifici effettivamente di governi passati.

Ecco allora veniamo all’ultimo tema, ossia quali speranze ci possano essere in Mesopotamia e dintorni per una conferenza generale. Allora innanzi tutto quali sono i meriti di una conferenza generale. Parliamo un attimo accademicamente di questo, prima di arrivare a dire che siccome c’è una guerra in corso è molto difficile che si parli di pace. Ma vediamo quali potrebbero essere i meriti. Dunque, il merito principale è che una conferenza generale, proprio per il suo nome, offre la possibilità di un negoziato generale. Qual è il limite del negoziato nazionale? Il limite del negoziato nazionale è che si occupa dei fatti di un paese, ma purtroppo quasi tutti gli aspetti che hanno generato le tensioni in medio oriente sono intercambiabili con tutta la regione. Per cui non c’è possibilità di mettersi d’accordo su un singolo paese se non si cerca di risolvere l’insieme del problema che riguarda molte altre entità statuali e anche zone in cui ci sono delle direzioni non statuali. Quindi bisognerebbe creare un livello superiore a quello dei negoziati attuali, composto però da tutti gli stati di governo, i capi di stato di governo praticamente dei tre cerchi di cui prima, con la presidenza, immagino, degli Nazioni Unite. Non è obbligatorio ma forse rischia di essere la scelta migliore con il consiglio di sicurezza che si occupa d vedere quali possano essere gli attendees, cioè gli invitati a questa conferenza. Perché dico che il consiglio di sicurezza dovrebbe sceglierli? Perché alcuni di loro sarebbero interlocutori non statuali. Bene o male Al qaeda e Al nusta essere invitati alla conferenza generale, il consiglio di sicurezza deve scegliere quelli che vuole ammettere. Però il merito maggiore sarebbe quello di elevare a livello allargato quello che non può essere risolto a livello più ristretto. In soldoni il vantaggio sarebbe questo: non è che non ci sia pensato ed è per questo che ne parlo. Da più parti si è sentita questa esigenza di una conferenza generale e poi, o di riffa o di raffa, prima o poi è lì che si va a parare. Attualmente ci sono delle guerre in corso. Se si vuole ragionare come un tempo, cioè aspettare che una delle parti prevalga, magari con l’aiuto di una grande potenza, succederà quello, ma è probabile che prima o poi una parte dei conflitti in corso si attenuino per la scomparsa di uno almeno degli interlocutori. Allora una conferenza generale avrebbe il vantaggio di impedire tutti questi disastri. Uno dei grandi vantaggi reclamizzati dalle Nazioni Unite quando si crearono subito dopo il secondo conflitto mondiale era che i conflitti venivano interrotti ed è per questo che si sono create le forze di pace. Erano inizialmente delle forze di interposizione conflittuali che smettevano di combattersi. C’era un cessate il fuoco e le forze armate diventavano in quel modo operatrici di pace, come dicevo prima col generale Arpino. È stata anzi una delle cose che ha alzato il prestigio delle forze armate che dopo la seconda guerra mondiale hanno acquisito l’ammirazione delle popolazioni locali, ma anche in generale dell’opinione pubblica informata perché agivano non solo come forza armate, ma anche come operatrici di pace e attraverso la loro opera in campo civile agivano come protezione in quei paesi dove nessuno l’aveva mai ricevuta. E quindi l’idea dell’ONU che possa presiedere una tale conferenza è quello di dargli un respiro mondiale pur essendo una conferenza regionale. E con un respiro mondiale ricadiamo nei tre cerchi. Perché non si può in una zona così importante in cui afferiscono interessi internazionali di tutto il mondo pensare di risolvere regionalmente, come non sarebbe logico pensare di affidare all’Unione Europea un compito di questo genere tenendo conto che non ne avrebbe né la forza né la credibilità, laddove ci sono interessi che sono cinesi o sono russi o sono americani, l’Unione Europea di certo non sarebbe sufficiente per questo compito. E comunque non avrebbe nemmeno le forze di pace necessarie per garantire poi una stabilità tra confliggenti. Ecco, parlarne ora potrebbe essere prematuro. Una conferenza generale si può preparare anche da lontano. Si fanno partire alcune cose, si fanno partire delle misure di costruzione della fiducia sul modello CSCE, sul modello OSCE attuale. Noi avremo la presidenza dell’OSCE. C’è molta presenza per l’Italia se si volesse un po’ lanciare in questo esercizio che a mio avviso è l’unico esercizio, come si può dire, perbenista, contrariamente a quello che diceva Germano prima. Cioè che nell’affermazione degli interessi nazionali, insomma la parte valorica svanisce un po’.

Dottori

Più che svanisce, rischia paradossalmente di creare ostacoli. Sul valore non si può negoziare, sugli interessi sì.

Casardi

Rischia di creare ostacoli. Sì, era quello che avevi appunto ben sottolineato. Però ecco, se si volesse considerare che il fatto di attendere la fine dei conflitti costa moltissimo, non costa solo in vite umane, ma sta praticamente distruggendo gran parte dell’economia del Medio Oriente, salvo forse la parte energetica che è più protetta. Ma per il resto l’economia del Medio Oriente sta vaporizzandosi. Distrugge anche economie afferenti come la nostra, che con il Medio Oriente ha molto a che fare. Siamo il primo interlocutore commerciale dell’Egitto, siamo il primo, secondo, il terzo in tutta l’area e ci costa moltissimo questa guerra. Quindi mettere le basi per un’operazione di questo genere potrebbe essere opportuno. E il meccanismo multi laterale, un domani che dovesse partire la conferenza, costringerebbe tutti i convenuti anche a esporre le proprie posizioni cosa che non avviene adesso. Nessuno vi dice quello che ha in testa, soprattutto in guerre combattute per procura, direi che quasi nulla di quello che uno ha in testa può essere pubblicizzato. Un meccanismo multi laterale ti costringe invece a dire che cosa vuoi fare e contribuendo alla trasparenza può aiutare con tempo, soldi e sforzo diplomatico. Questa attività dovrebbe essere condotta in una città che già lo fa in quello senso. Nel mondo ce ne sono solo tre, New York che però è troppo lontana, Ginevra che è molto più vicina e Vienna ma non basterebbe. Sono un paio di sedi che si potrebbero attrezzare. E su questo chiederei qualche opinione per poter dire che abbiamo affrontato anche questo punto che potrebbe diventare il punto di domani, ma per il momento è un po’ sotto traccia.

Dottori

Mentre l’ascoltavo facevo un esercizio di memoria. Mi è parso di riconoscere una vecchia idea della nostra diplomazia, La conferenza della Sicurezza del Mediterraneo, CSCM, che noi volevamo imbastire qui sul modello della CSCE dopo la fine della Guerra Fredda, da cui poi è derivato il processo di Barcellona che a un certo punto si è inceppato tanto che Sarkozy è partito per la tangente per un altro progetto su iniziativa sua: Unione Mediteraneen che è diventata l’Unione per il Mediterraneo. Dopo che i Tedeschi si sono accorti che erano fuori da questa cosa hanno chiesto il ripensamento. Parlarsi non è mai male, tutto è capire quale è l’ambizione che uno ripone in uno sforzo di questa natura. Per conoscersi meglio sicuramente va bene, ma non dobbiamo farci grandi illusioni. Anche perché molti attori sono fuori. E comunque il grande problema che c’è sulla riva sud è che l’ordine politico non è accettato all’unanimità. Non è come si diceva in relazione alla Siria che presenta un quadro più complicato, una sfida tra sunniti e sciiti. È soprattutto una contrapposizione tra sostenitori e avversari dell’Islam Politico. E questo è il problema con il quale ci stiamo confrontando. Sono dell’opinione che in una situazione conflittuale sia meglio circoscrivere il problema e lasciar lavorare quei 3, 4, 5, 6 paesi, che non solo hanno degli interessi in gioco ma hanno anche la capacità di condizionare le parti e l’andamento delle ostilità. Un conflitto ha due componenti, una materiale che è il confronto tra le forze, e poi c’è una componente psicologica, la persuasione, la dialettica delle volontà che porta alla conclusione del conflitto quando una delle due parti accetta le condizioni che l’altra offre, oppure si incontrano a metà, in base a quello che è emerso dalla prova di forza sul terreno. Erdogan. Caso esemplare. Capisce che non può sloggiare Assad, e che cosa fa? Cerca di salvare il salvabile, ridefinisce l’obiettivo di guerra e accetta una soluzione di compromesso. In qualche modo, la prova di forza può concludersi. Ma perché la guerra va avanti? Perché sul terreno ci stanno soggetti impresentabili. Per fare la pace dovremmo poter avere qualcuno con cui trattare a nome delle forze che hanno dato vita allo Stato Islamico. Palesemente finché c’è lo stato islamico come lo conosciamo non possiamo fare nulla. Abbiamo bisogno che venga sostituito da qualcos’altro e ho la mezza sensazione che l’amministrazione Obama avesse un po’ dato questo mandato implicito ai Turchi e Sauditi, di mettersi d’accordo tra di loro, di trovarne uno di comune intesa anche approfittando del fatto che con il nuovo re, c’è stata non dico un’apertura all’islam politico ma il rapporto tra Riad e la Fratellanza Musulmana sono leggermente migliorati.

Quindi io direi sì, ma con questa riserva, senza farsi troppe illusioni. È un esercizio utile, può mettere a disposizione un formato ulteriore se gli eventi sul campo prendono una piega che permettano di concretizzare uno sbocco positivo, sarei più dubbioso sul fatto che possa risolvere un problema. Diciamo che è una questione di ambizioni che noi mettiamo dentro questa iniziativa. Da italiano e realista, vi dico siccome noi non siamo fra quei 4,5,6 forti che hanno una capacità di influenza reale sul terreno è un modo per noi di stare dentro, ma messo questo da parte….

Casardi

C’è un modo per riconoscere il vantaggio che dicevamo prima, ovvero offrire questo livello superiore di negoziato che possa fare scattare il meccanismo di do ut des. C’è un altro vantaggio, cominciare dei negoziati su un problema specifico, impedisce alle forze armate di darsi per lo stesso scopo. Adesso che nessuno vuole mettere i soldati fuori, o almeno così parrebbe. Per il momento.

Dottori

C’è una cosa importante. È un periodo che a prescindere dai presidenti in carica, le forze armate americane ragionano su un tipo di pianificazione che dovranno condurre, il Prompt Global Strike che è un grande sistema, che permetterà all’America di colpire convenzionalmente, ovunque nel mondo entro un’ora dal palesarsi di una minaccia. C’è un po’ l’annuncio di questo sistema quando vediamo gli aerei che partono dal Missouri per colpire in Afghanistan o più recentemente in Libia. Alla presenza esterna sui posti, si sostituisca una proiezione di potenza istantanea dal territorio continentale degli Stati Uniti al posto dove si vuole andare a colpire. Credo che sia una tendenza di lungo periodo che i militari americani hanno anticipato rispetto all’evoluzione degli equilibri politici interni agli Stati Uniti. Vogliono agire da casa loro piuttosto che continuare ad esporsi come hanno fatto fino ad ora. La tecnologia lo permette, anche con i droni, la tecnologia per l’acquisizione e la processazione dei dati. Droni che sparano su Al Qaeda direttamente dal profondo degli Stati Uniti.

BoffO

Allora nonostante sia vero che una conferenza non è in grado di risolvere in sé un conflitto e pur essendo vero che le principali potenze devono avere il loro ruolo, io credo che cominciare a lavorare per una conferenza sia utile. Intanto perché bisogna offrire un’alternativa alla guerra. Sempre. Può essere lungo, dispendioso, ma sappiamo che come cominciano le guerre in qualche modo finiscono. Intanto la conferenza può provare ad accelerare la fine della guerra ma anche se non fosse così, quando finisce la guerra ci dev’essere un’alternativa politica e diplomatica se no la fine di un conflitto, per esaurimento delle forze e senza alternativa, sostanziale e apparente, finisce per ritorcersi in un altro conflitto. Quindi se le armi parlano anche la diplomazia e la politica devono prepararsi a farlo. Non è facile come detto da Germano. È difficile perché i fronti sono talmente articolati e complessi.

Chi deve partecipare. Ovviamente non i cattivi, i terroristi, i radicali, quelli che fanno attentati e così via. Chi definisce chi è cattivo e chi è buono? Il consiglio di sicurezza poi ci sono i russi… è una prima difficoltà. E poi una conferenza deve riflettere i risultati del campo. Se ci sono dei chiari vincitori e dei chiari sconfitti. Non è che una conferenza possa ribaltare questa cosa. È chiaro che il vincitore si siede con una forza e facoltà negoziale e gli altri si siedono con la facoltà di coloro che sono intermediari e sconfitti. La conferenza funzionerebbe se si riuscisse a dare ragione ai vincitori senza dare troppo contro agli sconfitti. Ovviamente è anche un vantaggio per tanti paesi come il nostro che non hanno il ruolo di potenza che può determinare gli eventi ma che possa avere un ruolo importante. Non è che nella Nato gli USA abbiano sempre e comunque deciso. C’era il dibattito, la discussione e poteva esserci una decisione più mitigata. Il ruolo c’è.

È interesse nazionale promuovere la conferenza, perché sarebbe il contesto all’interno del quale ci possiamo esprimere e potremmo anche offrirci in maniera meno esposta come ruolo di mediazione. Quindi se condivido il tuo realismo, penso che bisogna affrontarlo con un minimo di proposta alternativa. Alla guerra non può che essere la diplomazia quindi una conferenza . poi è chiaro non dobbiamo pensare che con la conferenza risolviamo i problemi del Medio Oriente. Questo no. Sarebbe un passo importante anche in itinere. Il fatto che ci sia una conferenza è importante, va preparata poi vabbè il fatto che diventi permanente, una OCSE della quale sono sempre stato un sostenitore. Ma attenzione, lì parliamo di valori, i valori non sono negoziabili, ma uno dei temi è che i valori non sono negoziabili ma sono sempre oppressi. Cosa facciamo noi verso loro e loro verso noi. Una concordia tra due o più soggetti deve per forza passare attraverso il rispetto dei valori reciproci. Quante volte siamo andati a fare la guerra in Afghanistan per proporre la democrazia, quando poi a loro non importa molto. Ma noi dobbiamo accettare entro certi limiti i loro valori, affinché loro accettino i nostri. E questo deve emarginare quelle componenti terroristiche e radicali che si prefiggono solo scopi ideologici all’estremo limite.

FUORI CAMPO

Comunque Ambasciatore Boffo, mi sembra che il ruolo di cattivo e di buono talvolta sia funzionale a quello che si vuole ottenere o alla situazione sul campo. Non è un valore assoluto.

Boffo

Certamente, tutto è relativo nel mondo. Però a un certo punto dobbiamo anche abbandonare questo relativismo e dobbiamo difendere gli interessi – non esiste più l’Occidente – ma diciamo gli interessi dei nostri Paesi. Per noi chi fa terrorismo è necessariamente un nemico, mi spiego? Poi magari alcuni Paesi del Medio Oriente il terrorismo l’hanno finanziato perché loro per sostenere i propri interessi nazionali così come li concepivano, si servivano anche di questo. Ma non è che pensano che siano buoni. Erano cinici e si servivano anche di questo, voglio dire entro certi limiti si sa chi è costruttivo alla pace e chi non lo è. Quindi è vero che buoni e cattivi li definiamo noi secondo convenienza, ma anche questo deve trovare un limite e lo spirito di una conferenza internazionale dovrebbe essere anche questo. Quello di definire bene, sfuggendo a categorizzazioni, che quelle poi creano conflitto di opinione. Capire bene chi vuole proporre una propria visione politica lo deve fare con la politica e non con le armi. Non è facile e forse è il problema della condizione umana, però se non si fa qualcosa in tal senso, rischiamo di diventare vittime di un realismo che noi stessi ci lasciamo imporre. Un conto è valutare realisticamente, un altro è non fare nulla perché tanto è così e basta. Non è una critica al suo ragionamento e alle sue valutazioni, che sono molto argute.

DOTTORI

Dovremmo parlare anche della politica interna, un’alternativa, perché a un certo punto si può anche ipotizzare di costruire un consenso sociale sul rafforzamento della presenza esterna del nostro paese.

Boffo

Ma allora si apre un altro dibattito, perché quando la signora ha detto “vorremmo un’Europa sociale” io ho detto che potremmo cominciare anche noi a fare un paese sociale, che non mi sembra troppo eh. Però a questo punto faremmo un altro dibattito. Dirò una cosa: tra guerre, iniquità internazionali e iniquità sociali a livello dei Paesi c’è un filo conduttore che sarebbe complesso spiegare nei suoi dettagli, ma che mi sembra evidente.

CASARDI

Ecco volevo spezzare un’ultima lancia – e poi do la parola alla signora – sulle pressioni che un’organizzazione multilaterale è capace di creare sugli stati partecipanti. Questo da un lato potrebbe essere un danno in certi casi, ma nel caso della conferenza in Medio Oriente credo ci potrebbero essere molti vantaggi, cioè una volta che parte il meccanismo, quindi una serie di conferenze nazionali che si occupino di problemi nazionali, riferiscono alla conferenza superiore dove gli spazi sono allargati e scatta il meccanismo delle contestazioni e tutti esprimono le loro volontà. Scatta insomma un meccanismo che è abbastanza condizionante, cioè laddove si scatenano delle guerre non per motivi di grandissimo interesse, ma più che altro per le tensioni che esistono ormai da tempo, cosa che abbiamo conosciuto anche in Europa – alcune delle guerre europee potevano anche non scoppiare ed essere risolte in altro modo e hanno causato milioni di morti – anche lì in parte succede. Adesso in Siria lo scopo era di allontanare Assad dal potere per fare una Siria diversa, ma non ci si è riusciti. Avrebbe giustificato il disastro che ha causato in gran parte nel Medio Oriente? Sicuramente no. Quindi forse una conferenza anche in grado di cercare di evitare danni maggiori, che potrebbero essere domani, come un coinvolgimento delle potenze europee nel conflitto. Tutto può succedere in una situazione di instabilità così ampia.

La penso come Alberto. Bisogna essere svelti.

Appunto, però una conferenza internazionale può aiutare a non cadere in ulteriori trappole.

C’erano due mani alzate.

PUBBLICO

Io volevo giusto un vostro accenno su un tema che secondo me non deve mancare nelle conferenze e nei seminari geopolitici in cui si parla di conflitti, che è quello che ci dimentichiamo sempre che esiste. Come non vogliamo pensare alla morte, e c’è un’affinità. Mi riferisco alla potenza nucleare, cioè alla bomba atomica. Quindi Trump può anche dire che si vuole disinteressare, però lui condivide con Putin il fatto di avere la famosa valigetta. Quindi volevo sentire dove può essere usata, magari non da americani o russi ma da altri che magari ne vengono in possesso. L’area della Mesopotamia è il posto più caldo in questo momento. Però legandoci anche al discorso delle nuove tecnologie, delle armi non convenzionali di cui prima parlava il dottor Dottori – un gioco di parole. Comunque c’è sempre questa di arma che purtroppo non possiamo dimenticare.

Pubblico

Io vi volevo chiedere invece qual è lo scenario rispetto al terrorismo di questa nuova politica di Trump.

Boffo

Posso dire due cose rapidissime. Allora sulla bomba atomica. Io credo, forse spero, ma credo che nessuno oserà su scala grande. Potrebbe esserci un pericolo che qualche regime possa usarla in scala ridotta, in scenari limitati, ma anche lì, penso di no, perché di fronte a un attacco nucleare ci sarebbero ritorsioni veramente pesanti da parte anche di terzi. Il rischio vero, non so quanto sia tecnicamente fondato, è che di materiale fissile si favoriscano organizzazioni terroristiche. Questo compare spesso sui giornali. Io non so se la bomba atomica si faccia facilmente come è scritto. Però certamente si può. Forse è più facile fabbricare una bomba sporchissima, che non ti fa Hiroshima, ma ti fa danni. Credo che sia più facile per un terrorista avvelenare un acquedotto che fare la bomba atomica. Comunque speriamo che non succeda. Invece lei chiedeva?

Lo scenario del terrorismo legato alla politica di Trump.

Credo che Trump la sua politica se la decida giorno per giorno. Cioè a parte i grandi filoni che ha già indicato, quindi l’America agli americani, io credo che lui sarà estremamente flessibile a valutare non dico giorno per giorno, ma con flessibilità, gli scenari che si verificano per trarne le posizioni che avvantaggino la sua posizione o la posizione dell’America. È chiaro che su Israele lui, anche in queste ultime settimane prima del formale avvento al potere, ha criticato Obama sulla questione degli insediamenti, perché con Obama si erano astenuti. E ha detto “dopo cambierà tutto, non vi preoccupate”. Quindi certamente il sussidio a Israele è importante. Ma il terrorismo non passa soltanto sulla quesitone Israele o Palestina. Il terrorismo, benché qualche volta, soprattutto in passato, era giustificato come atto di solidarietà ai Palestinesi, oggi ha logiche diverse e anche la stessa Al Qaeda e Isis hanno visioni diverse. Quindi non credo che in sé le politiche di Trump possano orientare o fermare o cambiare lo scenario del terrorismo. Il terrorismo c’è, vuole imporre una visione del mondo che non ci appartiene, ma è anche utilizzato tante volte da questo o quell’attore globale. E questa verità, se è vera, esiste sia che Trump faccia qualcosa di più o di meno su Israele, sia che non lo faccia. Dopo di che lui cercherà, immagino, di adattarsi all’evolvere delle cose per affermare questi principi che ha proclamato finora.

CASARDI

Vorrei aggiungere che Israele è immensamente grato all’Isis perché gli ha distrutto il mondo arabo, gli ha praticato la politica che avrebbe voluto fare lui. Tante volte… adesso sto parlando un po’ per paradossi, però l’Isis non ha mai osato toccare un granello di nulla che fosse con marchio israeliano, se n’è ben guardato.

DOTTORI

Neppure Al Quaeda.


CASARDI

Neppure Al Quaeda e adesso bisogna vedere se cambierà qualche cosa, ma fino a questo momento i due non sono assolutamente in contrapposizione, anzi. E per quanto riguarda le dichiarazioni di Trump alle quali possiamo fare fede, perché voglio dire, più di quello non abbiamo, Trump ha detto che vuole estirpare il terrorismo islamico, questo in teoria potrebbe voler dire che vuole continuare a estirparlo anche dall’estero, quindi continuando con le operazioni oltre mare eccetera e in particolare poi guardandosi bene anche a casa sua, perché lì c’è molto da lavorare, soprattutto per il terrorismo cosiddetto cellulare, cioè che si manifesta in piccole cellule eccetera. Lì, hai voglia a musulmani che stanno sul territorio americano e lì probabilmente continueranno a lavorare anche su quello, non so tu se vuoi aggiungere qualcosa.

DOTTORI

Intanto i temi sollevati dalle domande sono due: il primo concerne il ruolo delle armi nucleari nella sicurezza internazionale e nella sicurezza nazionale degli Stati che le hanno e il secondo è il problema di come va a finire con il terrorismo a matrice jihadista. Per quanto riguarda le armi nucleari, c’è da dire questo: fondamentalmente sono state concepite, salvo per l’utilizzo iniziale che ne è stato fatto contro il Giappone nel ’45, non come armi per fare o vincere la guerra ma come armi di dissuasione, perché nel momento in cui le grandi potenze, che poi sono quelle che legittimamente siedono nel consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con diritto di veto, dovessero attaccarsi l’un l’altro utilizzando queste categorie di armamenti, praticamente non esiste più alcun concetto di vittoria che valga il prezzo. Quindi fondamentalmente sono armi della non-guerra. E per quanto possa sembrare paradossale, persino un Paese come il Pakistan che ha di fronte l’India, tutte e due sono potenze nucleari, tutti erano preoccupati del fatto che le avessero, in realtà, forse, forse, proprio il fatto che sono entrambe armate nuclearmente ha impedito negli ultimi 15/20 anni che scoppiasse un conflitto di più ampie proporzioni tra di loro. Penso specialmente dopo quello che è successo a Mumbai, non avesse avuto il Pakistan le armi nucleari, non le avesse avute neanche l’India, forse chi lo sa, magari andavano alla guerra dopo quell’episodio o dopo comunque i tanti attentati che vengono fatti nel Kashmir e che sono ispirati direttamente dai pakistani.

Quindi non è detto che il fatto di avere ancora delle armi nucleari in circolazione sia un male. Personalmente penso che il fatto che le grandi potenze continuino ad averle, sia una garanzia che tra di loro non scoppieranno guerre di maggiori proporzioni. Quindi mi auguro che le armi nucleari diminuiscano, ma non che spariscano, perché servono. Ma proprio servono per non fare le guerre, non per farle e vincerle. È una cosa completamente differente.

Per quanto riguarda il terrorismo, vi dirò che io sono stato profondamente turbato, ma anche affascinato, dalla lettura di un libro che ho appena acquistato, che è scritto da un francese, anzi uno svizzero-francese, si chiama Jacques Baud, fra i massimi esperti di guerra e strategia asimmetrica. Lui ha detto un paio di cose molto interessanti. In particolare questa è la prima, che mentre noi siamo stati molto abili negli ultimi anni a sviluppare delle grandi capacità antiterroristiche, cioè di prevenzione degli attentati e di cattura delle persone che se ne rendono responsabili, siamo stati molto carenti nel contro-terrorismo, ovvero, nello sviluppare strategie che condizionassero le scelte delle persone, che optano per il terrorismo evitando che tanta gente prenda questa strada. L’altra cosa che mi ha sorpreso e che è strettamente collegata e che secondo me è un argomento sul quale dovremmo tutti riflettere, è che al contrario di quello che ci viene raccontato dai media e dai governi, i jihadisti che ci attaccano non hanno affatto preso di mira la nostra civiltà, non intendono affatto imporci la sharia, non intendono affatto cambiare la nostra società. Questo signore ha fatto uno studio delle rivendicazioni, e ha fatto uno studio del materiale che è stato pubblicato dai jihadisti sulle loro maggiori riviste; perché pubblicano delle riviste che sono liberamente accessibili online. Una è Dabiq, che fa capo allo stato islamico, e l’altra è Inspire, che è vicina ad Al Quaeda nella penisola arabica. Bene. Questi signori, a quanto è dato di capire, vogliono un’altra cosa, vogliono che le potenze esterne al mondo musulmano escano dai paesi musulmani e cessino di influenzarne le politiche. Il ricorso al Jihad è difensivo, e loro fanno valere, ideologicamente, a livello propagandistico, l’obbligo che religiosamente il Corano piazza su ogni musulmano di difendere i fratelli attaccati. Per cui paradossalmente, talvolta il nostro antiterrorismo nega l’obiettivo del contro-terrorismo, cioè incentiva la scelta dei terroristi di darsi al terrorismo. Ecco perché io per esempio condivido l’idea che la prima prevenzione al terrorismo è la politica estera. E ci sono delle cose significative. Questo signore per esempio ha notato che tanto la Norvegia quanto la Danimarca hanno dato ampio risalto alle famose vignette che nel 2006 presero in giro il profeta, Mentre i danesi ebbero grossissimi problemi, i norvegesi non li ebbero. E Baud nota che la differenza sta in un atteggiamento diverso dei due governi, che erano presieduti rispettivamente da Rasmussen e da Stoltenberg. Tutti e due diventati poi rappresentati generali dell’Alleanza Atlantica. Bene. Rasmussen, a coloro che gli chiedevano di presentare delle scuse, disse: “In Danimarca la libertà di espressione è sacra, noi non faremo nulla, non diremo nulla, non abbiamo nulla di cui scusarci”. Stoltenberg, più smart, uscì in pubblico con una dichiarazione molto più morbida: “Nei nostri paesi c’è la libertà di stampa e come governi non possiamo impedire a nessuno di pubblicare ciò che vuole. Però deploriamo che sia stata fatta una cosa così tanto offensiva”. E ovunque questa cosa qui ha avuto un riverbero. Ed è una cosa estremamente interessante. Perché se le cose stanno così, la cosa peggiore che possiamo fare per sconfiggere il terrorismo è applicare maggiore violenza contro, diciamo, le roccaforti mediorientali in cui ha attecchito. Tenete presente che l’antiterrorismo a sua volta sta diventando più difficile, perché è nato il Jihad individuale. Quelli che noi chiamiamo per ragioni di comodo “lupi solitari” sono in realtà l’esito deliberato di una scelta strategica. Il ricorso a persone che non sono dirette da nessuno, ma sono soltanto vagamente ispirate, cui si dice cosa sarebbe desiderabile fare, con il suggerimento operativo di non comunicare a nessuno le proprie intenzioni, e di non dar vita a nessuna cellula organizzata. Perché le cellule organizzate, le nostre Intelligence le sanno infiltrare e ormai riescono in qualche modo a comprarle. Quindi, diciamo, siamo in una fase abbastanza difficile. Non è un caso che stia cercando da qualche tempo di fare una grossa pubblicità a questo libro, che peraltro contiene anche numerosi errori; si vede che è mancata una revisione, ha scritto dopo i fatti di Bataclan, proprio d’impeto, di getto. Però l’argomento logico, il compelling, è veramente stringente. Ma se le cose stanno così, qualsiasi tipo di strategia contro-terroristica seria noi decidiamo di adottare dev’essere una strategia sufficientemente intelligente da combinare la repressione dell’atto violento con il riconoscimento dell’esigenza che lo ha determinato. E’ una forma di congresso di Vienna se vogliamo.

PUBBLICO

Andarcene dal Medio Oriente.

Sì, è questo quello che vogliono. Fondamentalmente è questo.

PUBBLICO

In quali paesi?

DOTTORI

Prego?

PUBBLICO

Quindi Trump lo farà?

DOTTORI

In realtà l’ha fatto pure Obama. Però… diciamo che siamo entrati più visibilmente noi. È questo il fatto. Soprattutto la Francia. Questo libro è stato scritto fondamentalmente per accusare Hollande di essere moralmente responsabile di Bataclan. Questo è quello che ha scritto. Si chiama “Terrorismo”. Il precedente libro è dedicato proprio alla guerra asimmetrica e si intitola significativamente “la guerre asymétrique ou la défaite du vainqueur”. La tesi centrale, che non ha trovato purtroppo ascolto all’esterno del mondo francofono, è che la vera essenza della strategia asimmetrica non è colpire in una vulnerabilità l’avversario, questo lo fa chiunque. La vera peculiarità è trasformare un fattore convenzionalmente riconosciuto di forza e di superiorità di un soggetto nella sua massima vulnerabilità. Questo è il carattere rivoluzionario delle strategie con le quali siamo alle prese e che continua a sfuggire. Perché ha un livello di sofisticazione intellettuale che non è proprio alla portata di tutti comprendere.

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Grazie mille.

DOTTORI

La pubblicistica strategica francofona è formidabile. Lui è un ex colonnello dei servizi segreti svizzeri. Ho provato più volte a trovare un modo di mettermi in contatto, di segnalare… niente. È nelle nebbie. Nelle nebbie proprio.